Capitolo 14 (part 2) - Hope

24 6 5
                                    

Cammino guardinga per tutto il corridoio, non voglio che nessuno mi veda piangere, soprattutto Artem. Devo continuare a mostrarmi imperturbabile e indifferente, come se la sua presenza non togliesse né aggiungesse nulla alla mia vita. Anzi, devo farlo con tutti. Altrimenti prima o poi qualcuno scoprirà che sto nascondendo "qualcosa".
Arrivata alla 22 penso di aver recuperato almeno un po' di lucidità per vedermela con Melanie. Quindi bussò alla porta e lei apre immediatamente senza neanche lasciarmi il tempo di ritirare il braccio. -Queste pezze sono le tue?- grida volutamente per farsi sentire dai ragazzi degli altri dormitori, e poi  mi lancia addosso, uno dopo l'altro, zaino e bagaglio a mano. Resto immobile nonostante mi abbia fatto male al ginocchio, sotto gli occhi divertiti di Holly e Monica. Mi tratta così da 5 anni, non devo fare altro che prendere le cose e girare i tacchi come ho sempre fatto. Ma oggi troppe cose non vanno per il verso giusto, e una vocina sempre più assillante vuole comandarmi di riprendere i miei bagagli e lanciarglieli addosso esattamente allo stesso modo. -Cos'è? Vuoi ricambiare? Non hai neanche la forza di sollevare il cazzo del tuo ragazzo, depressa di merda!- Quando pronuncia questa frase il mio limite di sopportazione si è pressoché esaurito, e i miei occhi non smettono di oscillare tra i bagagli di fronte a me, quella stronza di Melanie e Marcus che percorre il corridoio facendosi sempre più vicino a noi. Man mano che riesco a vederlo meglio mi accorgo che la sua espressione è carica di preoccupazione, sicuramente avrà assistito alla scena. Mi fa di sì con la testa, come si fa ai bambini piccoli quando accidentalmente cadono, per non farli piangere. Ma più prova a calmarmi rallentando il passo e annuendo, più sento montare la mia rabbia al massimo. Purtroppo non è neanche tutta colpa di Melanie. Oggi la paga cara per me, Artem, Jason, Alex, i miei genitori e... La polizia. Ancora non riesco a crederci se ci penso. -Ti ho mai detto che sei una puttana?- ormai Hope come la avevo programmata nei dettagli fino a quel momento non esisteva più. Ecco altra spiacevole conseguenza dell'effetto Artem. -Sei una puttana!- grido la seconda volta con tutte le mie forze, mentre Marcus scattando fa appena in tempo a mettersi in mezzo tra me e lei prima che possa metterle le mani ai capelli. Dopo avermi preso  di peso insieme ai miei bagagli, si sposta di qualche metro e sento sotto la pelle che sta sudando per la preoccupazione. Ma io fisso ancora Melanie e il suo sguardo compiaciuto e perfettamente lucido mi fa diventare pazza.
Marcus mi rimette in piedi appena in prossimità del bagno delle ragazze e, scaricando con non meno violenza di Melanie i miei bagagli a terra, mi guarda come se avesse visto un extraterrestre: -Mi spieghi che ti succede? Oggi siete tutti strani!- fa, strabuzzando gli occhi. -È giusto che io continui a subire come ho fatto per cinque anni?- chiedo retorica. -È Melanie! Cazzo!- dice mentre si dispera portandosi le mani ai capelli. -Non sei tu, fa così con tutti! Ma tu, a differenza di "tutti" continui a darle retta!- mi punzecchia. -Mi ronza intorno. Non posso farci nulla- dico, facendomi cupa e mettendomi a braccia conserte. -Ho capito che qualcosa non va- mi dice senza sondare oltre. Poi mi fa un sorriso, e va via con la stessa velocità con cui l'ho visto arrivare.
È vero Marcus. Quanto vorrei poterti dire tutte le mie cose come ho sempre fatto prima dell'uragano.

***

A passo lento e oscillante mi trascino nuovamente nella 37. Come entro pare che Kate abbia visto un fantasma. Appaio anche peggio di un quarto d'ora fa. -Vuoi dell'acqua?- mi chiede ridendo, per evitare di fare commenti sulla mia cera.
Mi limito a fare sì con la testa. Ma il mio volto è davvero inespressivo.
-È così terribile Yale?-, Kate accenna un sorriso, passandosi una mano  tra i capelli. È un modo molto discreto per chiedermi cosa non va?
-Yale... È davvero meravigliosa!- rispondo senza ombra di dubbio. Che sia o meno la scelta giusta per me, è un'altra storia.
Kate torna seria, e sporge in avanti il mento. -Qualsiasi sia il problema, ti consiglio di pensare un po' a te stessa. Non ti sto suggerendo di diventare egoista, ma solo di concentrarti su questa esperienza e dedicarle il 100% della tua attenzione. Se Yale è ciò che vuoi, questi giorni saranno determinanti per te. Non credere che non ti stiano osservando... Molto per te verrà deciso nelle prossime ore. Quindi...- inclina lo sguardo e inspira profondamente, -Non voglio sapere cosa ti passa per la testa, ma accantonalo per un po'...-, mi parla come se mi conoscesse da sempre. Non so se mi dà un po' fastidio. Però in effetti no, riesce a farlo genuinamente, in modo da consigliarmi senza farmi sentire sotto esame. Forse la cosa che mi dispiace è dimostrare tutto questo turbamento, quando ciò che vorrei è sembrare impassibile.
-Sono pronta! Tu?- mi chiede dopo aver preso un piccolo portafogli quadrato blu con la "Y" stilizzata bianca.
-Diciamo che sono pronta anche io. È Yale che vi regala tutte queste cose?- chiedo incuriosita, indirizzando l'attenzione sul portachiavi che mostra lo stesso logo.
-Alcune sì, altre le vendono nei negozi del campus- afferma orgogliosa aprendo la porta e invitandomi ad uscire dalla stanza insieme a lei.
Non rispondo. Non mi immagino ad indossare o sfoderare oggetti con loghi enormi, è terribilmente imbarazzante, un megafono innecessario. Spero di non diventare mai una persona che confonde chi è con ciò che fa.
Sospiro, mentre la seguo lungo il corridoio guardando in basso e in silenzio. Su una cosa Kate ha ragione: dovrei pensare meno e focalizzarmi su me stessa, suoi miei obiettivi. E questo indipendentemente da Yale. Dovrei farmi meno male, arrovellarmi meno sulle persone. C'è da dire che questo è il momento meno indicato della mia vita per pretendere calma e chiarezza. Ci sono dentro fino al collo e scegliere di "non pensare" forse equivarrebbe a scappare dalle mie responsabilità.
-Eccoci arrivate!-, esordisce dopo qualche (lungo, a questo punto) istante Kate girandosi di scatto verso di me e allargando le braccia.
Ho paura di me stessa, ero così immersa nei miei pensieri da non aver capito né visto nulla attorno a me. Mi sembra di poter tornare a sentire d'improvviso il tepore estivo sulla pelle, il suono del canto degli uccelli, la luce del sole colpirmi gli occhi, la zona esterna del campus disegnarsi velocemente davanti ai miei occhi anestetizzati. Ero davvero in un altro mondo. Nel mio mondo, come sempre.
Mi giro intorno. C'è uno spazio aperto immenso accanto al campo da football, con grandi panchine in legno prese d'assalto da studenti di ogni corso durante la pausa pranzo.
-Tu prendi posto, io arrivo con i burrito tra un attimo. Li vendono al piano terra appena all'ingresso dell'ala destra del campus. Hai preferenze?
-Fai tu! Però eccoti dei soldi-, dico premurosamente mentre apro la borsa per cercare il mio portafogli.
-Faccio io! Qui gli studenti non hanno bisogno di pagare... Dato che pagano già una retta da capogiro!- risponde sarcastica mentre si allontana verso la "casa del burrito".
Scelgo una panchina libera appena lontano dal radar dei gruppi di persone più numerosi e mi siedo.
Prendo il cellulare per specchiarmi sullo schermo spento e non riesco a fare a meno di abbandonarmi ad una sonora imprecazione. Ho davvero, davvero, davvero una pessima cera.

***

-Tutta sola?- una voce sconosciuta mi fa sussultare, facendomi cadere il cellulare dalle mani.
Mi volto, e a pochi passi da me noto un ragazzo con la maglia blu e la "Y" stilizzata bianca sopra. Un classico. Il sole mi impedisce di scrutarne il volto, ma non mi sembra di averlo mai visto prima, soprattutto a giudicare dalla stazza.
Sorrido piena di imbarazzo e mi alzo istintivamente a prendere il mio cellulare, sperando che non si sia rotto. E con la scusa inizio anche a cercare Kate con lo sguardo.
-Hey, non voglio mica mangiarti! Puoi stare calma!- risponde stizzito a debita distanza.
-Sto aspettando la mia amica Kate- rispondo d'un fiato, tornando a dargli le spalle.
-La tua amica Kate? Intendi Kate Warren? E da quando sei amica di Warren, un'ora?- continua a importunarmi.
-Cosa ti fa pensare che io sia una matricola? Non indosso "Y" abbastanza grandi da poter essere una studentessa di Yale?- Lo incalzo a dovere.
- io sono Brad Gerard, chiedi in giro chi sono, così capirai perché so che sei una piccola matricola che viene dalla periferia, dato che conosco ogni singola testa qui!-, dichiara come se mi avesse appena confessato di aver trovato una cura contro una malattia incurabile.
-E perché scegli di dedicare la tua attenzione proprio a una matricola che viene dalla periferia?- sorrido, acida, ma solo con le labbra. Gli occhi restano seri e francamente infastiditi.
-Ti ha già presa di mira?- il suono della voce di Kate in lontananza mi tranquillizza. Corre veloce verso di me con la refurtiva in mano.
-Tieni, Hope, il tuo burrito.- mi dice indaffarata mentre cerca di tenere a bada i ricci che le coprono costantemente il viso.
-E tu sparisci- liquida Brad senza neanche degnarlo di uno sguardo.
-Così adesso so il tuo nome... Hope!- scandisce piano piano con le labbra e quasi mi sento cogliere da un conato di vomito. È disgustoso. Per fortuna ci mette poco a capire di dover voltare le spalle e tornare a fare il gallo da un'altra parte.
-Credevo che certi tipi imbarazzanti esistessero solo nei film...- pronuncio infastidita, ma ecco che improvvisamente una luce si accende nei miei occhi facendomi dimenticare tutto il resto...- Questo burrito è fantastico!- esordisco a bocca piena, dopo aver addentato un bel boccone.
Kate annuisce, ma più educatamente di me evita di rispondere a parole con la bocca piena. I ricci le coprono nuovamente il volto, così senza neanche fiatare le passo il mio elastico viola.
-Ecco, dovrebbe essere d'aiuto, anche se non ha una "Y" bianca sopra- esordisco, ridendo. Kate mi segue.
Dopo aver ingurgitato un mega burrito nel giro di 10 minuti parlando della vita a Rockport, lontane da occhi indiscreti, ci spostiamo su un'altra panchina all'ombra per sorseggiare un tea freddo al limone.
-Mi sembra di capire che tutto sommato hai una bella vita- mi dice Kate, ma in realtà questa affermazione contiene una domanda implicita.
-Non mi lamento, è tutto come dovrebbe essere-, dico guardando per terra e battendo la punta del piede destro per terra. Non posso discutere dettagli personali con una simpatica perfetta sconosciuta.
-E il cuore, come va?- chiede d'un tratto, spiazzandomi. Non mi aspettavo questo tipo di domanda da una persona che sembra vivere solo per realizzare le sue ambizioni personali.
-Il cuore va benissimo- dico a tratti, affogandomi col tea freddo. Che botta.
Kate inizia ridere fragorosamente, portandosi una mano davanti alla bocca per non mostrarmi lo spettacolo del tea che per un pelo non sputa come reazione alla mia stessa reazione.
-Ok, ok. Ti sto tartassando di domande-, depone le armi.
-Ma sappi che se e quando vorrai, a Yale avrai un volto conosciuto a cui fare riferimento-, stavolta torna seria, sembra addirittura sincera. È vero che è decisamente presto per fare questo tipo di domande, ma apprezzo davvero il suo tentativo di farmi sentire a mio agio nonostante sia qui da poche ore. Si vede che Kate ci sa fare con le persone, non so se lei sia una persona "risolta", ma ciò che appare lampante è la sua sicurezza, la sua sfrontatezza e la capacità tutta americana di andare "dritta al punto" senza girarci troppo intorno. Non so se sono mai stata anche io così, sicuramente non lo sono da quando Artem è rovinosamente precipitato nella mia vita.
-Mi sa che è ora di andare alla Woolsey Hall- mi ricorda Kate, guardando l'orario sullo schermo del suo telefono.
-È già ora?- chiedo retorica, sono quasi dispiaciuta. Mi ero appena "ambientata" in questa situazione che devo già abituarmi ad un'altra.
-Tranquilla. Goditi il laboratorio, stasera parleremo di tutto e se vorrai ceneremo di nuovo insieme-, Kate sa sempre cosa dire.
-Mi dispiace... Stasera ho promesso a Jason... Ehm, al mio ragazzo che avremmo cenato insieme-, affermo mortificata. -Sono davvero dispiaciuta, potremmo fare domani, sempre se...- Kate mi interrompe bruscamente -Sempre se non impazzisci prima! Calmati, Hope Wilson, o qui non duri neanche i tre giorni dell'orientamento. Tutti credono che il problema sia "entrare" a Yale, quando invece il problema è "rimanerci". Se non cambi atteggiamento, qui soccombi!- Adesso sta provando a redarguirmi, ma in realtà noto una certa bontà nel suo consiglio, come se lei ci fosse passata prima di me, come se sapesse davvero ciò di cui parla. Per cui mi limito ad annuire senza ulteriore ironia o commenti e la seguo lungo il percorso che mi porta all'Auditorium dove intravedo già qualche volto conosciuto.

#LOVEME - Tutta colpa di un bacioWhere stories live. Discover now