Epilogo

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#Lucas'PointOfView
Mi ritrovai a fissare il mare di volti guardarmi da sopra il palco. Dopo quattro anni ero ancora lì a cercare tra il mare di volti attorno a me il suo. Il viso di Sydney. Ogni tanto mi svegliavo nel cuore della notte ad urlare il suo nome, ma non succedeva più così tanto spesso come i primi mesi. Michael mi diede una pacca sulla spalla e mi sorrise. Mi stampai anch'io un sorriso, ma era falso, vuoto. Ashton e Calum salutarono un'ultima volta le nostre fans e corremmo verso l'uscita mentre le ragazze dietro di noi urlavano i nostri nomi invano. La nostra vita ormai era fatto da questo, interviste, concerti, foto con ragazze sconosciute che non facevano altro che dire di amarci. Amore. Usavano quella parola in modo così leggero, senza dare il giusto peso a quella parola così piena di significato, che aveva perso significato anche per me.
Mi sedetti stremato nell'angolo del furgoncino. I ragazzi quella sera non risero come al solito ricordando qualche gesto avventato delle fans durante il concerto, nessuno di loro si sdraiò su di me addormentandosi sulla mia spalla, nessuno osò fiatare perché quello stesso giorno di quattro anni prima, l'unica ragazza che era riuscita a rubare il mio cuore, aveva deciso per me e per lei che dovevo lasciarla andare. Vivere la mia vita e rincorrere i miei sogni senza di lei.
- Casa dolce casa. - mormorò Ashton guardando il paesaggio fuori dal finestrino sfrecciare via. Dopo mesi di viaggi per il mondo ci ritrovavamo nuovamente a Sydney. Non dormivo più a casa di mia madre, i ragazzi ed io avevamo comprato una casa tutta nostra nella nostra città natale, ma alla fine ero l'unico ad usarla, loro preferivano andare a salutare i loro famigliari. Il conducente si fermò.
- Mamma! - urlò Calum scendendo di corsa. Lo vidi correrle incontro e si abbracciarono. C'era anche suo padre, sua sorella viveva a Los Angeles. Rividi la stessa scena due volte, prima con Michael con solo sua madre e poi con Ashton che però era stato steso a terra da sua sorella e da suo fratello minori. La madre di Ashton si era avvicinata a me chiedendomi se avevo voglia di stare con loro per la notte, ma avevo rifiutato gentilmente. Ora mancavo io. Mi sentivo così solo, eppure sapevo che era da tempo che ero così. Avevo passato quattro anni da solo. Il furgone si fermò davanti alla mia casa. Scesi ringraziando l'uomo alla guida da parte di tutta la band e lui sorrise di risposta. Mi incamminai lentamente lungo il vialetto con il borsone e la valigia appresso. Ancora due settimane e la solita routine sarebbe ritornata. Per due settimane mi sarei fatto lasciare trascinare dagli eventi, senza avere un orologio a scandire il tempo. Due settimane in cui il peso dei ricordi mi avrebbe soffocato. La serratura scatto ed entrai. Ci misi qualche istante a trovare gli interruttori della luce, ma non ne ebbi bisogno. Una luce filtrava da sotto una porta chiusa. Lasciai le mie cose all'ingresso e mi tolsi la giacca lasciandola cadere da qualche parte nell'oscurità. Aprii la porta della cucina e fui investito dalla luce. Chiusi gli occhi accecati per qualche secondo. Quando li riaprii mi ritrovai da solo nella cucina immensa. Probabilmente una delle madri dei ragazzi si era dimenticata la luce accesa andando a spolverare la casa l'ultima volta. Mi diressi verso il frigorifero, ma naturalmente era vuoto e spento. Mi diressi verso il garage e presi al volo le chiavi della mia jeap. Sarei andato a mangiare un pizza o un hamburger, niente di impegnativo.

Entrai nella pizzeria che avevo saputo avevano appena aperto. Mi tirai su il cappuccio della felpa nel corto tratto tra la macchina e l'entrata. Speravo con tutto il mio cuore che non ci fossero ragazze in cerca di foto a quell'ora di notte, non avrei sopportato di dover sorridere falsamente in quel momento. Varcata la soglia mi beai per un attimo del calore di quel luogo. Mi diressi con il capo chino verso la cassa per sapere dove avrei potuto sedermi, ma una risata dolorosamente famigliare mi colpì dritto al cuore riprendo la cicatrice. Alzai gli occhi ritrovandomi a fissare dopo quattro anni quegli occhi Nutella che avevo amato. Che amavo tuttora. La risata si spense in un attimo quando incontrarono i miei occhi. Stava camminando a braccetto con un ragazzo che sembrava totalmente l'inverso di me. Era qualche centimetro più alto di lei, con i capelli ricci neri e gli occhi altrettanto scuri, la pelle dorata e con un sorriso costantemente stampato in viso. Qualcosa nel mio petto si spezzò a quella vista. Parlottarono un secondo tra di loro e pure il ragazzo mi guardò. Rimasi paralizzato sul posto, mentre loro si avvicinavano inesorabilmente a me. In un lasso di tempo che mi parve infinito, Sydney si trovò davanti a me.
- Lucas. - mi salutò lei. Rimasi qualche secondo a risentire nella mia testa la sua voce. Aveva ripreso a parlare con il mondo da quel giorno.
Mi schiarii la voce. - Sydney. - la voce mi uscì incerta. Rimanemmo qualche istante a studiarci, prima che lei si aprisse in un sorriso ricordandosi del suo accompagnatore.
- Robert, lui è Luke Hemmings. Lucas, questo è... - si bloccò per un istante, indecisa sulla parola da usare per definire quel ragazzo, o forse indecisa se dirmi chi era quel ragazzo. - ... il mio ragazzo, Robert Valdez. -
Non seppi come reagire a quelle parole. Non reagii affatto a quelle parole. Guardai il ragazzo che mi tendeva la mano per stringerla. Gli sorrisi, senza sapere cosa realmente stessi facendo, e gli strinsi la mano. Il cuore era diventato un blocco di ghiaccio insensibile, o forse si era frantumato in così tanti pezzi da creare una voragine nel mio petto.
- Sei il leader di quella band famosa, vero? Sydney mi ha parlato dei vostri primi anni. - commentò Robert. Solo in quel momento mi accorsi che per ironia della sorte lui aveva il mio stesso nome.
- Non c'è nessun leader nei 5 Seconds Of Summer. - ridacchiò Sydney. Mi sembrava strano vederla conversare senza una nota scritta sul cellulare.
- Sono solo un componente. - confermai. Valdez rise, ma Sydney continuava a guardarmi in cerca di qualche reazione, tuttavia non ne diedi. La guardai bene. I suoi capelli erano neri, aveva smesso di tingerseli di lilla, il suo colore preferito, il suo look era diventato più sofisticato, indossava dei tacchi eleganti neri ed un vestito semplice che la faceva apparire come una qualsiasi ragazza per bene, non usava un rossetto scuro, la sua carnagione si era leggermente scurita e gli occhi non erano più ricoperti di nero e cerchiati. Sembrava che il tempo avesse lavato via la sua personalità.
- Ho sentito che hai appena finito un tour qua in Australia. - commentò la ragazza. - Stai inseguendo il tuo sogno. -
Mi limitai ad annuire, non riuscendo a parlare. Cercai di calmarmi. - Già, ma mi sembra di essermi perso in questi anni. - Mi sembrava di aver perso la felicità e la mia portava il suo nome. Sydney non disse niente, si limitò a fissarmi, quasi si fosse pentita di avermi rivolto la parola. Non volevo vederla svanire in quel momento come acqua tra le dita e forse cambiare argomento mi avrebbe aiutato a trattenerla qualche istante in più. Stavo vivendo di quel piccolo lasso di tempo. - Si... si mangia bene qui? - chiesi pizzicandomi il naso e distogliendo lo sguardo dalle sue iridi. Il mio imbarazzo era palpabile, ma non avevo tempo di preoccuparmi di quello.
- Accettabile. - rispose Sydney, il suo ragazzo assentì d'accordo con lei. - Starete qui a Sydney per molto? - chiese poi lei cercando di mantenere un tono voce leggero.
- No. Solo due settimane. - feci infilandomi le mani in tasca. Le mani avevano iniziato a tremare per l'agitazione e pregai che Sydney non lo notasse. Il suo ragazzo spostò il peso da una gamba all'altra iniziando a percepire realmente il legame che c'era stato tra me e lei.
- Potrei passare a salutare i ragazzi allora. - disse la ragazza imbarazzata. L'avevo vista furiosa, triste, felice, ma a parte durante il nostro appuntamento disastroso, mai imbarazzata. Probabilmente avrei dovuto lasciarli andare, ma non volevo che Sydney uscisse da lì in compagnia di un ragazzo che non mi piaceva affatto. Si vedeva che si era sforzata di trovare qualcuno che fosse completamente diverso da me nonostante le avessi chiesto di aspettarmi. Mi chiedevo se l'amasse o meno. Speravo di no in cuor mio, ma volevo che fosse felice anche senza uno stronzo come me che l'aveva già tradita nei momenti di disperazione.
- Potremmo uscire tutti insieme per pranzare. - proposi quasi senza accorgermene. Lei si voltò verso Robert, che io ignorai apertamente. A me non aveva mai chiesto cosa fare, però a lui sì. Forse non voleva perderlo... se me l'avesse chiesto, sarei rimasto. Se non mi avesse detto di inseguire i miei sogni senza di lei in quel momento ci sarei stato io accanto a lei.
- Domani non posso, ho corsi all'università dalla mattina fino alla sera. Devo anche studiare per il test di matematica. - si scusò. Continuai a fare finta che non esistesse. Sarei volentieri scoppiato a ridere in quel istante, ma avrei aspettato il momento in cui saremmo stati solo io e lei da soli.
- Allora sarà per un altro giorno. - fece con una sfumatura di delusione nella voce. Dovette accorgersene anche il suo patetico ragazzo.
- Ma sei vuoi puoi anche andarci senza di me. Infondo sono i tuoi amici più cari. - cercò di rimediare. - Mi fido di te. - aggiunse a bassa voce, ma lo sentii comunque. Che razza di idiota se ci credeva sul serio.
- Allora domani a pranzo? - chiesi sempre rivolgendomi a Sydney. Lei lanciò ancora uno sguardo di sottecchi a Robert e poi assentì aprendosi in un sorriso timido. - Ti veniamo a prendere a mezzogiorno. - sorrisi radioso per quanto il petto mi dolesse. A quel punto se ne andarono. Avevo solo sbagliato la persona del verbo. La sarei andata a prendere a mezzogiorno.

Words. || Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora