31. Mela

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Spalancai gli occhi e sbuffai.
Solito soffitto nero, soliti quadri anonimi di luoghi asiatici mai visitati, solito letto rotondo condiviso con Neve.
Nessuna novità all'orizzonte ormai da quasi una settimana.
Skin era sparito.
E a me non importava assolutamente nulla.
Sbuffai di nuovo.
"Dormi. Non puoi continuare a muoverti come un anguilla. Io ho lavorato."
Si lamentò Neve girandosi dall'altra parte. Ormai dormiva con me in pianta stabile e non mi lasciava mai.
Mi alzai in piedi e indossai le ciabatte con il pelo di Neve. Sorrisi quando le guardai. Erano proprio da ragazza che lavora in un club.
Misi un giacchetto sopra la canotta bianca e mi diressi verso il bagno.
La ferita era ormai quasi guarita. Niente febbre, niente ricadute, poco dolore.
I punti tiravano, erano diventati rossi, secchi e prudevano ma il dottore diceva essere normale.
Presi lo spazzolino e iniziai a lavarmi i denti.
Mi annoiavo.
I giorni seguenti al ricovero li avevo passati a letto a guardare Netflix.
In realtà, la televisione era il sottofondo dei miei pensieri. Del mio pensiero.
Skin si era intrufolato nella mia testa.
Sia la sua presenza che la sua assenza mi facevano pensare a lui. Ed entrambe mi facevano arrabbiare con lui.
Se ne era andato di fretta, senza salutare. Perché avrebbe dovuto d'altronde?
E nessuno mi rispondeva quando chiedevo dove fosse.
Mi ero annoiata. Annoiata da morire.
Neve stava con me di giorno e anche le altre ragazze.
Però era freddo, non potevo andare sul tetto a giocare a palle di neve. Non potevo uscire dal club.
Non potevo lavorare e avrei fatto anche la barista pur di fare passare il tempo.
Niente lezioni di ballo, niente idee di fuga.
Il nulla assoluto.
Nemmeno la compagnia di Squeezy mi aveva risollevato il morale.
Avevo letto qualche libro, provato a scassinare l'ufficio di Skin, ero stata beccata e rimproverata, quindi ci avevo riprovato il giorno dopo ottenendo lo stesso risultato.
"Vado a fare colazione. Ti porto qualcosa?"
Chiesi in un sussurro a Neve ma di rimando lei si mise un cuscino sulla testa. Aveva lavorato fino a tardi e anche se era quasi mezzogiorno, di sicuro non voleva alzarsi.
Uscii dalla stanza e percorsi il corridoio in silenzio.
Ormai non mi sistemavo più. Pettinavo i capelli in un alta coda nera e tenevo i pantaloncini della tuta giorno e notte. Poco mi importava degli uomini della sicurezza.
Ero un cazzo di zombie.
Salutai alcuni di loro senza ricevere risposta in cambio.
Erano adirati per i miei tentativi di scasso.
Iniziai a scendere le scale, piano perché il dolore si faceva sentire in certi momenti.
Per arrivare alla cucina e alla sala pausa bisognava attraversare il locale, proseguire dopo l'entrata dove c'erano i locali per gli addetti al lavoro e c'era Alma ad attendermi pronta a servirmi un'ottima colazione, unica gioia della giornata.
Le ciabatte di Neve erano scivolose e per non cadere mi aggrappai al corrimano.
"Qualcuno fa colazione con me?"
Chiesi ad alta voce frustrata, sicura che nessuno mi avrebbe risposta.
"Io."
Sentii una voce provenire dal fondo della sala.
Mi si gelò il sangue. Scesi altri due gradini per vedere se le mie orecchie erano ben collegate al mio cervello.
E constatai che almeno quelle funzionavano.
Billo era seduto al bancone del bar con un grosso sorriso stampato in faccia e di rimando, sorrisi anche io.
Cominciai a scendere le scale più velocemente.
Sam era accanto a lui ma Skin non c'era.
"Piano, non vorrai schiantarti. In ospedale non ti ci porta nessuno!"
Tuonò scontroso Sam, come suo solito.
Mi avvicinai a loro, felice di rivederli.
"Ho bisogno di uno psicologo."
Dissi abbracciando Billo che mi veniva incontro a braccia aperte.
Mi guardai intorno e le curve della mia bocca iniziarono a cambiare direzione.
I miei occhi si posarono su Sam.
Mi scrutava giudicante.
"Chi cerchi?"
Mi chiese con aria di sfida.
Rimasi in silenzio sentendomi una stupida.
Non avevo il diritto di desiderare di vederlo.
"Ho una qualche idea." Concluse Billo con il suo solito sorriso gentile. Mi prese per le spalle e mi fece girare. Skin stava varcando la soglia dell'entrata.
Rimasi a bocca aperta.
A bocca aperta, perché sentii il mio cuore aumentare i battiti.
Non dovevo sentirmi così, ma non avevo il comando della situazione.
Per quanto potessi provarci, non avevo il controllo.
Ero felice che fossero tornati, soprattutto che Skin fosse qui.
Significava qualcosa? Forse no. Semplicemente avevamo trascorso dei momenti insieme, da nemici e da quasi amici e le persone creano connessioni tra di loro continuamente. Eravamo connessi, in un mondo parallelo dove io non ero io e lui forse era meno lui.
Ero qui, nonostante non lo volessi, ma se guardavo bene tutta questa faccenda potevo dire che in qualche modo mi stava facendo bene.
Non che non volessi andarmene.
Questo sempre! Ma avrei cambiato tutto nella mia vita.
E loro?
Li volevo ancora in prigione?
Non volevo più essere una detective. Su questo ero convinta. Ora vedevo tutto il marcio, la corruzione che c'era nel mio lavoro.
Feci un passo avanti e lo vidi rallentare la sua marcia.
Mi scrutò da capo a piedi.
Mi ricordai quanto ridicola dovessi apparire e mi sembrò di vederlo sorridere per un istante.
Restai imbambolata.
Quando mi raggiunse, me lo trovai di fronte e mi sembrò fosse più alto di quando ci eravamo non salutati una settimana prima.
Aveva un occhio nero, il labbro era spaccato di nuovo dove già Sam ci era andato pesante. Aveva un livido sul collo.
Mi voltai a guardare gli altri due.
"Siete feriti."
Constatai con un filo di voce.
"Che è successo?"
I tre rimasero in silenzio.
Solo dopo qualche istante Sam mi ricordò che non erano affari miei.
Guardai Skin negli occhi. Due pozzi neri pieni di fatica e tristezza.
"State bene?" Chiesi ancora non ottenendo risposta alcuna.
"Ragazzi che succede? Ho di nuovo un biglietto per il Messico?"
Scherzai ottenendo poco più che un sorriso timido da parte di Billo.
Qualcosa non andava.

"Vieni con me." Disse allora Skin e sentii il respiro mancarmi.
Merda, ci risiamo.
Lo seguii su per le scale come un cagnolino obbediente fino al suo ufficio.
Impallidii quando vidi la poltrona e mi tornò in mente il mio spettacolo.
Che vergogna!
Sembrava una vita fa.
"Ho provato a scassinare il tuo ufficio. Lo ammetto ma è stata più la noia che altro. Non merito di essere cacciata..."
"Merda.." tuonò Skin arrabbiato.
Forse non lo sapeva.
Alzai le mani davanti a me.
"Sono stata tranquilla. Zero problemi come mi chiedi sempre tu.."
Si avvicinò minaccioso e io tremai. Mi sentivo una bambina di fronte a lui.
Riempiva ogni angolo di stanza. Non solo per la sua stazza ma per la sua assoluta autorità.
Con mia sorpresa, afferrò la mia maglia sollevandola per vedere il cerotto sul mio fianco.
"Fammi vedere." Disse.
Lo accontentai staccandone i bordi e mostrando la ferita.
"Ahi. Sembra essere stata dolorosa."
Mi gonfia il petto orgogliosa.
"Non per me." Risposi di getto.
Skin non sorrise. Non sorrideva mai.
Appoggiò la mano sulla mia pancia per un istante e poi si voltò di scatto.
"A te cosa è successo? Dove siete stati?"
"Stai ancora indagando su di noi vedo."
Concluse Skin lasciandomi interdetta.
In realtà, non glielo stavo chiedendo in veste di detective. Volevo solo sapere perché avevano quelle facce preoccupate.
Si voltò a guardarmi. Mi sembrò di scorgere il dispiacere sul suo viso.
"Volevo solo sapere perché siete così tristi. Non sto indagando."
"Per questo hai cercato di scassinare il mio ufficio."
Domandò stringendo i pugni.
Inghiotii a fatica la saliva.
"È stata la noia, ho detto. Ho passato una settimana rinchiusa qui dentro a fare il nulla assoluto."
"Allora da stasera torni a lavorare così non ti annoi e non ficchi il naso dove non ti riguarda."
Boccheggiai a quelle parole.
Eravamo tornati a trattarci così? Dopo che avevo dormito sulle sue gambe e ci eravamo raccontati delle cose?
Ma che mi aspettavo?
Non eravamo mica amici. Lui era il mio cazzo di rapitore. Stupida e pazza io che lo avevo addirittura pensato in quei giorni. Che avevo addirittura provato sollievo nel vederlo entrare in quel posto di merda.
Strinsi i pugni anche io arrabbiata.
Skin sembrò sorpreso.
"Bene. È tutto?"
Chiesi con disprezzo.
Sembrò riflettere un attimo ma poi si voltò di spalle e mi ignorò finché non ne ne andai.

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