8. Skin

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Giorno di prigionia al club numero uno: ero già pentito di non averla ammazzata.
Era mezza giornata che andava in giro ad importunare il mondo. La sicurezza, le ragazze..
Aveva tentato di corrompere il fornitore di alcolici per fare in modo che la nascondesse nel furgoncino.
Sarebbe anche stato divertente se lei non fosse stata Mela e io non fossi stato Skin.
E ora, se ne stava dietro al bancone a servire cocktail che non piacevano a nessuno.
Bisognava darle atto di una cosa, era raggiante. Non passava inosservata con quei lunghi capelli neri e folti, leggermente ondulati e le labbra carnose che facevano venire voglia di fotografarla mille volte e tappezzare la città di sue immagini.
La guardavo da lontano da ore ormai.
Lo schema era questo, il cliente si avvicinava, lei gli diceva di essere stata rapita, lui rideva, lei gli preparava il cocktail e lui non rideva più.
Le ragazze avevano fatto un ottimo lavoro scegliendo per lei in lungo vestito nero con un corpetto stretto. Le donava un'aria da gitana, combinato con la lunga treccia che cadeva di lato e il trucco pesante.
Alzai gli occhi al cielo quando l'ennesimo cliente iniziò a lamentarsi per l'intruglio che aveva preparato. Era il momento di intervenire.
"Che succede?" Chiesi raggiungendo il bancone e posando il mio bicchiere di rum su di esso.
"Questa roba fa schifo al cazzo. Chi è sta stronza che hanno assunto? È da fare licenziare all'istante!"
Rimasi in silenzio guardando la faccia rossa per la rabbia di quell'uomo di mezza età. Gli faceva male incazzarsi così. Probabilmente soffriva già di pressione alta, non era il caso di morire di infarto nel mio locale.
L'uomo si voltò verso di me. Guardò schifato i miei tatuaggi e poi posò i suoi occhi nei miei con sguardo di sfida.

"Sono una detective, gliel'ho detto. Di lavoro arresto i latitanti, non servo alcool nei locali."
Attaccò lei con la sua cantilena.
Afferrai il bicchiere dell'uomo e lo trangugiai in un sorso.
Oh mio Dio l'olio dei motori doveva avere un sapore migliore.
Tossii forte rischiando di strozzarmi.
"È buono." Conclusi trattenendomi dal vomitare.
Mela scoppiò a ridere osservando lo sguardo perplesso di quel coglione.
"Prego?" Chiese lui strafottente tirando fuori la sua carta di credito color oro.
Voleva farmi capire che era un uomo potente ma ormai la mia attenzione non era più rivolta a lui. I miei occhi erano posati su Mela che aveva ancora un gran sorriso stampato in faccia.
E tu vuoi dirmi che eri felice della tua vita? Quando non ti ho mai vista ridere fino a questa sera ed è un peccato mortale.
Chiusi gli occhi e respirai forte. Quella risata mi aveva ricordato cose belle.

Uno scantinato buio e pieno di muffa, io Sam e Billo che progettavamo il nostro futuro e decidevamo di non voler più essere dei poveri perdenti ma volevamo brillare e una donna al piano di sopra rideva di gusto per chissà quale motivo.

Quando riaprii gli occhi mi resi conto che Mela ci osservava preoccupata mentre lo stesso, recidivo, rompi coglioni mi urlava a due centimetri dalla faccia.
"Ti ho detto che è buono." Gli dissi di nuovo completamente tranquillo.
A differenza sua non mi spazientivo per così poco.
"Fammene un altro." Chiesi a Mela passandole un biglietto da venti. Non volevo ancora rivelare al pezzente con chi aveva a che fare, meglio fargli credere che fossi un cliente. Volevo gustarmi il momento in cui si accorgeva di averla fatta fuori dal vaso.
"Che cazzo dici amico? Fa schifo e quella stronza ci sta prendendo per il culo! Chiama il proprietario e falla sbattere fuori!"
Lo sguardo di Mela diceva "ti prego fallo!" E fu il mio turno di ridere.
"Ecco a lei signore. Lo assaggi, è da galera!" Mi disse la stronzetta passandomi il miscuglio e in un secondo quello stronzo le prese il polso.
Ecco, avevo detto che a differenza sua non perdevo la calma per poco ma mentivo, che non avevo pazienza lo avevo anticipato d'altronde.
Gli presi la mano per allontanarlo da lei e in un attimo le mie dita erano già intorno al suo collo.
"Una regola! Una sola, fottuta, regola!"
Urlai forte avvicinando il mio viso al suo.
"Non si toccano le ragazze di questo locale. Non si toccano le mie ragazze. Mai!"
L'uomo impallidì quando si rese conto di chi ero realmente.
La gente intorno a noi ci stava guardando incuriosita. Strinsi più forte.
Faticava a respirare, i suoi occhi erano lucidi e io mi sentivo così sbagliato.
Sbagliato perché stavo facendo del male ma quella sensazione.. Come potevo spiegare quella sensazione di potenza assoluta che mi scorreva nelle vene in quei momenti.
Non ero più una vittima, ero io carnefice.
Non ero più un piccolo orfano indifeso, ero un uomo temuto e rispettato e mi piaceva dannatamente tanto esserlo.
Cosa non andava in me?
Mi leccai le labbra secche pensando che sì, non potevo ucciderlo nel mio locale ma potevo stringerlo ancora per qualche secondo. Giusto il tempo di fare vedere a tutti cosa succedeva se non si stava alle mie regole.
Poi all'improvviso mi accorsi di avere la schiena indolenzita e mi risvegliai da quel delirio di onnipotenza.
Dei pugni si abbattevano forti su di essa come se stessero suonando un tamburo.
Lasciai andare l'uomo.
Mi voltai e incontrai la faccia incazzata della donna più irritante del mondo.
Urlava. Che cosa diceva? Non era importante. La spinsi di lato, di fatto infrangendo l'unica regola del mio locale che io stesso avevo stipulato e me ne andai.
Ma questo non le bastava. E quando mai si placava quell'orso polare in carenza di salmone?
Mela mi seguì lungo tutta la sala e poi su per le scale.
Billo scoppiò a ridere quando gli passammo vicino e io girai gli occhi verso il cielo.
Lo sapeva bene quanto potevo irritarmi per quelle cose e perciò non mi seguì preoccupato di ricevere la mia ira.
Mi fiondai nel mio ufficio e feci per chiudere la porta ma ben più svelta di me, Mela entrò all'interno del mio spazio privato, ormai logorroica e schiumante dalla bocca.
Che carattere di merda.
Ma chi la sopportava questa?

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