Capitolo 34 - Libido

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Abitudine.
Parola del giorno che significa riuscire finalmente a dormire. Per Faith era il significato di quella mattina.
Il cigolio delle molle arrugginite del materasso era presto diventato un nenia a cui l'orecchio non prestava più attenzione.
Le stesse molle che provocavano quei fastidiosi avvallamenti erano diventati argini nei quali il corpo di Faith riusciva ad incastrarsi comodamente.
La signora Mulligan, l'affettuosa vecchietta che ogni mattina alle otto apriva la sua finestra dirigendo i raggi solari verso la stanza di Faith, era diventata una sveglia tanto silenziosa quanto efficace e puntuale.
Ma quel sabato mattina qualcosa di inedito si univa a quel concerto di sensazioni. Un nuovo strumento. Forse due. Erano vicini. Sotto la sua finestra.
Ma la vescica urlava dal bisogno.
Tanto ormai sono sveglia...
Senza staccare la suola delle pantofole da terra si avviò ad occhi chiusi verso il bagno.
Abituarsi.
Si era abituata anche a quella stanza. Ne riusciva a percepire gli spigoli dei mobili, le asperità del pavimento ormai anche al buio.
Dicono che la routine sia deleteria. Eppure vivere in quella casa, compiere gli stessi schematici movimenti, rinchiudersi a doppia mandata al riparo da Harry e Cameron, era stato logorante ma le aveva permesso di acquisire una sorta di sesto senso. Un po' come i soldati nella giungla. L'abitudine affina i sensi e per la prima volta si sentì davvero a casa. Sentì di poter appartenere ad un luogo e venire, da esso, ricambiata.
Eppure quello strano suono continuava a disturbare il suo sonnambulo dormiveglia.
Con i capelli in disordine e la vista appannata dalla luce, Faith si affacciò alla finestra.
Justin e Cameron erano in giardino.
« Ragazzi! Che fate? »
« Ma come siamo belle! » ironizzò Cameron.
« Smettila scemo! Scusa Faith se ti abbiamo svegliato! »
Justin era chino su di un'asse di legno. Una matita ferma sopra l'orecchio e dei chiodi bloccati tra le labbra. Cameron invece spingeva avanti ed indietro un arrugginito tagliaerba manuale che più che tagliare, le lame poco affilate la trituravano in un sinistro rumore da film dell'orrore.
Un insolito caldo mattutino aveva spinto entrambi a togliersi le magliette. Il sudore risplendeva sui loro corpi adattandosi ed insinuandosi tra le curve dei muscoli.
Oh mamma!
« Non preoccuparti Justin! E tu Cameron, non credere di essere tutta questa bellezza! » mentì Faith.
« Bugiarda! » esclamò lui di tutta risposta, contraendo i pettorali alternatamente all'indirizzo di Faith.
Un'ondata di libido la spinse a chiudere velocemente la finestra e lasciargli nuovamente la soddisfazione dell'ultima parola.
La rabbia poco poteva. In quel gioco era indiscutibilmente il più bravo che avesse mai incontrato e Faith conobbe una sua attitudine fino ad allora sconosciuta: la resa.
Mai, come con quei ragazzi, le sue difese risultavano inutili.
Con Justin la fiducia e la complicità erano motivi più che validi per tenerle costantemente abbassate. Harry, al contrario, aveva un arma chiamata menefreghismo che aveva come conseguenza spiacevole la loro totale inutilità. E Cameron? Cameron, causa involontari spasmi intimi che gli ormoni le provocavano, le rendevano praticamente inesistenti e le difese si scioglievano liquide come la voglia che Faith lasciava sul pigiama.
In balia di quei tre cicloni la piccola nave Faith poco poteva se non assecondare le onde.
Era dura cercare di essere decente la mattina presto. Doversi lavare, pettinare e truccare senza la minima briciola dei pancake di Justin nello stomaco a sollevare lo spirito e gli zuccheri in circolo.
Ma tant'era.
La morbidezza della superficie disfarsi sulla lingua e liberare il cuore caldo nascosto dentro essi.
Odiava ammetterlo ma doveva: se c'era qualcosa a cui non sapeva resistere erano i dolci. Sfortunatamente per la linea di Faith due fattori acuivano quel desiderio: la bravura di Justin come cuoco e le prime avvisaglie dell'imminente ciclo.
« Buongiorno! »
« Buongiorno chef! Stamattina ti sei superato! »
« Troppo buona! » esclamò Justin.
« No! Questi sono troppo buoni! »
« Sono felice che ti piacciano! »
« Cosa fate lì fuori? »
« Un po' di lavori casalinghi! » spiegò Justin mentre, a petto nudo, si dissetava dal rubinetto della cucina. « Ho notato hai accumulato tutti i tuoi libri in cataste nella tua stanza così ho deciso di costruirsi una libreria! Mi aiuta anche Cameron, incredibilmente! »
« Non ci credo! Grazie! Ma Cameron che lavora la voglio proprio vedere! » disse raccogliendo dal piatto il pancake morsicato e dirigendosi verso la porta di ingresso.
Se ne accorse immediatamente. Avrebbe dovuto dare maggior peso a quella ennesima gentilezza. Sarebbe stato giusto riservargli un abbraccio, un bacio sulla guancia, il giusto riconoscimento.
Sarebbe arrivata alla porta e lo avrebbe fatto.
Si ripromise di farlo.
Un istante. Justin svanì dai pensieri divorato da acqua, muscoli e capelli lucenti.
Una goccia.
Lenta scendeva tra quei fini capelli castani, scivolava sull'oro di una ciocca baciata dal sole, accarezzava le labbra, umide, carnose, talmente succulente da pregare di sprofondarvi dentro.
Scese sul lungo e aggraziato collo. Scelse i pettorali incanalandosi tra essi. Trovò l'ostacolo degli addominali. A fatica lo scalò. I primi. Poi i secondi. Curvò attorno all'ombelico. I terzi.
L'elastico dei boxer...
« Faith, stai bene? » le chiese Cameron mentre con la pompa del giardino trovava refrigerio da quella canicola.
Odiava sprecare il cibo ma le mani di Faith non riuscirono a trattenere il pancake tra le dita.

© G.

Angolo dell'autore:
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