Capitolo 3

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Per mia grande fortuna, per metà ironico per metà sinceramente, Harry ha preso il mio treno.
"Ma la divisa?" Mi chiede. Sembra più agitato di me. Ho paura a cambiare locale, colleghi e clientela... ma alla fine non devo cambiare modo di lavorare.

"Me la daranno lì."

Il primo treno ci porta fino a Stratford, poi abbiamo cambiato treno, dopo 10 fermate siamo arrivati alla stazione Westminister. Forse è stata veramente una fortuna essere stata in compagnia di Harry, almeno la prima volta, perché stavo già sbagliando binario.
Dunque ci troviamo a fianco del Big Ben.
Rieccoci qui.

Londra, cara Londra. Sono passati quattro anni. E sono con Harry, come con quattro anni fa. E come quattro anni fa, siamo in una posizione di disagio, dove non sappiamo cosa siamo e cosa vogliamo essere.

"Il sky&star è da quella parte" indico in direzione della London Eye... punto dolente.

"Il college è qualche chilometro avanti, anche io devo andare verso quella direzione."

Se lo avessi fatto di proposito non sarebbe mai capitato che prendessimo lo stesso treno e che dovessimo prendere la stessa strada alla stessa ora. Per non parlar del fatto che abitiamo nella stessa regione, pease, condominio e come ciliegina sulla torta, alla porta accanto!
È piuttosto imbarazzante, per quanto provi a non mostrarlo, essere a fianco con Harry senza trovare un argomento di discussione e anche se parlassimo... non so come comportarmi. Sto rimanendo distante, per non rischiare di ricadere tra le sue braccia... soprattutto ora che è fidanzato.

"È qui" dico fermandomi e indicando il vicolo alla mia sinistra. Fa un fischio e alza le sopracciglia. "Mi sento povero solo a respirare l'aria che circonda quel ristorante."

"Anche io, pur essendo passati due anni mi sento sempre a disagio." Ammetto grattando il braccio. "Beh, ciao." Accenno un sorriso e stringo il giubbino tra le spalle.

"Buon lavoro" augura, ma io sono già girata e cammino a passo veloce verso il retro.
Busso un paio di volte come il signor. Moore mi aveva detto di fare. Diciamo che l'organizzazione non è stata delle migliori.
Il padre di Kaleb mi ha dato il numero del gestore della catena di Londra, un certo signor. Wood o qualcosa di simile, il quale mi ha detto che devo presentarmi sul retro del ristorante mezz'ora prima dell'apertura e che mi aprirà un certo Louis, se non sbaglio, che mi farà fare un giro del ristorante.

"Sei l'australiana?" Chiede un ragazzo dopo un minuto che aspetto fuori al freddo. Annuisco, appoggia le spalle al muro facendomi passare. "Io sono Louis"

"Sì, immaginavo." Strofino le mani sulle spalle e mi tolgo il giubbino. "Io sono Vivian."

Afferro la sua mano per presentarmi, e mi punto sui suoi occhi. Un azzurro che sfuma sul verde. Alto, moro, spalle grandi e muscolose. Scommetto che ha dei tatuaggi, ormai il 90% dei camerieri, che lavorino in posti di lusso che non, hanno almeno un tatuaggio. Anche solo nascosto, ma c'è.
Ho in mente da tanto di farmene uno, ma non so dove perché ho paura del dolore, e non so cosa. Niente date, nomi o cose che riguardino persone. Un disegno che però abbia un significato personale.

"Io sono il capo cameriere... tu sarai la vice. Quando non ci sarò io, tu mi sostituirai e dovrai gestire le sale che ora ti farò vedere. Prima però cambiati, gli altri arriveranno tra poco." Più o meno Louis è come Eric, il capo, colui che gestisce il settore dei camerieri. Non è cambiato nulla, solo la persona e il luogo. Entro nello spogliatoio e c'è sulla panchina una divisa ancora impacchettata e un paio di chiavi e un portachiavi con scritto un numero, 16, il numero dell'armadietto. Mi cambio e vesto la divisa a pennello, anche un po' larga, le scarpe del numero giusto. Le taglie e il numero gliele avrà detto il signor. Moore. Metto i miei vestiti nell'armadietto numero 16, molto più grande rispetto a quello di Sydney.

Kismet • Harry StylesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora