Capitolo 12 - Hope

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Mi sembra di aver trascorso nel limbo tra inferno e paradiso questo viaggio in macchina. Inferno perché so cosa mi aspetta appena scenderò dalla macchina, paradiso perché stringo ancora la mano di Artem nella mia, anche se non proferisco parola.
-Se riesci a sopportare me, riuscirai a sopportare questo- mi incoraggia Artem, con un risolino di nervosissimo mentre ci accorgiamo che davanti a noi si erge una catena di figure umane illuminate a tratti dalle luci blu della volante di polizia dentro al cancello di casa mia. Quando una delle figure diventa più chiara man mano che si avvicina, decido di non agire neanche, e abbandonarmi ad una sorte già scritta.
-Dove diavolo eri finita!- prova a urlare mia madre aprendo con violenza la portiera della macchina di Artem. Vorrebbe urlare, ma non ci riesce, la voce fatica addirittura a scaturire dalle corde vocali. Sono così sconvolta che non riconosco le persone che mi circondano una volta che, presa per un braccio, mia madre mi strattona fuori dall'auto. Conosco bene questa donna, deve aver gridato tutto il pomeriggio e la sera per essersi ridotta in condizioni simili. Mia madre odia presentarsi in maniera indecorosa, e il fatto di mostrarsi senza una piega fresca, un completo solenne e il solito filo di trucco avorio mi lascia presagire come abbia trascorso le ultime ore.
Accanto a lei la figura di mio padre si staglia imponente. È arrabbiato, braccia conserte e stretto in un silenzio granitico. Evita il mio sguardo, come ogni volta che vuole farmi sentire in colpa: questa è la sua arma preferita, sa che non esiste modo per ferirmi di più.
Ancora piegata su me stessa provo a liberarmi dalla presa di mia madre, e non appena ci riesco e sollevo il volto e finisco per incrociare lo sguardo con due agenti della polizia, accanto ai quali riconosco Lexie, che mi fissa con un'espressione di finta apprensione e Jason, che mi guarda con gli occhi lividi, gonfi di lacrime e preoccupazione, ma non osa avvicinarsi.
In men che non si dica Artem scende dall'auto e mi raggiunge, lasciando la portiera aperta.
Evito di guardarlo ma so che è vicino a me, riesco a intuirne i contorni della figura con la vista periferica.
-Non rispondi alle chiamate, non ti fai viva da tutta la sera, la tua amica Lexie ci avvisa che l'hai abbandonata al parco: Hope, da qualche tempo non ti riconosciamo più! Ci hai fatto denunciare la tua scomparsa alla polizia!- continua ad accusarmi, reggendosi il petto con una mano e carcando di riafferrare il mio braccio ormai livido con l'altra.
-E che schifo è questa maglia satanica!- strilla, e penso che la sua gola si sia graffiata così tanto da sanguinare in questo momento.
-Gliel'hai data tu questa maglia?- si rivolge ad Artem paonazza.
-Dove eravate?- chiede, continuando a fissarlo con il veleno negli occhi, e al culmine dell'agitazione, sotto gli occhi increduli di tutti, lo spinge all'indietro tentando di allontanarlo da me.
-Mamma, come ti permetti? Senza Artem non sarei mai arrivata a casa sana e salva, visto che è stata proprio Lexie ad avermi lasciata sola al Luna Park!- la imploro di credermi appendendomi con tutte e due le mani al suo "pigiama" elegante, ma noncurante del mio dolore mi prende di peso e mi sposta con forza lontano da lei come aveva fatto con Artem.
-Non ti permettere di gridare a tua madre!- interviene immediatamente mio padre, e il suo ammonimento suona come un tuono che irrompe nel caos, ripristinando il silenzio e la vergogna.
A smorzare il disagio generale interviene l'arrivo della madre di Artem. Nonostante sia un momento orribile, che probabilmente ricorderò per sempre, la figura della signora Young mi strappa un minuscolo sorriso.
È sempre sorridente, assertiva, sa bene chi è e difende suo figlio come una leonessa a cui abbiano minacciato i suoi cuccioli. Ha un aspetto curato ma lievemente svampito, come se fosse caduta dalle nuvole, è bassina e rotondetta e sembra che in quella piccola botte, nonostante tutte le avversità, risieda un turbine di vita.
-Amore mio! Che succede? Hope? State bene?- si avvicina con una goffa corsetta mentre Artem gli fa il gesto (ovviamente inascoltato) di restare indietro.
-Sono arrivata il prima possibile, il signor Wilson mi ha chiamato e mi ha detto che non riuscivano a rintracciarvi! La sua manifestazione espansiva si placa non appena anche incrocia il suo sguardo non tanto con quello dei due agenti che assistono alla scena con aria tragicomica, ma con quello dei miei genitori, che la squadrano dal basso all'alto rimarcando silenziosamente la differenza tra i loro status sociali.
Per fortuna intervengono gli agenti a sollevare il macigno dell'imbarazzo.
-Dobbiamo confessarvi che l'agente Cameron ed io, solitamente, non assistiamo ai drammi familiari. Pare che i giovani siano sani e salvi e che nulla di grave sia successo. Pertanto togliamo il disturbo!- l'agente Cameron, un uomo mulatto di mezza età, con un sorriso bonario sottrae la parola all'altra agente di cui ignoravamo il nome, una donna giovane e bellissima che in divisa sembrava quasi una dea. -Vi consiglio di risolvere pacificamente i vostri problemi, o ci richiameranno per disturbo della quiete pubblica- più che un consiglio suonava come un simpatico ammonimento.
I miei genitori sembravano i più ricettivi all'ammonimento degli agenti, si erano immediatamente dati un contegno, a dimostrazione del fatto che per loro l'apparenza conta davvero tutto.
Poco dopo i due agenti erano spariti dietro il cancello di casa mia, e io non perdevo tempo a cercare con lo sguardo la signora Young.
-Signora Young, sono mortificata, le giuro che si è trattato di un malinteso!- non finisco di scusarmi con lei che interviene Artem con un atteggiamento duro e insolito.
Sembrava al limite della rabbia, e temevo che esplodesse in uno dei suoi scatti di ira come alla festa di fidanzamento.
-Tutto bene, mamma- pronuncia a denti stretti mentre guarda in cagnesco mia madre e serra entrambi i pugni. Sento che la situazione è fuori controllo e non migliorerà, è come se mi avessero dato un pugno nello stomaco.
Tanto per peggiorare la situazione mia madre non temporeggia ad intervenire.
-Tutto bene un corno!- risponde ad Artem. -Hai praticamente sequestrato mia figlia! Non ha mai fatto così tardi senza dare notizie di lei!- urla inviperita, e mi chiedo come sarebbe la mia vita se mettesse tutto lo sforzo che usa per distruggerla nell'amarmi come merita una figlia.
- IO? Sequestrare chi? L'ho praticamente trovata da sola in periferia, sotto la pioggia, e le ho voluto dare un passaggio!-.
-È così che sono andate le cose, mamma! Signora Young, anche lei, mi perdoni per averla fatta scappare da lavoro, le giuro che Artem mi ha solo aiutata, e abbiamo fatto tardi perché ad Artem è finita la benzina e siamo rimasti al diner ad aspettare che scampasse... Confesso cautamente, temendo che fossimo già stati smascherati.
Quando avevo quasi dimenticato la viscida e silenziosa presenza di Lexie, ecco che irrompe sfasciando completamente la serata. -Hope, non ti riconosco più!- mi accusa, accodandosi a Jason che sinceramente sconvolto e provato inizia a chiedermi perché non avessi risposto alle chiamare e perché fossi con Artem.
- Credevo che dopo averci rovinato la festa sarebbe stato meglio evitarlo per un po'!- mi ammonisce, rivolgendo ad Artem un'occhiataccia carica di rancore, ma Artem non fatica a scusarsi.
-Mi dispiace per la festa Jason...- piega la testa portandosi pollice ed indice tra il sopracciglio destro in posizione di riflessione, forse per evitare altri pericolosi exploit.
-Non dispiacerti! Hai fatto già abbastanza anche oggi facendo sparire la mia ragazza nel nulla!- Lo accusa con violenza, e quasi non lo riconosco.
-Amore!- Imploro Jason, ma mi tradisco guardando per un attimo Artem dopo aver pronunciato "quella" parola... Lexie mi ha praticamente abbandonata al luna park, completamente sola, e Artem... Per fortuna ho incontrato Artem per strada! Ti prego, credimi! Credetemi! Mi rivolgo a tutti ma nessuno sembra credere alla nostra versione, e non capisco perché.
- Ti credo- si sforza di dire Jason, -ma forse sarebbe stato meglio tornare indietro a piedi piuttosto che con lui!-
Lexie si intromette immediatamente nella discussione, per sincerarsi che nessuno creda a me ed Artem piuttosto che a lei. Non capisco a che gioco stia giocando. Non sembra in lei. E il segreto mio e di Artem non ci aiuta a smascherare la follia di Lexie, perché sembriamo, e siamo - in effetti- due che non la raccontano giusta. Nonostante ciò, però, la verità non era quella raccontata da Lexie.
-Hope che ti prende?- chiese piangendo senza lacrime. -C'entra quel piccolo segreto che mi hai voluto confessare prima di andare via?-
-Stai dicendo davvero?- rispondo schifata rivolgendo uno sguardo spaventato a Jason. Ho paura che sappia già tutto. -Qual è il piccolo segreto, Lexie?- la incalzo, per metterla all'angolo, -che oggi sembri completamente impazzita?- urlo andando verso di lei con l'intenzione di strapparle tutti i capelli dalla testa.
- Quale segreto?- interviene immediatamente mio padre mettendosi in mezzo per separare me e la mia migliore amica, che si stava rivelando una serpe. C'è qulcosa che non ci dici?- aggiunge severo mio padre, esprimendo più un'affermazione che una perplessità.
-Papà, credimi! Mi ha abbandonata ed è andata via senza alcun senso di colpa! Se non fosse stato per Artem sarei ancora SOLA! E poi se la avessi abbandonata io, come sostiene lei, non avrebbe degli abiti diversi in questo momento!
-Sei tu quella con la maglia diversa, Hope! Cosa hai fatto a casa di Artem?- chiese maliziosa, per istillare il dubbio nella mente di chi ci ascolta.
Sono al culmine della rabbia quando Lexie, ormai alle strette, lascia tutti attoniti iniziando a piangere come farebbe una vera vittima. -Mi dispiace Hope ma devo farlo per te... Dirò tutta la verità. Signor e signora Wilson, Artem ha fatto fumare dell'erba alla nostra Hope...
-Non ho fumato dell'erba, razza di stronza, Artem mi ha solo prestato una maglia perché siamo rimasti bloccati sotto la pioggia!-
Al sentire le parole di Lexie la madre di Artem scoppia in una risata di nervosismo. -Signor Wilson, Signora Wilson, sono solo ragazzi. Questo non è niente... Calmatevi, vi prego! L'importante è che i ragazzi siano sani e salvi! Della punizione avremo modo di parlarne anche domani, ma adesso non sarebbe meglio tranquillizzarci?-. La madre di Artem non fa in tempo a formulare la sua richiesta di calmarci che mia madre irrompe con un: "SILENZIO... TUTTI!!", urlando a squarciagola. Faccio fatica a riconoscerla, e quasi provo più imbarazzo di lei quando i nostri dirimpettai si affacciano alla finestra preoccupati.
Mio padre decide di prendere le redini della situazione, -Lexie, sei intelligente, onesta e una studentessa modello. Grazie. Vorremmo tanto che nostra figlia fosse come te... E invece ci delude...adesso fuma anche erba!- pronuncia torvo senza degnarmi di uno sguardo, al solito. -È così che crede di andare a Yale?- aggiunge, stavolta rivolgendosi a mia madre, che si agita sempre di più. -TU! Razza di delinquente, hai fatto fumare la mia bambina?- chiede mia madre ad Artem col sangue agli occhi, procedendo verso di lui con una mano tesa e mollandogli uno schiaffo in pieno viso.
Artem, rassegnato, resta sul posto e mi fa cenno con la testa di non preoccuparmi, che non è nulla, ma la signora Young non sembra pensarla allo stesso modo.
-Come si permette a toccare mio figlio? Adesso toccherà a me chiamare la polizia! Razza psicopatica!- si lascia andare, non senza scoccarmi un'occhiata preoccupata per questa affermazione ardita. Ma la signora Young ha tutte le ragioni per considerare psicopatica mia madre. Andando alla radice di tutta questa tragedia, decido di rivolgere a Lexie un'altra domanda a metà tra sconcerto e disgusto. -Perché mi stai facendo questo?- esordisco tradendo tutta la mia agitazione e la mia sorpresa... Quella non era la mia migliore amica, e sinceramente ero davvero preoccupata per la sua sanità mentale. Mentre le pongo questa domanda noto che Artem si massaggia la guancia arrossata, prova a contenere le parole, ma non riesce a non accodarsi alla madre e parlare. Dopotutto, aveva appena ricevuto uno schiaffo senza motivo, davanti a tutti. -Adesso mi è chiaro perché sua figlia vive costantemente nell'ansia e nel terrore dei propri genitori. Lei, signora Wilson, è una pazza!- le vomita addosso lasciandomi impietrita per la sua durezza (giustificata).
-Vedi?- sussurra Lexie al mio orecchio. -Lo faccio solo per il tuo bene... Adesso sarebbe meglio se dicessi la verità, se dicessi che è vero che Artem ti ha fatto costretto a fumare- aggiunge aumentando il tono della voce per farsi sentire da tutti, ma, appena un attimo dopo, la sua voce si trasforma nuovamente in un flebile sussurro, -o dalla mia bocca uscirà la vera confessione che hai fatto...- minaccia guardandomi con i suoi occhi da cerbiatta scuri e ipnotizzanti.
Quasi riesce a convincermi anche della parte falsa del racconto. Mi chiedo quante altre volte mi abbia raggirato in questo modo vile e viscido.
-Ma perché stai facendo tutto questo?- continuo ad insistere incredula, -un giorno mi ringrazierai...- prova a convincermi. Poi si schiarisce la voce, cambia letteralmente sguardo, tornando a piagnucolare per finta, e domanda ad alta voce: -sto per caso dicendo una bugia, Hope? Non è forse vero che ti ha costretto a fumare dell'erba?
Sento di avere esaurito tutte le mie scorte (infinite) di pazienza. La prendo per il colletto della camicetta, la fisso negli occhi, mi avvicino al suo orecchio e le sussurro anche io, -un giorno non saprai neanche come mi chiamo. Per me sei morta!- le dichiaro guerra a un centimetro dalla faccia, guardandola in cagnesco.
Dopodiché raccolgo tutto il coraggio che conservo in qualche angolo remoto della mia persona, lancio un sorrisetto di disperazione ad Artem, la causa principale del mio coraggio e della mia ostinazione di questi giorni, riempio i polmoni, e... -Non mi ha costretta, gliel'ho chiesta io!- urlo. Non appena pronuncio queste parole tutti i presenti si uniscono in un'espressione sonora di stupore. A bocca aperta e con gli occhi strabuzzati mi fissa anche Artem, che al limite dell'ira, decide di sferrare una pedata alla gomma della sua macchina per evitare di colpire un qualsiasi altro essere umano circostante. -Smettila di dire cazzate, Lexie!- le urla, per difendermi. Ma non riesco davvero a calmarlo perché tutta la mia attenzione viene rubata dallo svenimento di mia madre. È diventata bianca come un fantasma, e mio padre la sorregge tra le braccia e la sdraia per terra, mentre, anziché preoccuparsi di farla rinvenire, continua a ripetere tra sé e sé: "Ho cresciuto una drogata!".
A quel punto la situazione era sfuggita di mano a tutti. Non ci sarebbe stato verso di raddrizzarla né ora né mai, e solo capitolando avrei potuto "risolverla". Quindi raccolgo la mia borsetta da terra e chiedo a tutti di perdonarmi. -È tutta colpa mia, è vero- grido rassegnata. In fondo ci ero abituata, era davvero sempre colpa mia. -È meglio che andiamo, papà- lo imploro mentre prende mia madre di peso e per portarla a casa. Non saluto nessuno e mi dirigo verso casa, seguita da Jason che aiuta mio padre a trasportare mia madre.
In lontananza sento ancora Lexie blaterare dietro di noi, -Hope si droga per colpa di Artem, quando stanno da soli, e ultimamente succede spesso, lui la fa fumare di continuo!- per un attimo decido di fermarmi, e la stessa reazione hanno mio padre e Jason. Non riesco a non cedere all'imperativo interiore di girarmi verso di Artem che, esasperato, si passa una mano tra i capelli e poi la accusa, -tu sei completamente impazzita! Jason ti giuro che non è vero, credimi!- gli urla da dietro sperando di suscitare una qualche reazione in lui. Jason non si gira neanche. -Artem, ti ho parato il culo tutta la vita. Ma stavolta abbiamo chiuso! La nostra amicizia è finita!- conclude apparentemente senza più neanche un velo di amarezza. -Lexie!- strillo perdendo l'ultima briciola di controllo rimasta e cadendo sulle ginocchia. -Stai rovinando la mia vita! Non voglio mai più rivederti!- urlo così forte che potrebbe essermi scoppiata una vena del cervello. -E tu, Jason, che dici di amarmi, davvero credi a questa puttana?- singhiozzo mentre la mamma di Artem si dispera e lancia imprecazioni contro Lexie. Non riesco a guardare Artem, anche se speravo che venisse qui a consolarmi. Evidentemente non gli interessa poi così tanto, o magari... Pensa di stare facendo la cosa giusta a restarmi lontano?
Pian piano trovo la forza di risollevarmi e mi dirigo verso casa, dove Jason e mio padre avevano già accomodato mia madre sul divano all'ingresso. Sembrava essersi ripresa. Quando mi volto per chiudere la porta di casa trovo Artem ad un palmo da me. Dietro di lui Lexie e la signora Young sembravano essersi già dissolte nel nulla.
Artem mi guarda con gli occhi gonfi di lacrime, vorrebbe dirmi qualcosa ma è chiaro che non sa neanche lui cosa. Prova ad afferrarmi una mano ma scampo la sua presa, -è meglio chiuderla qui- dico duramente senza neanche guardarlo negli occhi, dopodiché entro in casa e mi chiudo la porta alle spalle. Una volta chiusa la porta alle mie spalle, non riesco a fare a meno che sbatterci la schiena contro e strisciare giù fino a terra. -Cosa cazzo è appena successo?-, penso tra me e me, incapace di trattenere un cupo sospiro. -E' possibile che ogni volta che sono felice finisca così?-, mi autocommisero stringendomi le ginocchia al petto. -Cosa fai, pulisci per terra?- la voce squillante di mia madre interviene a rincarare la dose. -Ti prepari a fare quello che hai scelto come mestiere? Pulire per terra? Perché dubito che tu possa riuscire a fare altro in compagnia di quel... Coso!- strilla, con l'indice rivolto verso l'alto. Non sembra neanche in lei, quindi scelgo di fare finta di non averla neanche sentita. Sono abituata a sentirmi voluta bene solo se obbedisco ai suoi standard, per il resto nessuno si è mai realmente occupato della mia felicità. Mi sento come Jasmine nel cartone animato _Aladdin_ : niente più niente meno che un "trofeo" da esibire al momento opportuno. Irritata dalla mia indifferenza, mia madre sembra perdere ulteriormente le steffe, -Hai perso la lingua? Forse siamo stati troppo accomodanti con te, ci siamo fidati troppo! E' così che ci si ritrova con figli ingrati e ribelli!-. -Adesso basta!- urla mio padre, spazientito. -Non trattare mia figlia in questo modo!- si rivolge a mia madre in cagnesco, zittendola in un istante. Sono così uguali, ognuno per un motivo diverso. Mia madre identifica la mia felicità con la sua, quindi non vuole che il mio percorso subisca "incidenti di percorso" rispetto a quanto stabilito da lei; allo stesso modo mio padre, che identifica la sua felicità con la mia, con la mia riuscita, non riesce ad accettare che io possa aver "sbagliato", e mette l'orgoglio al primo posto. Nessuno dei due riesce a capirmi davvero o a mettere il mio bene al primo posto, è solo una lotta di potere, orgoglio, vanità, narcisismo: per loro sono solo uno specchio del loro status, devo essere ben lustrata e brillante. Ma soprattutto devo riflettere sempre e solo la _loro_ immagine. -Bimba mia- pronuncia mio padre cautamente abbassandosi verso di me, ma quelle parole risultano aliene sulle sue labbra, -faremo finta che nulla sia successo-, sussurra guardandomi negli occhi e accarezzandomi una guancia. Sembra quasi sincero, forse per una volta sta davvero dalla mia parte. -Devi solo chiedere scusa alla tua amica, per non lasciare nulla in sospeso-, aggiunge lapidario, mandando a quel paese tutte le mie buone speranze. Mi alzo di scatto, e corro verso le scale che portano a camera mia, se non fosse che Jason, che fino a quel momento aveva assistito alla scena seduto in salone, a metà tra timore e rabbia, prova a trattenermi tirandomi per un polso. Senza degnarlo di uno sguardo strattono via la sua mano divincolandomi dalla presa. Poi scappo in camera salendo le scale a due a due, ma prima di chiudermi la porta alle spalle sento mio padre rivolgersi a Jason con tono perentorio: guai a te se durante l'orientamento la perdi di vista anche solo un attimo. E' la tua ultima occasione, dopodiché avrai perso l'ultimo briciolo di fiducia rimasta-. Dall'altra parte non sento proferire parola, sono una tensione quasi elettrice che avvolge la casa. E' così che mi considerano, una bambola di plastica di cui prendersi cura, incapace di intendere e di volere. Sbatto la porta con l'intento di farmi sentire e mi butto a letto vestita, affondando la testa nel cuscino per non fare sentire il mio pianto che irrompe, esplode, finalmente, inumidendo una vecchia federa indaco in cotone. Dopo qualche minuto il suono del cellulare interrompe il mio pianto disperato. E' un messaggio di Artem: _"Mi dispiace per oggi. Ti prometto che un giorno ti porterò fuori da quell'inferno.
Resisti, a domani_❤️ Leggo queste parole, e anche se il mondo sembra crollarmi addosso, riescono a strapparmi un sorriso.

#LOVEME - Tutta colpa di un bacioWhere stories live. Discover now