Capitolo 40 - II

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L'aria soffiatagli addosso aveva l'odore intenso di Gaeta. Martin saltò alla sorpresa e perse il fiato in un sospiro rotto dall'infarto, e gli sembrò quasi che Gaeta così vicino volesse respirarglielo fuori dai polmoni. Ed era come se Gaeta stringesse in una mano la cosa più fragile del mondo, e che volesse accarezzarla senza romperla, mentre sentiva fra le dita le ciocche dei capelli di Martin scivolare liquide e portarlo al limite dell'impossibilità di sostenere oltre la scelta di far scegliere a Martin. La sua carezza continuata scosse Martin svegliandolo, e gli fece aprire gli occhi, e scoprire che Gaeta sorrideva di un sorriso che solo lui poteva avere così abbagliante, ed a tratti affettuoso, e consapevole, e vicinissimo, troppo vicino perché Martin potesse osservarlo tutto in una volta. E Martin si sentì assalito da una paura incontrollabile, paralizzante più di quanto già non lo fosse, e l'unica cosa che trovò possibile per tirarsi fuori dal contatto con Gaeta fu di avventarsi contro la pila di libri poggiati sulla scrivania che aveva di fronte, i libri e gli appunti che Gaeta aveva cercato di difendere prima dall'assalto degli studenti. Con un urlo di rabbia Martin li scaraventò a terra spingendoli via a piene mani e mentre cadevano dalla scrivania li prese a calci, facendoli volare dall'altra parte della piccola stanzetta in cui erano chiusi.
― E no, adesso basta veramente! Ma che vuoi sentirmi dire? Pensi che ci sia qualcosa che io ti possa dire per farti stare meglio?
Martin era di nuovo ammutolito, con le mani poggiate sul ripiano ormai semi vuoto, come la sua mente, vuota di pensieri e di una qualunque strategia di difesa. Non riusciva a ragionare, come anche a togliersi di dosso quel senso di insoddisfazione che lo stava corrodendo.
― ...no. Non c'è.
― Vuoi sentirmi chiederti scusa?
Nonostante Martin gli desse le spalle, a Gaeta fu evidente che stesse piangendo in silenzio, dando piccoli colpi sul ripiano, rabbioso all'idea che Gaeta non fosse in grado di cancellare ogni cosa, compreso se stesso.
― Girati dalla mia parte quando parli con me. Non posso risponderti se non sento che dici.
Martin fu costretto a voltarsi, umiliato all'idea di non essere in grado di disobbedire. Aveva il viso bagnato, gli occhi stanchi, il cuore a pezzi, le braccia abbandonate e senza forze. Cosa avrebbe potuto spiegare Martin in quel momento, se non che l'imbarazzo di essere allontanato fosse l'ultima cosa che si aspettasse di ricevere, ma anche la prima che desiderasse, come la più improbabile che si potesse realizzare. Che essere sconvolto da Gaeta fosse stato troppo sconvolgente, ma ancora più sconvolgente sulla sua carne fosse stato il fatto che Gaeta non completasse l'opera e che lo lasciasse sospeso nel detto e non fatto, nel solo accennato, nella terra del languore infinito e dell'infinita paura di decidere, perché Martin non aveva la forza di decidere, né solo di pensare che le opzioni potessero essere due, o di guardare Gaeta negli occhi. Come se si fossero invertiti di posto, Martin si era messo a sedere sulla scrivania e Gaeta lo fissava in attesa di un suo gesto.
Martin si chiarì la voce, sperando di riacquisire un tono fermo e con una mano si spalmò in viso le ultime lacrime rimastegli addosso.
― Lei è un bastardo, professor Gaeta. Non ho altro da dirle in questo momento.
Gaeta sgranò gli occhi su Martin, cambiando espressione. Nel sentirsi additato come il solo colpevole di quella situazione assurda, e nel vedere che il grado di assurdità fosse dato dalle manchevolezze che aveva deciso di commettere per rispettare Martin, Gaeta perse per un attimo la calma che si stava sforzando oltre natura di sostenere. Con una brusca presa a due mani afferrò Martin per la maglia sul petto e come in un gesto di sfida lo costrinse ad alzarsi. Ma aveva finito solo col reggerlo in piedi, perché Martin aveva abbandonato ogni piccolo tentativo di opporsi e di nuovo l'estrema vicinanza di Gaeta lo aveva mandato in confusione, fuori controllo da ogni sua emozione, e la rabbia nera di Martin coesisteva con l'attrazione cieca che provava e che gli stava sviscerando lo stomaco, portando in superficie sensazioni che gli facevano paura e che di nuovo non riusciva a controllare.
Gaeta lo scosse cercando di farlo tornare in sé, quasi offeso di aver sortito un effetto talmente opposto e distruttivo, nonostante tutto l'impegno messo per evitarlo.
― Ma con chi pensi di avere a che fare?
Martin di nuovo era niente fra le sue mani, e non riusciva a guardarlo in faccia, dopo quello che aveva detto, che aveva provato e che era certo che Gaeta avesse percepito, come non poteva vincere l'intima vergogna di ammettere davanti a Gaeta l'esistenza di ogni goccia di lacrima amarissima che stava versando. Sentiva solo che Gaeta lo affettava con gli occhi, affondando le lame affilate fra i suoi pensieri, che sembravano poter essere letti da Gaeta meglio che da se stesso.
― Guardami!!
Ma Martin fissava di traverso il pavimento.
― Pensi che io sia il professore frocio che adesca gli studenti nei locali? E'di questo che stiamo parlando?
Il tono della voce di Gaeta aveva perso la nota divertita che aveva caratterizzato la loro discussione fin dall'inizio. Il suo tono stava diventando più serio ed aumentava di volume. Il suo sorriso era scomparso del tutto, lasciando spazio all'ira che Martin aveva conosciuto nella sua auto, sotto casa.
Martin non era in condizioni di rispondere, solo annaspava e sospirava, cercando di sedersi da qualche parte, ma sentiva la pelle stritolarsi graffiata sotto la presa delle mani di Gaeta, che ancora lo teneva fermo obbligandolo a stare in piedi. Sentiva ogni energia venirgli meno, sentiva il suo corpo arrendersi, la sua mente chiudersi, il suo cervello rigettare le parole con cui Gaeta cercava ancora di provocarlo. E Martin si chiese cos'altro ancora Gaeta volesse ottenere trattandolo in quel modo, a quale stadio di distruzione interiore volesse spingerlo prima di affondarlo del tutto.
― E' di questo che stiamo parlando?
― Non lo so... non lo so di che stiamo parlando. La prego, mi lasci andare...
― E no, Della Gherardesca, lei non se n'esce così facilmente da questa discussione.
Martin riuscì con un filo di voce a farsi spazio nella baraonda di sensazioni che non lo stavano facendo più respirare.
― Davvero, non so di che stiamo parlando. Non capisco più niente, non so niente...
― Ah, e così sto palando da solo?! E tu non reagisci! Non dici nulla? Non sei capace di dirmi niente??
Gaeta era accecato dalla sua mancanza di volontà, mentre Martin si sentiva come un filo d'erba che sta per essere asfaltato da una gettata di catrame incandescente, e la colata che gli tolse completamente l'aria lo investì quando Gaeta dalle parole passò ai fatti.
― Allora, vediamo se non dici niente neanche adesso.
Gaeta si avvicinò di più per guardarlo dritto negli occhi e per godersi la scena che dentro Martin stava prendendo forma, quando lasciò la presa di una mano sulla stoffa della sua felpa e la poggiò su un fianco di Martin lasciandolo senza fiato ed a bocca aperta. La delicatezza del gesto fece venire a Martin la pelle d'oca d'ovunque, e Gaeta poté seguire il cambio d'espressione quando la presa da leggera diventò più forte, e poi debole e poi calda, e poi insistente, e poi profonda ed a Martin non ressero le gambe quando Gaeta gli afferrò la carne e sembrò tirargliela via e Martin dovette incurvarsi maggiormente su se stesso ed ascoltare il sangue che gli esplodeva nelle vene. Non riusciva a pensare ad altro se non ai centimetri del suo corpo che Gaeta stava stringendo ed accarezzando, che gli provocavano un languore nello stomaco preso a morsi e che non riusciva a contenere. Gli venne naturale emettere come un urlo di sorpresa, che si soffocò sulle sue labbra quasi sul nascere. Ne uscì solo una boccata d'aria silenziosa. Ma la sorpresa non era tanto nel gesto di Gaeta, quanto nella sensazione di sconvolgente eccitazione che gli Gaeta aveva provocato. Si sentiva davvero in balia di ogni suo gesto, non aveva neanche la minima speranza di controllarsi, perché non si era mai trovato in una situazione di tale inferiorità. Perché di inferiorità si trattava. Non aveva mai provato un piacere tanto intenso da avere l'impressione che tutto il corpo gli si stesse aprendo in due nel punto in cui Gaeta aveva poggiato la sua mano semplicemente per accarezzarlo in un modo che lui non conosceva, e che non poteva immaginare così tanto intimo.
― Sei capace o no di dirmi cosa senti?
A Martin esplodeva la testa, perché nella sua confusione totale si rendeva conto che in realtà Gaeta aveva solo poggiato la sua mano sul suo fianco, ma la reazione che aveva provocato era realmente incontenibile che Gaeta ne era perfettamente consapevole, e quest'aspetto per Martin era il più difficile da accettare.
― Non sei neanche capace di pensare che in questo momento ti piacerebbe essere sbattuto come niente fosse in un cesso qualunque, contro un lavandino qualunque. Tu, non sei capace di reagire a niente!!
Finì la frase assestando una stretta talmente forte che Martin si sentì scavare dentro ad una profondità tale da pensare che Gaeta gli volesse strappare il fegato, o un rene, a mani nude. Era sempre più ripiegato su se stesso, ed a bocca aperta ancora incassava incredulo i dettagli del nuovo attacco, attendendo solo che finisse.
La voce di Gaeta che gli sibilava ad un centimetro dal viso era tagliente perché Gaeta voleva ferirlo, provocare una sua reazione, ma Martin solamente incassava, e si sbriciolava fra le mani di Gaeta che ancora gli massaggiava un fianco e lo scuoteva debolmente, e sorrideva come superiore ad ogni sofferenza possibile al mondo.
― Non è colpa mia se ti piace come ti sto toccando. E la cosa non cambia, anche se smetto.

Tre maggiore di dueWhere stories live. Discover now