Capitolo 8 - I

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Martin si era svegliato, era ancora in casa di Ludovica, ci impiegò qualche minuto per mettere a fuoco i fatti degli ultimi giorni. Ludovica in casa non c'era, e lui si alzò dal letto ed uscì dalla stanza. Indossava dei boxer grigio scuri. Era solo in casa. Nei discorsi di quei giorni aveva saputo che nell'appartamento viveva anche un'altra ragazza, ma non aveva capito perché in quei giorni non ci fosse. Entrò in bagno e fissò l'immagine riflessa nello specchio sul lavandino. La sua sagoma lo guardava nella stessa maniera intensa con cui lui continuava a fissarla, senza che nessuno dei due si decidesse ad abbassare lo sguardo per primo. Nonostante la poca luce del primo mattino a finestre quasi chiuse, al collo distingueva nettamente la sua collana d'oro che tirò subito contro il mento, fino a far pendere poco sotto le labbra il ciondolo rubino a forma di cuore.
Ma che stava facendo ancora in quella casa? Intorno a sé, e per sua stessa volontà, il tempo sembrava essersi fermato, proprio nel momento in cui avrebbe dovuto accelerare verso una scelta di vita, e di studio, che sicuramente sarebbe stata l'inizio del nuovo a venire. Era davvero quello il luogo dove avrebbe dovuto rimanere? Ed i suoi amici? E Genio con le sue geniali e sconcertanti idee ed i suoi mille modi per rompersi la testa? Si sporse sul lavello per guardarsi più da vicino. I capelli gli erano rimasti dritti sulla fronte. Il taglio della bocca sembrava un enorme sorriso grottesco, lunghissimo da orecchio ad orecchio, perché la catena d'oro gli correva sulle guance infossandole e rendendo le labbra più grosse del normale. Provò ad immaginare che a guardarlo ci fosse qualcun'altro, giudicandosi dal di fuori e senza essere se stesso. L'immagine del suo corpo lo soddisfaceva pienamente, e benché non fosse vanitoso, trovava ipnotico continuare ad osservarsi, immobile, quasi completamente nudo davanti ad uno specchio. Ma era lo specchio di Ludovica.
Era davvero interessato a restare là con lei? L'estate sarebbe prima o poi finita, e quell'anno gli sembrava stesse finendo più in fretta. C'erano ancora molti documenti da preparare, e poi l'alloggio e tutto il resto, già da tempo avrebbe dovuto darsi una mossa e quanto meno scegliere la città. Ma il viaggio nel Salento lo aveva disorientato. Nel giro di pochi giorni aveva cancellato quasi totalmente l'idea nutrita da sempre di trascorre con i suoi amici di una vita anche gli anni dello studio, che comunque contava di vivere con leggerezza e poco impegno sentimentale. Aveva cancellato ogni barlume di progetto se mai ne fosse esistito uno, e si era totalmente abbandonato su un piano alternativo e quasi privo di dimensione temporale, con una ragazza che sembrava abitarlo stabilmente e con disinvoltura. Ed una volta successo questo, la scelta della città si stava determinando da sola, invece di essere frutto di una adeguata riflessione: Ludovica studiava a Lecce, iscritta alla facoltà che Martin aveva già deciso di voler frequentare. Lecce era una bella città di provincia, vicina al mare, pulita. I suoi certamente non se sarebbero stati entusiasti, puntando invece su sedi più soggette all'influenza della sua famiglia, come Milano, Pisa ed ovviamente Firenze.
Continuava a guardarsi allo specchio, tirando in avanti la testa ed aumentando la tensione della collana sulle guance. Il ciondolo gli urtò i denti facendo un suono metallico che lui adorava e spesso provocava di proposito. Trattenne il cuore fra i denti e poi lo lasciò scivolare sulla lingua. Era un gioco con se stesso che gli procurava un certo tipo di piacere inspiegabile, quasi accarezzarsi la carne viva del flusso dei suoi pensieri, nei momenti più solitari. Il battito del cuore, di quello vero, cominciò ad accelerare mentre Martin pensava a quanto avrebbe voluto in quel momento che qualcuno gli passasse le braccia intorno ai fianchi, e lo stringesse forte, e gli ripetesse tante volte, tante volte, di essere vivo ed importante per qualcuno, che lo tranquillizzasse sulla certezza che la sua esistenza avesse un senso, e che se la cosa non gli fosse stata ben chiara, avrebbe dato di nuovo qualunque cosa perché questo qualcuno avesse avuto il tempo di spiegargliene il motivo, a parole e con i fatti, e che se ancora non gli fosse stato il concetto abbastanza cristallino, avrebbero potuto cercarlo insieme. Anche se fosse stata necessaria tutta una vita, Martin avrebbe regalato totalmente se stesso a chi avesse avuto la pazienza, ma soprattutto l'intuizione, di impegnarsi per farlo sentire parte di un posto, di una coppia, di una famiglia. Non si ricordava in che modo questa sua fragilità gli fosse nata nel cuore, ma Martin spesso non era in grado di sentire gli altri, come se tutti gli abitassero la vita di passaggio ed un po' per caso, e come se non fossero stati là anche per lui.
Fermo d'avanti allo specchio non si rese conto di quanto tempo fosse passato, se ne accorse solo quando il caldo della mattina iniziò a farsi sentire più insistentemente. Si guardò le braccia abbronzate e ci vide sopra un sottile strato luminoso e tremolante, che alla luce bassa della stanza da bagno con le tapparelle semichiuse, luccicavano quasi ridisegnandogli addosso la muscolatura. Stava iniziando a sudare e la patina di luce si radunava in piccoli punti più illuminati di altri. Un profondo dolore invase la sua mente, un dolore che quasi subito si trasformò in sensazione fisica, dal sapore amaro che gli salì in bocca. L'idea di sentirsi addosso la propria solitudine lo infastidiva, e lo faceva soffrire maggiormente.
Come faceva a sentirsi solo nella situazione che stava vivendo? Ognuno dei suoi amici avrebbe fatto carte false per trovarsi al suo posto. Nel bel mezzo di un viaggio li aveva epicamente scaricati e si era trasferito a casa di una ragazza bellissima appena conosciuta, che si dimostrava totalmente a sua disposizione per ogni tipo di gioco o relazione che a suo piacere gli sarebbero potuti venire in mente, ne era certo. Come faceva a non sentirsene gratificato come invece avrebbe sicuramente fatto Genio? Genio come qualunque altro ragazzo nel pieno delle proprie attività ormonali, a dirla tutta. Un fuoco di dolore gli salì dallo stomaco per infilarsi nel cervello, e nel cuore. Un indescrivibile desiderio di scomparire nel nulla lo aveva assalito, di sprofondare nel futuro, di saltare le settimane che aveva d'avanti per ritrovarsi solo pronto a seguire le lezioni, in qualunque luogo, ed a fianco di chi la sorte gli avrebbe assegnato. Come un testa o croce per il quale Martin non aveva la forza per lanciare la moneta. Perché Martin non riusciva a scegliere, ed ancora continuava a guardarsi negli occhi, da vicino.
Aveva bisogno di farsi una doccia, e di lavarsi di dosso non solo il sudore, ma anche tutti i pensieri angoscianti che gli stavano togliendo il respiro. In quei momenti avrebbe voluto non trovarsi da solo, ma la cosa era inevitabile, perché quegli impulsi di dolore lo prendevano solo in piena solitudine. La presenza di qualcun altro non gli avrebbe mai permesso di addentrarsi così in profondità nei suoi pensieri. La superficiale vicinanza degli altri per Martin era quasi l'innescarsi di una sfida. Una sfida fra se stesso e la voglia sempre fortissima di incontrare qualcuno in grado di fargli compagnia. Sentire la presenza di qualcuno talmente da vicino da essere toccato, ma dal di dentro, come se il suo corpo possedesse un controcorpo che aderisce al primo, ma all'interno, dal lato concavo delle guance, della pelle, della sua anima pronta ad accogliere chiunque si fosse presentato.
Doveva assolutamente fare una doccia, per scollare da sé tutto il dolore superfluo come fosse stata sporcizia. Per raffreddasi dentro, e non pensare a quanto avrebbe voluto che qualcuno lo accarezzasse senza che lui dovesse chiederlo, senza che ci fossero altri motivi, o amori, o attrazioni, o spruzzi di Autan nell'aria calda del primo pomeriggio. Solo carezze che gli scaldassero il cuore, che lo toccassero dove niente era arrivato mai.
Entrò nella doccia e chiuse il vetro alle sue spalle. Aveva aperto l'acqua e poggiato le nocche dei pugni sulla parete che aveva di fronte. La carezza dell'acqua era piacevole e generosa. Cambiando lievemente posizione poteva farla scorrere e controllarne i movimenti. Le dita dell'acqua gli bagnavano il viso, lo accecavano come fosse stato un gesto d'amore, e gli asciugavano via dagli occhi le lacrime segrete che sapeva versare solo sotto quelle mani liquide che gli sbattevano contro le palpebre serrate.
Pianse senza muoversi, in piedi, spingendo i pugni contro le piastrelle bianche della parete. Non sapeva cosa fare, se restare con lei o andarsene. Ma era una decisione che doveva prendere da solo, non poteva chiedere il suo aiuto. Si sentiva tirato da più parti senza che nessuna avesse il sopravvento. Poi si strinse le braccia addosso, afferrandosi le spalle con le mani, accavallando i gomiti uno dentro l'altro. Le unghie iniziarono ad affondare nella carne, ed a lasciare i primi segni sulla pelle. Gli sembrava quasi di abbracciarsi da solo, sotto il getto dell'acqua in una giornata afosa a casa di una ragazza che però in quel momento non era là con lui.


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