Capitolo 16 - Hope

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-Sei in ritardo di cinque minuti! Jason mi sorride, facendo finta di prendermi il naso tra le dita, ma capisco che non è il Jason di sempre. Anche la bontà ha un limite. Per fortuna. Me lo merito, lo so, e quindi decido di non protestare.
-Sono in ritardo con la vita!- sbuffo, mi rivolgo quasi come se di fronte avessi un amico, ormai, e non il mio ragazzo. -Come mai mi hai dato appuntamento per un hot dog? Jason Rivera, a Yale?- chiedo curiosa, sbadigliando. Non so quante ore di sonno arretrato  io abbia accumulato finora.
La paninoteca in questione si trova all'interno del campus, sempre al piano terra nell'ala est, accanto al ristorante messicano. All'interno è di un blu sgargiante e l'arredamento è interamente giallo. Le luci al neon mi danno alla testa e l'odore acre mi fa venire la nausea in meno di niente.
-Mi sembra che ultimamente tu abbia un debole per cose come i "burrito", per le scelte discutibili e per legami insoliti... O sbaglio?- prova ad essere duro, ma vedo benissimo che aspetta solo un mio cenno per tornare il solito... Jason.
-Mi spieghi da dove viene tutta questa confidenza con Artem?-, arriva dritto al sodo, mentre la cameriera serve già due hot dog con senape e formaggio al nostro tavolo. Come vedo non ha perso il vizio di ordinare per due senza chiedere per prima cosa mi andasse.
-Mi hai invitata a mangiare un hot dog per farmi il quarto grado? Bene. Allora inizio col dirti che ero con Artem perché è un amico che non ordina per me senza neanche sapere cosa io mangi!- dico secca allontanando il piatto da me e spostandolo verso di lui. -Non mi piace la senape, ma scommetto che non lo hai imparato nei 5 anni in cui siamo stati insieme-, commento, insolitamente acida. Che stronza che sono. Mi sembra quasi di stare creando un precedente per sentirmi meno colpevole per ciò che sto facendo. Vedo Jason incupirsi immediatamente.
-Mi dispiace... Non ricordavo della senape. Volevo che mangiassi il prima possibile, so che non hai dormito bene... Stanotte...- rimarca, rievocando l'accaduto ancora una volta. -Ci tenevo che ti servissero subito, così da accompagnarti immediatamente a dormire-, sussurra, accarezzandomi delicatamente la mano, e poi spostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. È terribile pensare quanto mi dia fastidio il contatto fisico con lui.
Eppure nego con tutta me stessa questa verità, e quando affiora, così violenta, per reazione istintiva, poggio la mia mano sulla sua. -Hai ragione...Sono solo una bambina abituata troppo bene- piego lo sguardo, e parzialmente credo a ciò che dico. Jason è un ragazzo dolce e premuroso, ma la verità che provo a reprimere, che qualcosa tra noi si è rotto, e questo ancor prima che arrivasse Artem, prova a farsi strada in me sempre più violentemente, e sempre più violentemente io provo a reprimerla. Ho davanti il ragazzo perfetto, e so che con lui potrebbe essere per sempre. Cosa so di Artem? So solo che mi ha incasinato la vita. -Allora, non vuoi dirmi nulla di come sono andate le cose stanotte?-, insiste ancora, e per un pelo riesco a restare calma.
-Non ho più fame- asserisco spostando ulteriormente lontano da me il piatto con l'hot dog intatto su cui il formaggio fuso si è ormai rappreso formando una patina solida. -Ti dispiace riaccompagnarmi alla 37?- gli chiedo con garbo. Senza tradire emozioni.
Jason annuisce piano ma senza guardarmi negli occhi. Dopo poco i suoi occhi si fiondano sul cellulare, strabuzzati. Il suo annuire pacato si trasforma presto in un'espressione di apprensione.
-Stai leggendo qualcosa?- chiedo preoccupata.
-Devo precipitarmi dentro, c'è una rissa, tu resta qui- pronuncia tutto d'un fiato, alzandosi di scatto. Una banconota sul tavolo e via verso l'uscita.
-Una rissa? A Yale?-, chiedo, alzando la voce affinché possa sentirmi e rallentare il passo. -Quando il dovere chiama, Jason corre. Forse è solo uno sciocco scherzo di Marcus!- esclama seccato, e poi sparisce chiudendosi la porta alle spalle. Decido di non seguire il consiglio di Jason e torno in stanza, da Kate.

Dopo essermi chiusa la porta alle spalle, il telefono vibra tra le mie mani.
È Artem.
E anche se nessuno può vederlo, d'istinto copro lo schermo con la mano. Ecco cosa si prova a diventare una che tradisce il proprio fidanzato. -Esci subito dalla tua stanza- scrive Artem, imperativo.
Il cuore inizia a battermi all' impazzata.
Non solo non ho alcuna intenzione di uscire dalla stanza, ma pure mi preoccupo di chiuderla a chiave con doppia mandata. -È urgente, abbiamo pochissimo tempo. Apri la porta. continua a scrivere, dopo aver notato che il suo primo messaggio risulta visualizzato senza risposta. Messa alle strette mi dirigo verso la porta e la apro. Appena lo trovo di fronte a me in tutta la sua terribile bellezza sbarro gli occhi e lo stomaco mi si chiude. Ecco che sento le mie difese venire meno, come ogni volta che è vicino a me. Dopo avergli lanciato uno sguardo implorante e silenzioso, la cui traduzione letterale sarebbe "ti prego, non mettermi in difficoltà mentre facciamo un seminario a Yale nel quale è presente anche il mio fidanzato", faccio subito per chiudere la porta, ma dotato di riflessi decisamente migliori dei miei, la blocca mettendo un piede in mezzo.
Lui continua a guardarmi fisso negli occhi, non li stacca da me neanche per sbattere le palpebre. Non capisce che questo gioco potrebbe costarmi caro. Continua a guardarmi sorridendo e dopo finalmente mi chiede: -Perché vuoi scappare?-.
Quel sorriso storto e irriverente... È tutto ciò che odio... E tutto ciò che amo. Provo a chiudergli la porta in faccia ma non riesco. O forse non ci sto neanche provando davvero.
-Cosa c'è da ridere?-, pronuncio a denti stretti, curandomi che la mia coinquilina non noti il mio disagio. -A te sembra tutto un gioco, vero? Ti piace giocare con la vita degli altri?-, concludo, sempre con un cordiale sorriso.
-Per niente Hope!-, torna serio, in un battibaleno. -Ma non abbiamo molto tempo prima che Jason ritorni, quindi vieni fuori! Adesso!-, pronuncia più irruento provando a prendermi per un braccio.
Ogni volta Artem si avvicina a me mi sembra di ballare all'inferno. Provo una maledetta euforia, perché è imprevedibile e fa ciò che vuole, ma anche una maledetta paura... Per lo stesso motivo. E quando si fa serio e diventa prepotente...
-Smettila di spaventarmi. Non attacca!- Mi tiro indietro e provo a fare forza sulla maniglia per chiudere la porta mentre gli pesto con forza il piede per farglielo ritirare.
Non mi sognerei mai di prestare il piede a una persona. Ma Artem mi rende decisamente imprevedibile. Lo vedo inclinare la testa e fare un sospiro che dice: -Ok, l'hai voluto tu!-, ma ancora zitto mi prende per il braccio, stavolta con la forza, senza convenevoli, e mi trascina fuori dalla stanza sbattendomi al muro e incastrandomi con le sue braccia tese per assicurarsi che non possa scappare.
-Qundo vorrai smettere di fare la difficile?-, sussurra a metà tra rabbia e impeto, mentre i nostri visi si avvicinano pericolosamente. Ho l'impressione chiara di sentire il cuore che mi batte nella gola.
Mi volto di scatto da un lato. Più per me che per lui. È maledettamente vicino, e anche se faccio la "difficile" il mio respiro affannato la dice lunga su ciò che mi sta passando per la testa. -Io, difficile? E come sarebbe invece facile?-, dico, evitando di guardarlo.
-Per iniziare...-, suggerisce sorridendo... -Potresti provare mollando Jason. Ci ho pensato e non dobbiamo per forza confessare il nostro segreto adesso, magari... Potremmo farlo piano piano. Ma sarebbe già un piccolo passo per noi due se tu lo lasciassi... E... Mi sentirei meno in colpa. Ho appena preso per il culo uno dei migliori amici, solo per stare con te adesso. Sono stato io ad avvisarlo della falsa rissa per farlo andare via!-.
Torno a fissarlo di scatto, con la furia negli occhi. -Come sarebbe a dire sei stato tu? Non capisci che ci vado di mezzo io se-, non faccio in tempo ad aumentare di poco il tono della voce che mi tappa la bocca con la sua mano e si volta immediatamente a destra per verificare che nessuno si sia accorto di noi o stia origliando. Dopodiché molla la presa e avvicina le sue labbra alle mie, senza baciarmi, restando letteralmente a un centimetro da me. Giuro di poter sentire le mie labbra incendiarsi di sete per lui. E il contatto mancato per quel centimetro fa addirittura male. Ma non ho più forze per difendermi, se lui è esasperato, io sono nella morsa della follia già da un po'.
-Non ti rende più felice... Questo?-
-Tu sei...-, il mio volto si stropiccia in un'espressione interrogativa, perplessa e vagamente lusingata... -Sei pazzo! Lo capisci che quella che rischia grosso qui sono io?-.
Tutto questo suona come un terribile rifiuto, ma mentre pronuncio queste parole mi tradisce un passo falso, perché con la mano cingo da dietro il suo torace e lo avvicino di mezzo centimetro a me. Ma non appena mi accorgo del mio riflesso incondizionato mi ritraggo immediatamente. La luce del corridoio di spegne.
Ma nessuno dei due si stacca dall'altro per riaccenderla. Adesso abbiamo perso il nostro corpo, siamo fatti solo di polpastrelli e di sospiri. Siamo davvero diventati due fantasmi. -Ti ho già detto che a rischiare siamo in due. Jason è amico mio, ma non me la faccio sotto... Perché ti voglio!-, poi continua... Bisbigliando: -Hope, io...- Abbassa la testa e lo sguardo e assume ad un tratto un tono rotto e vulnerabile della voce. -Io... Credo di amarti!-.
Le sue parole mi trafiggono come una coltellata. Prima che possa finire di pronunciare quella parole che sono una condanna, mentalmente rispondo: -Anche io. Anche io. Anche io!-
Ma l'unica cosa che faccio in realtà è inarcarmi in avanti come se mi avesse sganciato un pugno. L'attrazione, il desiderio e i sentimenti che provo sono così forti che quasi mi sento male. Non so cosa dire. Sono mille i motivi per i quali la situazione per me e per lui è completamente diversa, nonostante lui sia amico di Jason. Ci sono i miei... E... C'è tutto ciò che è giusto. E questo è tutto sbagliato. Non so cosa fare.
Intreccio debolmente le dita con le sue e il contatto fisico è così piacevole e così terribile allo stesso tempo che mi sembra di aver preso la scossa.
-Hope, dì qualcosa!-, mi implora con la voce che trema nel buio. Sembra che tutto il buio sia fatto di lui, la mia ossessione, il mio incubo.
-So che forse non è il momento giusto per dirti questo, so che forse IO non sono quello giusto per TE, ma non riesco a toglierti dalla mia testa! Dovevo venire qui, adesso, a dirtelo, perché non riuscivo più ad aspettare!- stringe leggermente la mia mano e con l'altra mi afferra da dietro la schiena e mi avvicina a sé. -Artem, se ti bacio, adesso, per me è davvero la fine!-.
Lui risponde affondando le labbra nelle mie.
Sento chiaramente che si allontana da me, sconfitto. Abbandona le braccia lungo tutto il corpo e si gira impercettibilmente dandomi le spalle quando qualcuno, lontano, nel corridoio, accende la luce. Resta immobile e zitto per un secondo, poi, prima di andare via per evitare di incrociare Jason, bisbiglia un fievole "amami". Come ridestato da un sogno, o animato da un moto di rabbia, un attimo dopo è già sparito dietro l'angolo del lungo corridoio. Resto pietrificata, capisco di essere ancora viva per il fiatone e per le mani che se la prendono una con l'altra. Ormai convinta che nessuno possa sentirmi, sussurro anche io un debole "Ti amo già", e poi spezzo la maledizione tornando in camera.

#LOVEME - Tutta colpa di un bacioWhere stories live. Discover now