Capitolo 36 - I

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Mentre Ludovica faceva una doccia e si dava una sistemata dopo l'intenso incontro che avevano appena avuto, Martin era in cucina e stava preparando una colazione molto, molto ricca, visto che lui stesso non aveva granché cenato la sera precedente. Aveva fritto delle uova, spremuto delle arance, fatto abbondante caffè, lavato una coppa d'uva bianca, abbrustolito delle fette di pane e fatto dei toast al formaggio. Il tutto in pochi minuti. Quando Ludovica entrò nella stanza, non credeva ai propri occhi, perché la tavola era piena di ogni cosa e sistemata di tutto punto, come se una cameriera trasparente avesse elargito i suoi servigi con uno schiocco delle dita.
Martin le sorrise e le mise nel piatto delle uova strapazzate.
― Martin, ma sei impazzito? Così, di prima mattina?
― Ma sai che ore sono?
Ludovica si strinse nelle spalle, ma si rendeva conto che avrebbe potuto tranquillamente essere l'ora di pranzo.
― Sono le due ed un quarto del pomeriggio, avrò pur diritto a cenare!
― Come cenare!
― Sono a digiuno da quasi ventiquattro ore, se non mi fermi... mangio pure te... se ancora non ti avessi già divorata.
Ludovica un po' arrossendo lo baciò, passandogli accanto per raggiungere il proprio posto.
― Scherzaci sopra, bravo. Vorrei tanto sapere cosa ti è successo nelle ultime ore.
Martin si versò da bere con tono indifferente.
― Non chiedermelo Ludo, non saprei cosa dirti.
Ma Ludovica notò un leggero tremore della voce, che Martin mascherò tossendo ed aggiungendo dello zucchero al suo succo d'arancia.
― Martin, credimi, ci sono momenti in cui... io ti perdo. Non so dove finisci. Veramente.
― Non ti capisco. Io ti amo Ludovica, perché dovrei essere da un'altra parte?
Martin la guardava vacillante rispetto a quello che Ludovica gli stava confessando. Sentiva la sua profonda indecisione nel continuare ad insistere sull'argomento, come quasi avesse paura a chiedergli ulteriori spiegazioni. Ma nonostante tutto, Ludovica lo fece.
― Non so, non so cosa dirti. A volte sento che sei solo, e non vicino a me. Io ti perdo Martin, e non riesco a raggiungerti in nessun luogo.
Martin si passò le mani fra i capelli, che sentiva ancora un po' bagnati e scompigliati sul viso.
― Ludo, ti prego, non pensare mai che io non sappia...
Martin interruppe la frase a metà. Ma che voleva dire? Sapere cosa, quanto lei lo amasse? Ma non era quello il punto di cui parlava Ludovica.
― Non pensare mai che io... non voglia stare con te... fino all'ultima fibra del mio corpo.
Ma di quale corpo stava parlando? Di quali fibre? Dove stavano di preciso le sue ultime fibre? E le penultime? E quelle subito dopo le ultime? Perché sicuramente c'erano una marea di fibre che Martin non sospettava esistere dentro di sé, visto che sapeva bene, molto bene a cosa Ludovica si riferisse, a quali momenti di allontanamento lei alludesse. Solo che la sua sorpresa fu che non pensava si notassero. In tutti gli anni in cui si era allenato a stare con gli altri, ed a vivere in mezzo agli altri nascondendo la voragine di vuoto che qualche volta lo assaliva proprio in quei momenti in cui avrebbe dovuto sinceramente sentirsi unito all'essere umano che gli era accanto, fosse stato anche Genio in uno dei suoi momenti di massimo delirio...
In passato la risposta che si era data era ovvia, ed era che Martin raramente amava, anzi, forse mai gli era capitato. Era per questo che con Ludovica gli era sembrato tutto diverso, pulito e vero, perché aveva sentito la possibilità che Ludovica riuscisse a guardarlo fino in fondo, nel fondo degli occhi, per scoprire se davvero quelle maledette fibre in eccedenza esistessero o meno, se ci fosse altro spazio, stanze nascoste, cunicoli segreti in cui ogni tanto Martin sentiva di sprofondare senza che nessuno riuscisse a tirarlo fuori, come si farebbe con un ragno da un buco nel muro. Martin se ne restava sempre steso sul fondo del pozzo che aveva nel cuore, ed in quel posto si era sempre sentito al sicuro, perché nessuno aveva notato mai neanche l'imboccatura a cui aveva legato il secchio.
Ludovica invece lo aveva sorpreso in una posizione quasi intermedia, che Martin non riusciva a decodificare. Ludovica era stata in grado di accorgersi del crepaccio che aveva nel cuore, ma non era riuscita a calarsi dentro.
E forse, le ultime fibre del suo corpo erano proprio in quell'espressione vuota che gli rimaneva in viso tutte le volte in cui si rendeva conto che nessuno sarebbe arrivato talmente in fondo da tirarlo fuori.
― Ma lasciamo perdere adesso, davvero Martin, pensiamo a mangiare.
Martin era chiuso fra due cuori. Benché fosse totalmente d'accordo a non continuare la discussione, non poteva non chiedersi come potesse Ludovica non volersi porre alcuna domanda. Come faceva a reggere una relazione, anche se nata da poco, di cui non comprendeva le dinamiche? Avrebbe con la stessa intensità voluto che Ludovica si battesse per lui, per possedergli il cuore con tutte le sue regole. Ed invece era come se si accontentasse di averlo dentro il letto, anche se si sentiva un po' troppo ingiusto a pensarla tanto crudamente. Era innegabile la generosità di Ludovica, la sua gentilezza, la sua voglia di essergli accanto, che erano una prova tangibile dell'amore che provava, ma era anche come se Ludovica non riuscisse a stargli al passo, come se qualcosa di Martin le sfuggisse per definizione, senza che Ludovica neanche tentasse con più accanimento di afferrarne il bandolo. Era come se Ludovica,oltre un certo limite, non volesse spingersi a capire.
Ludovica tirò tutto d'un sorso il suo succo, e con occhi socchiusi, cercò altri argomenti per fare in modo che Martin si lasciasse alle spalle le ultime ore trascorse e tornasse alla normalità. Così spezzando un pezzetto di merendina, si lanciò in una chiacchiera leggera.
― Per fortuna che oggi Gaeta ha cancellato le due ore di lezione.
Ludovica aveva colpito Martin con una mazza ferrata in pieno volto, perché Martin vacillò qualche istante, cercando di confondere l'attimo di cedimento con un ennesimo sorso andato male.
― Ma tu... come lo hai saputo così velocemente?
― Loretta... te la ricordi Loretta? Bé, una mia amica, era in facoltà per cose sue, ed ha avuto la notizia, così ha mandato un messaggio un po' a tutti, ed è arrivato anche a me.
Martin continuava a sorseggiare il latte caldo dalla tazza, prestando vagamente attenzione al suo racconto, ma con tutto il corpo riverso nel dolore che in un attimo gli si era svegliato addosso e dovunque, nella mente, nei pensieri che si erano bloccati di nuovo sulla nottata del giorno prima, sull'auto di Gaeta parcheggiata in strada sotto casa, sulle sue mani che non avevano conosciuto nessuna forma di ritegno nell'utilizzare Martin a proprio piacimento.
E sul bacio.
Su quell'unico bacio che ancora ricordava sconvolgente, e caldo, e si rendeva conto... solo poco alla volta si stava rendendo conto, che non riusciva a confessare neanche a se stesso quanto in profondità fossero arrivate le sue carezze, quanto fosse stata forte la sua emozione, la sua erezione, la sua allucinazione al gesto che aveva compiuto Gaeta afferrandogli il mento per piegarlo da un lato e sollevarlo. Quel gesto, l'intensità di quel gesto che ancora gli bruciava vivo come stesse continuando a ripetersi anche in quel momento a rinnovargli la vertigine, gli riassumeva la potenza dell'esperienza che aveva vissuto, e tutta la rabbia che provava per non essere stato in grado di opporsi, né il giorno prima come anche nel momento in cui solo ricordava, e di nuovo tornava ricordare, d'avanti a Ludovica che continuava a parlare ed a sistemarsi i capelli sulla nuca.
― Gaeta. Oggi non fa lezione.
Martin pronunciò un unica frase, con tono quasi assente.
― E' davvero un evento. Veramente Martin. L'anno scorso non è mai accaduto, per esempio.
― Mah, che ne sai, non è che le avrai seguite tutte...
― E invece sì, o meglio, per quelle poche che non ho seguito, tipo... due, sono riuscita ad avere gli appunti, sai, roba ben scritta. Voglio dire che lui le ha fatte tutte, insomma. Sono importanti gli appunti di Gaeta... se salti qualcosa... e come fai?
― ... e certo, e come fai?
Martin la scimmiottò, ma quasi senza accorgersene, con la mente ancora altrove, neanche lui sapeva dove.
Era certo di aver visto l'auto di Gaeta di nuovo parcheggiata fuori dal Camelot, una volta tornato con Genio per recuperare la sua, ma in realtà non poteva proprio esserne sicuro. Forse Gaeta aveva cancellato la lezione perché era rincasato tardi, magari ubriaco, magari con ancora in bocca il sapore di Martin...
Martin si alzò di colpo, mentre Ludovica lo guardava starsene silenziosamente in piedi d'avanti a lei ma con lo sguardo in fondo all'orizzonte oltre ai palazzi ed alle antenne paraboliche che si stendevano fuori dalla finestra, mentre in teoria stavano facendo ancora colazione nella stessa stanza.
Martin non riusciva a pensare ad altro se non al gesto con cui Gaeta gli spostava il mento. Stava diventando una ossessione, ogni volta che il pensiero tornava a sorvolare gli episodi della sera prima, tornava improvvisamente a soffermarsi su quella stretta sul viso che lo lasciava senza fiato e con un buco nello stomaco. Ma altro non riusciva ad aggiungere al ricordo, solo la sensazione di terremoto cerebrale e niente altro, e poi se non ancora la presa della sua mano sul suo mento, della sua lingua sempre più insistente e delicata che gli accarezzava il palato, perché c'era poco da girarci intorno, ormai Martin doveva iniziare ad ammettere che glielo aveva lasciato fare, e glielo stava lasciando fare ripetutamente ancora, rivivendo quel momento con la stessa dirompente intensità.
I ricordi della serata cominciavano a ricostruirsi, facendosi strada a fatica fra sentimenti contrastanti, ma sopra ogni cosa, il non voler provare le sensazioni che stava provando, era un freno che non gli permetteva di mettere insieme i dettagli di un quadro doloroso, di cui Martin iniziava ad essere consapevole.

Tre maggiore di dueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora