Capitolo quattordicesimo

929 49 1
                                    

Quella mattina mi svegliai più stanca del solito. Dopo aver accettato di uscire con Michael i ragazzi erano dovuti letteralmente scappare via, visto che la proprietaria aveva finito di fare i suoi conti. Avevo finito di asciugare i piatti e dopo essere stata pagata, avevo trovato Michael fuori ad aspettarmi da solo. Probabilmente Luke l'aveva piantato in asso per colpa mia. Mi aveva accompagnata fino alla porta di casa e fortunatamente i miei stavano già dormendo da un pezzo, così che non dovetti spiegargli perché passassi dalla finestra invece che dalla porta. Mi aveva salutata lasciandomi un bacio sulla guancia ed un suo tipico abbraccio. Ma finalmente avevo anche il suo numero di telefono. Non ero riuscita a capire di che tipo di uscita si trattasse e nemmeno osai chiederglielo, forse l'avrei scoperto la sera dell'uscita, così per ora dovevo solo mettermi il cuore in pace.
Mi infilai nel mio banco ed appoggiai la testa al banco aspettando che la prima lezione della mattinata iniziasse. Se non fosse stata per l'ombra scura che mi avvolse, avrei chiuso gli occhi, ma a quel punto alzai la testa di scatto spaventata. Degli occhi in tempesta mi fissavano gelidamente. Mi calmai e sbattei le palpebre sorpresa di vedere Luke.
- Perché? - mi chiese soltanto. Perché cosa? Non potei fare a meno di pensare. Lo fissai confusa. - Perché l'hai fatto? - continuò alzando il tono di voce. Le persone stavano iniziando ad entrare in classe e a fissarci bisbigliando tra di loro. Mi guardai attorno nervosamente. Scossi la testa rivolta a Luke, per fargli capire che non avevo idea di cosa stesse parlando, ma lui non comprese. - Pensavo fossi diversa dalle altre. - mi accusò. Scossi di nuovo la testa non sapendo cosa fare per farlo smettere. Pregai Dio perché succedesse qualcosa che lo facesse smettere... e per una volta mi ascoltò. La madre di Lucas entrò nell'aula a testa alta, ma appena vide suo figlio la sua espressione divenne sorpresa, ma per poco.
- Tutti seduti, prego. - disse fermamente. Tutti ubbidirono eccetto il ragazzo di fronte a me. Non degnò di uno sguardo sua madre, mi fissava con tutto l'odio possibile, lasciandomi imbarazzata senza un vero e proprio motivo. Improvvisamente sbatté le mani sul mio banco facendo ammutolire tutta la classe.
- Tu non puoi farmi questo. - Mi morsi il labbro frustrata. Per lui mi sarei messa ad urlare in quel momento. Provai a prendere un quaderno dallo zaino, ma lui me lo impedì prendendomi per i polsi. - Parlami dannazione! -
Incrociai i suoi occhi sbalordita dalla sua richiesta. Ma scrollai la testa. Sembrava che gli avessi tirato un pugno nello stomaco. Lentamente si staccò da me e come d'incanto si accorse di dove si trovasse. Si guardò attorno spento.
- Cosa cazzo avete da guardare? Non avete mai visto un ragazzo che sta male? - Tutti distolsero lo sguardo da lui, mentre io continuavo a guardalo in cerca di risposte e spiegazioni per il suo gesto. Le sue parole. In un attimo lo vidi uscire dalla porta, lontano da tutti quegli sguardi. Mi guardai attorno, nessuno cercava di incrociare il mio sguardo, eccetto la professoressa. Mi fissava freddamente, come se mi odiasse a morte. Sprofondai nella sedia, facendo girare tra le dita una matita. Non riuscivo ad immaginare il motivo per quel suo attacco nei miei confronti. Mi sentii come se una macchina mi avesse appena investito. Come potevo farlo stare male se lui mi conosceva appena?

La prima ora suonò. Il brusio tra i banchi si fece più intenso quando la professoressa Hemmings uscì dall'aula. Non avevo osato nemmeno alzare lo sguardo dal banco per tutta l'ora. Mi alzai in piedi e infilai velocemente le mie cose nello zaino. Vedevo le persone attorno a me guardarmi di sottecchi, studiando ogni mia mossa, ma ovviamente non avrebbero mosso un dito. Uscii di corsa fuori dalla scuola per la seconda volta quella settimana. Dovevo smetterla di svignarmela in quel modo o avrei perso l'anno solo per il numero di assenze ingiustificate. I polmoni bruciavano per la corsa, come pure la gola e gli occhi. Mi toccai il viso e notai che avevo le guance bagnate di lacrime. Io non piangevo. Avevo smesso di piangere, come avevo smesso di parlare, come avevo smesso di mostrare i miei sentimenti alle persone che mi circondavano. Mi asciugai gli occhi con le maniche della felpa che indossavo. Luke non si trovava fuori e ringraziai Dio per quello. Non avrei sopportato vederlo guardarmi piangere. Presi un respiro profondo per cercare di calmarmi e funzionò. Il suono dell'arrivo di un messaggio destò la mia attenzione.

Mikey:
Insalata o alette di pollo?

Rimasi perplessa davanti a quella domanda, ma la spiegazione arrivò presto.

Mikey:
Rispondi. Mi serve per
sapere dove portarti domani
a cena. :)

Sydney:
Alette di pollo.

Mikey:
Grandioso! Allora ho già in mente il posto perfetto.

Words. || Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora