29. Skin

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Las Vegas piena di luci, rumori e ricordi.
Ricordi belli e ricordi che soffocano.
Ricordi che si sommano a ricordi più recenti.
Mentre camminavo per le sue vie non potevo non sentire la mia testa che mitragliava.
I palazzi immensi mi confondevano la vista e le persone che mi passano accanto mi recavano fastidio assoluto.
Non avrei voluto trovarmi lì ma non avrei saputo indicare un luogo al mondo che in quel momento faceva per me.
Mi sentivo estraneo nel mio corpo e nella mia vita come non mi capitava da anni.
Erano bastate poche settimane per mettere in discussione tutto.
Il duro lavoro, la posizione guadagnata, i miei peccati.
Quelli erano un'ombra oscura che cercavo di non vedere.
Ma ora, mentre camminavamo da un casinò all'altro, c'era un pensiero che mi frullava nella testa e non potevo metterlo a tacere.
Cosa penserebbe di te se sapesse quello che stai per fare?
Avrebbe pensato che ero un uomo di merda, un delinquente. Lo pensava già ma questa era la conferma.
Quale uomo normale va a Las Vegas in cerca di un sicario?
Lo avevamo trovato. Erano cinque giorni che lo seguivamo. Non sapevamo se fosse solo, se c'erano altri uomini a coprirlo.
Uomini di Donati.
Si era registrato in uno degli alberghi più costosi della città sotto nome finto, Edge Browne. Colui a cui aveva rubato la vita.
Glielo leggevi in faccia che non era uno con cui volevi avere a che fare.
I suoi tatuaggi parlavano chiaro.
Era stato affiliato ad un clan, il toro sul collo ci diceva anche quale ma sapevamo poco altro di lui.
Era sotto falsa identità chissà da quanti anni.
Noi aspettavamo un suo passo falso per agire ma sapeva fare il suo mestiere.
Profilo basso, sicurezza alta. Mai solo da nessuna parte, festini privati nella sua stanza ogni notte.
Forse sapeva di essere braccato.
Da noi o da Donati?
"Non posso, sono sposato."
La voce di Billo mi riportò alla realtà.
Mi voltai per vedere il mio amico fare alzare una giovane donna dalle sue gambe.
Questa se ne andò stizzita mentre Billo si aggiustava la camicia leopardata.
Sorrisi involontariamente.
Mary non sapeva quanto la sua sola presenza lo aveva cambiato.
Nei tempi passati, Billo veniva ripreso continuamente da Sam perché passava più tempo chiuso in camera con donne di diverse etnie e generazioni che concentrato sul lavoro.
Mi faceva paura pensare a quel cambiamento. Io non potevo permettermelo. Io tenevo insieme questa famiglia, non mi erano consentiti passi falsi.
Eppure, l'avevo portata in ospedale..
"Signore?"
Allungai altri dollari sul tavolo per restare in gioco anche se non stavo prestando minimamente attenzione a quello che stava succedendo a quel tavolo.
Eravamo seduti da ore. Accanto a noi "Browne" si era giocato una marea di contanti, si era scolato intere bottiglie di champagne insieme ad una ciurma di donne che sembravano uscite da una vetrina di Amsterdam e si era fumato una sigaretta dopo l'altra in tutta serenità.
Come ogni sera, niente di nuovo da poter raccontare.
Lo vedevamo festeggiare rumorosamente, ora dopo ora, notte dopo notte e noi vivevamo nell'attesa di intervenire.
Dei gatti, ci definiva Sam.
Aspettavamo che la nostra preda si trovasse impreparata per saltargli addosso alle spalle e giocare un poco con lei.
Neve mi aveva chiamato quella mattina.
Mela era ormai in piedi, la febbre era scesa e i dolori andavano meglio.
Nessun poliziotto era arrivato al club, non aveva fatto tentativi di fuga e per una volta nella vita, non ci stava causando problemi. Il nostro medico di fiducia la visitava ogni giorno e continuava a replicare quanto incoscienti eravamo stati a portarla via dall'ospedale dopo un intervento del genere.
Ma lei era forte ed estremamente adattativa. Probabilmente era quello il motivo per cui ancora non ci aveva avvelenato.
"Merda!" Sam mi diede un pugno nel costato e quasi sputai la mia saliva.
Billo scattò in piedi.
Seguii con lo sguardo Browne che si recava verso l'uscita, solo per una volta.
Bastò un cenno di Sam per alzarci tutti in piedi ed iniziare a seguirlo, ignorando il dipendente del Casinò che ci chiamava a grande voce perché stavamo abbandonando il tavolo senza prendere i nostri soldi.
"È solo?"
Chiese Billo ma era più un affermazione.
Puntammo gli sguardi per terra per non farci riprendere dalle telecamere e ci lasciammo investire dall'aria calda dell'esterno.
"Merda!"
Tuonò nuovamente Sam.
Non'era nessuno fuori ad attenderlo.
Passo falso.
"È il momento ragazzi. Ora tocca a me."
Disse Billo eccitato allungando il passo.
Superò alcune persone con noi alle calcagna e si posizionò dietro la schiena di Browne.
Camminammo alcuni metri senza che non succedesse nulla.
Lui sapeva che eravamo lì.
Era un sicario, non poteva non essersi accorto di avere tre uomini alle costole.
Infatti, non proseguì diritto ma curvò in un vicolo per condurci verso il retro di un ristorante.
Cominciai ad agitarmi. Stavamo facendo il suo gioco, chi non mi diceva che c'erano degli uomini ad aspettarlo?
Estrassi la pistola dai pantaloni e gliela puntai in schiena.
"Non qui."
Sussurrai facendogli cambiare strada.
Ci allontanammo in silenzio passando per vie secondarie fino a che non arrivammo sul retro del nostro albergo.
Era un albergo vecchio e fatiscente, non scelto a caso di sicuro.
Sul retro, partivano le scale di sicurezza che conducevano fino alla nostra stanza.
La finestra della camera era aperta così da poter utilizzare un'entrata più discreta in caso di bisogno.
L'avevamo già usata in passato.
"Sali." Gli ordinai puntando più forte l'arma.
Senza fare resistenza, cominciò a salire gli scalini di ferro traballante.
Guardai i miei amici.
Qualcosa non andava.
Anche loro estrassero l'arma.
Con un cenno della testa ordinai a Sam di seguire il sicario e fermai Billo.
"Troppo tranquillo." Mi anticipò lui.
Sospirai.
"Entro dall'entrata principale. Se ci sono altri uomini nella stanza li disarmo. Ci sta fregando. Sapeva che stavamo arrivando."
Feci un cenno con la testa sentendomi le gambe molli.
Odiavo separarci.
Lo guardai andare via e raggiunsi gli altri uomini velocemente. Con le mani ordinai a Sam di rallentare.
Billo era veloce e letale e soprattutto, non aveva paura.
Era difficile coglierlo di sorpresa e questo mi confortava.
Ma avevamo davanti un killer spietato ed estremamente metodico. Contro certe persone non puoi anticipare ogni imprevisto. Non potevo non preoccuparmi per Billo che era solo in quel momento ma d'altronde, nelle nostre vite c'era poco spazio per riflettere prima di agire e i rischi erano parti del mestiere. Dovevamo farceli andare bene e contare su noi stessi.
"Chi vi manda?" Chiese il sicario con un sorriso e un forte accento russo.
Non alzò gli occhi verso di me, non mi rispettava e voleva farmelo capire.
Non sembrava avere paura, si era già trovato in situazioni del genere.
"Sai chi siamo."
Risposi soltanto spingendolo per proseguire.
L'uomo rise.
I miei sensi andarono in allarme.
Perché all'improvviso parlava? Voleva fare sentire ai suoi uomini che stava arrivando?
"Controlla cosa fa con le mani."
Ordinai a Sam.
Guardai verso l'alto. Tutto sembrava tranquillo, nessuno si sporgeva dalla nostra finestra.
Eppure, ormai lo sapevo. Il sicario si era accorto della nostra presenza e a sua volta ci aveva fatto seguire.
Qualcuno ci aspettava in quella camera e questo lo teneva sereno.
Mancavano ancora dieci piani.
Nove.
Otto...
Il respiro diventava sempre più corto e l'ansia mi scorreva nelle vene ricordandomi che ero vivo.
Vivo come non mi sentivo da giorni.
Cosa avremmo trovato in quella stanza?
Come stava Billo?
Non passò molto tempo prima di scoprirlo.
All'improvviso, un uomo si sporse dalla nostra finestra.
Il cuore mancò un battito, la bocca di Sam si spalancò dalla sorpresa e il sicario sorrise.
Il sorriso gli morì presto sulla bocca quando si accorse che non si era affacciato per sparare.
Billo gli teneva le braccia dietro alla schiena e la sua faccia felice spuntò dalla finestra.
"Saluta il tuo amico!"
Urlò prima di buttarlo di sotto.
Serrai le labbra quando sentii il tonfo del corpo toccare terra.
Abbassai gli occhi per guardare oltre la ringhiera.
La posa innaturale che aveva preso il suo corpo mi faceva intendere che non c'era speranza per lui.
"Attento!"
Fu Sam ad urlare e mi girai di scatto per vedere un coltello passare a pochi centimetri dalla mia pancia. Questo perché di riflesso mi ero tirato indietro, altrimenti mi avrebbe aperto da una parte all'altra.
Saltai addosso all'uomo e lo sbattei per terra.
Le mie mani erano intorno al suo collo, ma questo era più forte del previsto.
Con un calcio, mi fece cadere di cinque o sei scalini.
Mi fermai solo grazie alla fortuna prima di spaccarmi l'osso del collo.
Sam gli diede un colpo in testa col calcio della pistola e poi lo sollevò girandolo sulle pancia.
Billo corse giù dalle scale e lo aiutò a legargli le mani dietro alla schiena.
Stavamo facendo troppo rumore, dovevamo muoverci.
"Stai bene?"
Con un cenno della testa risposi alla domanda di Billo e balzai in piedi.
"Muoviamoci. Mettiamo fine a questa storia."

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