9. Mela

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Me ne dovevo andare. Non avevo nulla a che fare con quel posto, con quelle persone.
Non lo volevo quel vestito addosso e quegli anfibi che chissà a chi erano appartenuti. Non la volevo la libertà di vivere se significava farmi amica del nemico.
Avevo passato la fottuta serata a chiedere aiuto a tutti e non c'era stato un solo singolo individuo che aveva capito che non stavo scherzando. Io ero una detective e quello era tutto un brutto, bruttissimo incubo. Come ne uscivo?
E poi quel pazzo furioso aveva alzato per il collo quell'uomo, colpevole solo di avermi afferrato il polso.
Ma che cazzo aveva che non andava nella testa?
Il suo sguardo mi aveva disgustata. Era compiaciuto. Era in estasi di fronte al suo potere assoluto.
Un narcisista, ecco che cos'era.
E pericoloso!
Mi intrufolai nel suo ufficio dietro di lui sicura di volergli scartavetrare l'anima. Che mi importava di chi fosse? Ero pronta alla morte piuttosto che piegarmi al suo gioco.
"Mi fai schifo! Sei una persona orribile, sei un criminale! Disgustoso! Avanzo di galera che non sei altro, lasciami andare!"
Gli appoggiai le mani sul petto e lo spinsi forte.
Non c'era più traccia del sorriso che prima aveva illuminato il suo viso.
"Hai finito?" mi chiese aprendo le braccia davanti a sè.
Volevo tirargli una testata, rompergli quel cazzo di naso che non avevo colpito abbastanza forte qualche giorno prima.
"No!" Urlai come un'isterica, stremata dagli ultimi giorni.
"Io non ci resto in questa gabbia di matti! In questa galera!"
"Così capirai cosa provano gli uomini che hai sbattuto dentro."
Non potevo crederci. Era pazzo!
Scoppiai a ridere.
"Quei bravi ragazzi, uh? Ti dispiace per loro? Perché siete uguali! Dovresti starci tu in galera! A vita. Quello è il tuo posto! Ma ti sbatterò dentro, fosse l'ultima cosa che faccio."
Rideva di me lo stronzo. Rideva forte mentre io perdevo l'ultimo briciolo di sanità mentale.
"Fammi andare via." Lo supplicai in un sussurro.
Sembrò per un attimo impietosirsi ma poi il suo sguardo tornò severo.
"E dove te ne vai? Dal tuo poliziotto che ti ha venduta o in centrale? Dove il tuo capo e i tuoi colleghi ti hanno indossato tutta la colpa per il caso Tenebra? Dicendo che eri stata tu a fare saltare la copertura! Che era tutta colpa tua!"
Scoppiò a ridere.
"La tua faccia era su tutti i giornali. Detective fa scappare spacciatori internazionali e perde milioni di cocaina."
I ricordi tornarono a galla. Che dolore sordo.
Avevo sbagliato ma non era stata solo colpa mia. Mile mi aveva dato l'informazione sbagliata, i miei uomini erano arrivati con venti minuti di anticipo. Io ero il capro espiatorio e in centrale lo sapevano tutti ma nessuna mi aveva difesa.
"Hai perso l'uso della parola?" Mi schernì cattivo.
Ero piena di rabbia e lui altrettanto. Volevo ucciderlo di pugni. Volevo farlo stare male quanto lui stava facendo stare male me.
"E a te che importa? Perché mi hai seguita come se fossi un mio cazzo di fan? Ti facevi le seghe davanti alle mie foto la sera? Venivi ogni giorno a portarmi i fiori perché volevi vedermi? E la notte la passavi a spiarmi dalla finestra? Altrimenti come sai dove abitavo, chi erano i miei amici e l'esistenza stessa del mio gatto? Sei pure un porco di merda!"
"Fottiti." Ricevetti come risposta.
Eravamo l'uno in faccia all'altro e i nostri petti si alzavano ed abbassavano veloce al ritmo dei nostri cuori arrabbiati e tristi.
"Per questo mi hai tenuta in vita. Sei in fissa con me. E per questo hai dato di matto prima.."
"Nessuno qui dentro può toccare una di voi. Le regole sono queste!"
Ribadì per la centesima volta.
Scoppia a ridere ormai deformata dalla rabbia.
"Che problema hai? Racatti giovani ragazze, le obblighi a stare qui, le fai diventare delle puttane.."
"Non sono puttane!" Sibilò a denti stretti scattando in avanti e arrivando ad un centimetro dal mio viso. Ma ormai avevo trovato il punto debole e io volevo ferirlo. Non avrei mollato.
"Devi avere dei seri problemi di attaccamento verso tua madre amico. Io te lo dico. È qui? Dovrei scambiarci due chiacchiere."
Le sue mani si chiusero a pugno.
Per un secondo pensai che mi avrebbe picchiata.
"Brutta stronza." Sussurrò piantando lo sguardo a terra.
Bum, beccato.
"O forse mammina non sa nulla. Pensa che sei un bravo ragazzo che consegna fiori ogni cazzo di mattina.."
"Stai zitta! Zitta!" Urlò coprendosi le orecchie. Ora faceva paura.
Sam irruppe nella stanza spaventato e lo guardò per accertarsi che stesse bene.
"Che cosa gli hai detto?"
Sam si avvicinò a me tappandomi la bocca da dietro. Mi divincolai ma inutilmente.
Skin mi puntò il dito contro.
Se avessi dovuto raffigurare con un immagine un uragano, quella sarebbe stata la fotografia che avrei scelto.
Era esplosivo.
E bellissimo. Quasi poetico in tutta quella tristezza che potevo vedere in lui in quel momento.
"Mia mamma era una puttana. Si prostituiva a casa. Tu non lo sai di che cazzo stai parlando. Tu di me non sai un cazzo! Vivi in un mondo di stereotipi, di colori tenui, di zero emozioni. Non conosci il vissuto degli altri ma pensi di essere meglio, di poter giudicare. Tu non sai un cazzo!"
Mi bloccai di colpo e dopo poco, Sam mi lasciò andare.
"Skin.." Chiamò preoccupato il suo amico.
Questo alzò la mano di fronte a sè per non farlo avvicinare.
"Nessuna di queste ragazze è una puttana e nessuno di questi uomini può toccarvi. Vattene in camera, hai finito di lavorare per oggi."
Lo vidi andare via ormai distrutto.
Dovevo essere felice ma non lo ero per un cazzo. Come potevo pensare di essere meglio di loro e poi comportarmi così?
Lo guardai allontanarsi e sbattere la porta dietro di sé.
Sam mi guardava disgustato.
"Non potevo saperlo.." Mi giustificai sentendomi tremendamente in colpa.
Di cosa poi? Ero stata rapita da dei delinquenti. Quanto male avevano provocato nel corso di quei anni? E ora io mi sentivo uno schifo per aver fatto saltare i nervi ad uno di loro.
"Quante cose non sai." Sussurrò Sam facendomi venire i brividi.
Avevo poche certezze nella vita ma erano assolute. Non ero pronta a mettere in discussione nulla. Un delinquente restava un delinquente, anche se aveva salvato delle donne dai loro tristi vissuti.
E i poliziotti che fingevano di non vedere allora?
Si domandò una voce dentro la mia testa.
Da che parte stavano loro?
Zittii la mia coscienza tirandomi la treccia.
Sam scosse di nuovo la testa disgustato.
"Smettila di vedere le cose solo dalla tua prospettiva. Potevamo ucciderti. Sarebbe stato più facile! Invece sei qui e ogni secondo rischi di mandare a puttane tutto. Siamo delle merde? Forse. Non sempre abbiamo agito in base alla legge e abbiamo fatto del male. Ma tu! Tu non sai proprio un cazzo al di là di un centimetro dal tuo naso. Sei cieca! La tua rabbia ti rende cieca!"
Si voltò e seguì il suo amico sbattendo a sua volta la porta e lasciandomi sola.
Così sola al mondo.

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