Capitolo 48 - I

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Nei giorni che seguirono Martin conobbe l'oscurità totale di un periodo fatto di languore e false certezze. L'apparente stato di tranquillità in cui era caduto lo lasciava esangue per intere giornate ciondolare in casa senza nulla di particolare da fare. Non usciva di casa da qualche giorno, le lezioni erano state tutte sospese da circa una settimana per alcune attività di cui non aveva capito molto, ma che erano connesse alle elezioni del nuovo rettore, e le aule, quelle principali fra cui l'aula Ferrari, erano sede di riunioni e confronti fra docenti e rappresentanti del corpo studentesco. Questo gli aveva raccontato Ludovica, le volte che da sola si era recata in facoltà per consultare libri o incontrarsi con delle amiche per confrontare appunti.
Nelle lunghe mattine gettato sul letto, interrotte solo dalle chiacchiere con Genio e da qualche visita di Ludovica che poi si protraeva indefinitamente, per i lunghi pomeriggi interminabili, in cui Genio cercava di coinvolgerlo almeno in qualche scontro all'ultimo sangue con la PS, per non parlare poi delle serate, spesso a seguito di Genio in palestra e poi di nuovo in casa ad attendere che la notte passasse, Martin aveva come unico obiettivo quello di far passare il tempo in un modo o nell'altro, ed il fatto di essere rimasto isolato dal resto del mondo, lo aiutava a non concentrarsi sui pensieri ed i sentimenti che gli scoppiavano nel cuore senza che lui gli desse l'occasione di emergere in superficie per essere osservati in piena luce.
Martin si rifiutava di pensare. Rimandava il momento di riflettere a come avrebbe mai potuto sopravvivere un attimo di più senza sapere dove fosse Gaeta in quel momento, che cosa stesse facendo, e con chi. Il fatto di averlo visto l'ultima volta riflesso in un vetro correre via come risucchiato da una telefonata, a cui aveva sorriso sparendo scendendo le scale, lo lasciava sospeso in un vuoto di senso che, benché non gli desse forza abbastanza per affrontare con se stesso l'argomento, non lo faceva neanche ragionare con lucidità, appassionare a niente, ma solo gli addolorava il fondo della mente con un veleno amarissimo. Il pensiero di Gaeta ormai era l'unico presente nella sua carne, ed era fatto di sensazioni che gli scorrevano addosso, e che lo portavano ad essere avvolto dalla pelle d'oca. Sentiva la mancanza di Gaeta come se gli avessero estratto il cuore a mani nude, sentiva il petto lacerarsi ogni volta che gli tornava in mente l'attimo in cui gli era passato d'avanti uscendo dall'aula Ferrari, quando per quell'attimo in cui si erano guardati negli occhi Martin aveva sentito come dentro di sé non ci fosse più spazio per niente altro se non per lui. Ed alla luce di un'emozione ormai incontenibile, Martin era disposto ad accettare l'idea di soffrire l'assenza di Gaeta senza porsi il problema del motivo.
Martin senza accorgersene aveva allontanato tutti, chiudendosi in un mondo fatto di grigiore ed apatia senza via d'uscita. Persino Ludovica se ne era accorta, e mentre gli spettinava i capelli ci scherzava sopra.
― Martin, tu sei il classico caso di morte apparente.
Genio ovviamente non si lasciava sfuggire la battuta facile, e stuzzicava Martin con battute sulla prestanza fisica.
― E che bisogna dire... anche i miti crollano.
Seduto in cucina con i pantaloni del pigiama e a piedi nudi sul pavimento, Martin continuava placidamente a fare colazione, di quelle colazioni interminabili che sempre aveva fatto con Genio, anche Firenze, ed alle quali ormai si era aggiunta con naturalezza anche Ludovica. Martin li ascoltava in silenzio, senza dar peso ed attenzione alle loro battute che avevano come unico obiettivo quello di prenderlo pesantemente in giro. Martin non sembrava assolutamente esserne disturbato. Li guardava dall'alto della sua fetta biscottata, perfettamente imburrata e ricoperta di confettura di ciliegia, e sembrava sorridere leggermente quasi ringraziandoli per quella dose di familiare normalità che gli regalavano senza saperlo, riportandolo alla vita e riagganciandolo al punto da dove sembrava essersi scollegato con l'arrivo di Gaeta. Martin sorrideva in silenzio quasi per provocarli, masticando rumorosamente e sparpagliando fiumi di briciole sul tavolo, sperando che il loro scherzo continuasse in eterno, e Martin sperava che continuassero, e che esagerassero e che lo riducessero ad una poltiglia di emozioni forti. E Genio non attendeva altro, tanto che ormai, il forte legame di complicità che aveva sviluppato con Ludovica, gli permetteva di fare anche pesanti battute sulla loro vita intima senza che lei se ne avesse a male. Prendere in giro Martin era diventato ormai un gioco fra di loro per stuzzicarlo sulla incrollabile precisione nel fare qualunque cosa.
― Ma hai notato la perfezione delle sue fette? Lo strato del burro è assolutamente regolare e spesso la metà di quello rosso.
Martin tirava via a morsi la sua colazione, ignorandoli del tutto, ancora assonnato di un sonno fatto solo di inquietudini e vertigine, e con negli occhi una tonalità di verde che tradiva il suo stato di totale abbandono, e relax, ed incapacità di fare nulla per dare un senso all'ennesima giornata che avrebbe trascorso fra sé e sé e quanto di Gaeta gli fosse rimasto nelle vene.
― Ma Ludo... fa così in tutto?
E mentre lo diceva, Genio indicava Ludovica brandendo un cucchiaino come fosse stato una sciabola.
― Cioè, voglio dire, quando ti scopa... te la imburra con uno strato omogeneo e procede alla porco così, oppure...
Ludovica scoppiò a ridere, mentre Martin gli lanciò sulla maglia l'ultimo pezzo di colazione, che dopo essersi incollata in pieno petto, cadde in terra esplodendo in ogni direzione.
― Il solito stronzo...comunque, lanciami quello che vuoi... la donna delle pulizie, la paghi tu.
Ludovica si alzò dalla sedia ridendo, andò alle spalle di Genio e fingendo una movenza sexy contro la sua schiena, gli sfilò la maglietta senza avvisarlo, afferrandogliela da dietro e tirando forte verso l'alto.
― Ludo... è una risposta?... non è oro tutto quello che luccica?
Ludovica si sporse in avanti per guardarlo in faccia.
― Non ti scopa come vorresti?
Ludovica scoppiò a ridere guardandolo di traverso.
― Dammi la maglia, Genio... te la smacchio.
E mente si allontanava dal tavolo, Martin si avventò su Genio assestandogli un pizzicotto su una parte del petto che lui sapeva essere per l'amico molto sensibile eroticamente, ma anche molto al dolore. Poi gli arrivò addosso con tutto il peso del corpo, soffocandolo e strofinandogli sulla testa le nocche di una mano chiusa a pugno.
― Ma che c'hai in questa testa di cazzo? Segatura? Cacca di cane?
Martin lo guardava con l'affetto che spesso ormai non riusciva più a trasmettere a nessuno, e Genio se lo spinse lontano, rimettendo un po' in ordine il casino che si era riversato sulla tavola. Martin tornò a sedersi quasi lasciandosi cadere all'indietro, e quando si accorse che Genio lo stava fissando intensamente, fece finta di non accorgersene, guardando sul tavolo e spostando briciole con la punta delle dita.
― Che ti succede, Martin?
Il suo tono era diventato serio, e lievemente più basso. Genio gli parlava sottovoce per non farsi sentire da Ludovica che era nella stanza accanto, e Martin capì che lo scherzo era finito, Genio era una componente essenziale della sua famiglia, del suo equilibrio, del suo mondo, e lo stava inchiodando in un discorso che prima o poi sarebbe dovuto arrivare. A Genio non riusciva a nascondere niente.
― Genio...
― Stai parlando con me, Martin. Che cazzo ti sta succedendo!
Genio poggiato sui gomiti gli sbarrava gli occhi a pochi centimetri dai suoi, ed ormai gli parlava allungandosi in avanti fino quasi arrivandogli addosso.
― Lascia da parte Ludovica, lo studio, ogni cazzo di cosa del cazzo in questa città del cazzo, e dimmi cosa sta succedendo.
― Genio, non succede nulla, sono stanco.
― Stanco?! E stanco di cosa, Martin! Non lavori in miniera, hai vent'anni e sei in piena salute, sei con la tua ragazza, non lavi neanche un bicchiere per sbaglio...
Martin rimase per un poco in silenzio, senza guardare niente, senza pensare a niente, poi si decise a fare un passo avanti verso Genio e la sua sincera preoccupazione.
― Perché mi fai queste domande? Cosa noti di diverso?
― Martin ci conosciamo da una vita, anzi forse da prima. Non puoi dirmi fesserie e pensare che non me ne accorga.
― Quali fesserie?
― Che non sia successo niente, che tutto proceda normalmente.
― ...si vede così tanto?...
― Centro! Allora ho fatto centro!
Martin sbarrò gli occhi su di lui, cercando di risollevarsi allo scivolone di debolezza in cui l'aveva spinto Genio, riuscendo a riprendere il controllo della voce.
― Genio, niente di importante...
Martin sorrise d'un sorriso che non sorrideva, ma solo gli ricordava che un tempo ne sarebbe stato capace. Martin ormai sentiva nitidamente dentro l'anima l'impossibilità di sorridere senza sapere cosa avesse fatto sorridere Gaeta parlando al cellulare fino a farlo fuggire senza riservargli un cenno di saluto come quelli che sapeva sfoderare solo lui e che gli avrebbe almeno lasciato viva la speranza di essere stato notato fermo ed in attesa, fuori dall'aula.

Tre maggiore di dueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora