Capitolo 8

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Raggiungo la cucina e apro il mobiletto in alto, tirando fuori una confezione di fette pan brioche. Non ho voglia di mettermi a cucinare e poi ho bisogno di un po' di dolcezza. Ma se sei negata nella cucina. Ignoro la vocetta snervante e tiro fuori anche il barattolo della nutella. Comincio a spalmarla su una delle fette, leccandomi le dita. Ma quanto è buona? Mi sento osservata e allora mi volto di scatto, trovando Mark poggiato allo stipite della porta, mentre mi lancia delle occhiatacce. Non ho proprio voglia di litigare, ne ho abbastanza. Varca la soglia della cucina, mentre io continuo a sporcare le mie fette col cioccolato e di sottecchi lo guardo. Si poggia al bordo del lavandino e continua a fissarmi, mettendomi a disagio. Ma la smette? Cos'ha che non funziona, in quel suo piccolo cervellino bacato?

«Che vuoi?» gli chiedo, spezzando il silenzio.

Fa spallucce e si dirige verso il frigo. Meglio se vado di sopra, il suo malumore mi rende isterica. Afferro il mio pan brioche ed esco dalla cucina, ma ovviamente mi ferma, afferrandomi per un braccio. Non capita spesso che mi tocchi, di solito mi tratta come una lebbrosa.

«Aspetta.» dice a disagio. Mi volto e lo guardo con aria interrogativa. «Tu e Watson, state insieme?» Non posso credere alle mie orecchie, allora è proprio geloso. Nascondo un sorriso ma non riesco a rispondergli. «Ti ho fatto una domanda!» insiste, stringendo di più il mio piccolo polso.

«Lasciami in pace!» dico, liberandomi dalla sua stretta.

«Non puoi stare davvero con quel tipo.»

Sta accadendo davvero tutto questo?

«Mark, non sono affari tuo, okay?»

«Sono affari miei, invece!» risponde convinto e con aria irritata.

Ora mi diverto.

«Ah, sì? E perché?»

«Perché...» si blocca, non sapendo cosa dire. È chiaramente a disagio e non è certo da lui. «Sei solo una sfigata, non puoi stare con uno come Sam.»

Il mio entusiasmo si spegne, lasciando spazio alla delusione. Mi ha appena detto che un bel ragazzo come Sam non starebbe mai con una come me? Ammetto che penso la stessa cosa, ma detta da lui fa più male. Oh, al diavolo, ora lo prendo a pugni sui denti!

«Brutto figlio...» mi fermo, prima di dire cose di cui potrei pentirmi. «Stammi lontano, tu sei pericoloso!»

«Cosa stai dicendo?» chiede da finto ingenuo.

Sa bene a cosa mi riferisco, eppure fa finta di niente. Perché devo sempre spiegargli le cose?

«Come ti è saltato in mente di mettere dell'olio sulle scale, avrei potuto rompermi il collo.» sbotto irritata.

«Olio?» si acciglia.

«Sì, stronzo! Non fingere, ti conosco.»

«Non sono stato io.» Rido nervosamente. Si aspetta davvero che creda alle sue parole? È ovvio che ha ordinato ai suoi scagnozzi di farmi quello scherzo, mentre lui era impegnato a fare chissà cosa e chissà dove. «Davvero credi che sia stato io?»

«Ovvio!»

«Non ti farei mai del male.» Ma se lo fai in continuazione. «Certo, ti detesto, ma non farei mai niente che potesse metterti in pericolo.»

Le sue parole mi sorprendo un po' e sto quasi per credergli, ma poi mi ricordo che si tratta di Mark e torno ad alzare la guardia.

«E pensi davvero che io ci creda?»

«Devi credermi, perché stavolta non c'entro niente.»

Sembra quasi disperato nel pronunciare queste frasi. Decido di ignorarlo e raggiungere il piano di sopra. Non posso credere alle sue parole, vuole farmi fuori dal primo giorno in cui ho messo piede in questa casa, quindi è ovvio che sia stato lui. La sua mente malata escogita sempre dei piani diabolici contro di me, è tipo un serial killer. Non credi di viaggiare troppo con la fantasia? Non viaggio di fantasia, ma di realtà. Adesso basta, non voglio più pensarci. Sono sicura che quel ragazzo finirà per farmi impazzire, è il suo intento, così mi chiuderanno in un manicomio, liberandosi finalmente di me. Devo stare lontana da lui e non rivolgergli mai più la parola. Spero che questi mesi passino in fretta, così potrò dirgli addio in modo definitivo.

***

È domenica mattina, stanotte non ho chiuso occhio, pensare alle parole di Mark. "Non ti farei mai del male. Certo, ti detesto, ma non farei mai niente che potesse metterti in pericolo." Mi chiedo come si possa essere così falsi, mi ha sempre detto che preferirebbe che io non esistessi, piuttosto che dividere la sua famiglia con me. È sempre stato crudele, soprattutto con le parole, quindi mi rifiuto di credere che sia innocente. Per colpa sua sembro uno zombie e non capisco perché gli permetto di trattarmi così. Devo ribellarmi, ho subìto per troppo tempo la sua arroganza, i suoi stupidi scherzi. Certo, ma chi voglio prendere in giro, non riesco a convincere nemmeno me stessa quando ripeto quella frase. Sono davvero così debole e stupida? Non riesco mai a fargliela pagare, devo avere qualche problema serio, mi sa.

«Emy, tesoro, sei sveglia?» la voce di Cindy mi riscuote dai pensieri, mentre mi chiama dal piano di sotto.

Se solo sapesse che non ho dormito affatto.

«Sì, arrivo.» rispondo.

Le ho promesso che sarei andata con lei al centro commerciale, nonostante odi fare shopping, però non mi andava di negarglielo, ultimamente ha un tale bisogno di armonia, non voglio deluderla. Mi guardo un'ultima volta allo specchio, notando le mie orribili occhiaie. Forse dovrei mettere un po' di trucco? Ormai non ne ho più il tempo.

Sono ore che Cindy mi costringe ad entrare in ogni negozio del centro commerciale, ho i piedi che urlano pietà. Non capisco perché debba essere così esagerata e lo è in qualsiasi campo, non solo con i vestiti. Credo di capire Bryan quando dice che non ha alcuna voglia di accompagnarla, povero uomo. Non vuole affrontare tutto questo. Siamo entrate in almeno dieci negozi e non ha acquistato nulla. Mi chiedo cosa siamo venute a fare.

«Tesoro, ti va qualcosa da mangiare?» mi chiede.

Finalmente, era ora, ho bisogno di sedermi e il mio stomaco comincia a brontolare, per non parlare della stanchezza che si sta facendo strada in me. Annuisco e le faccio un sorriso.

Raggiungiamo la prima pizzeria che troviamo all'interno del centro e ci sediamo ai piccoli tavolini rotondi.

«Ti starai di sicuro annoiando con me, vero?» mi domanda.

«No!» Sì!

È così evidente?

«Dopo ti porto in un negozio di abbigliamento per ragazze, così comperiamo qualcosa.»

«Ehm... no, non preoccuparti.»

«Ma sì, qualcosa di nuovo anche per te!»

«Okey...» rispondo rassegnata.

A volte è così insistente e non accetta mai i rifiuti. So già che mi costringerà a comprare qualcosa di vistoso che abbandonerò nell'armadio. Il cameriere si avvicina al nostro tavolo e ordiniamo due pizze, patatine fritte e due lattine di pepsi. Nonostante il dolore ai piedi e la scarsa organizzazione di Cindy, era da tanto che non passavamo un po' di tempo insieme, lei lavora tutto il giorno e di domenica capita che studi i casi dei suoi pazienti, non ha mai un po' di tempo. Sembra felice e questo mi rallegra molto, facendomi dimenticare ogni cosa.

Dopo una decina di minuti arrivano le cose che abbiamo ordinato.

«Mark, continua a tormentarti?»

Ecco una delle domande che non avrei voluto sentire, non oggi, almeno. Non posso dirle del brutto scherzo di ieri, lo metterebbe in guai grossi e non mi va.

«Uhm.» è l'unico verso che riesco ad emettere.

Posa una sua mano sulla mia e mi guarda con occhi tristi. «Mi dispiace tanto, io e tuo padre non sappiano più cosa fare.» Io lo so; ucciderlo. «Eppure, ci dev'essere qualcosa che vi accomuna.» continua.

Certo che c'è qualcosa che ci accomuna; l'odio che proviamo l'uno per l'altra.

«Lascia perdere, tuo figlio è un caso perso.» le dico con tono convinto.

«Dai, non dire così, in fondo è un bravo ragazzo.» sghignazza.

Certo, come no, è bravo a rendermi ogni giorno impossibile.

Abbiamo finito il nostro pranzo, parlando sempre e solo di Mark. Anche quando non c'è è presente. È come un'ombra e spero che non dovrò portarla con me a New York. Adesso mi attendono altre lunghe ore di cammino e non credo di essere pronta psicologicamente.

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