La villa sul mare

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Angolo dell'autrice:
Eccoci qua con un nuovo capitolo.
Come al solito non ho molto da dire, soprattutto in questi primi capitoli in cui bisogna solo godersi la lettura di questo viaggio, c'è un piccolo riferimento alla saga de "La rosa rossa", chissà se ve ne accorgete, è molto facile.
Però una cosa ve la devo dire, l'immagine del capitolo non rappresenta appieno la villa e come me la immaginavo, quindi non prendete come base l'immagine, ma leggete le descrizioni di questo e del prossimo capitolo per riuscire a capire com'è.

Buona lettura ^-^

Passammo la notte sull'aereo, una notte alquanto tranquilla

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Passammo la notte sull'aereo, una notte alquanto tranquilla. Ricordo che mi addormentai tenendo la mano a Kaito che sedeva nella poltrona di fianco alla mia, mentre mi svegliai col vellutato odore di caffè, accompagnato da un suo bacio sulla guancia. Qualcuno ancora stava dormendo, quando battendo un po' le palpebre e resistendo alla tentazione di non stropicciarmi gli occhi, per non rovinare il trucco, mi abituai alla luce che già filtrava dai finestrini.

La solita hostess, che ci aveva accolti il giorno prima, mi si avvicinò chiedendomi cosa desideravo per colazione, in inglese.

«Un caffè macchiato e una brioche vuota.» risposi in italiano con un leggero sorriso.

Lei scomparì di nuovo dietro la tenda gialla che dava al muso dell'aereo. Poco dopo tornò con una tazzina di caffè fumante e una fragrante brioche.

A metà mattinata eravamo tutti svegli e le chiacchiere accompagnavano la colazione degli ultimi.

«Bene, che si fa ora? Mancano ancora quattro ore per l'atterraggio.» disse Heiji dopo che l'hostess sparì per l'ennesima volta, dietro la tenda con le ultime cose della nostra colazione.

«Io un'idea ce l'avrei... – dissi chinandomi verso la borsa che avevo di fianco alla poltrona, tirando fuori due mazzi di carte americane – Che ne dite di una partita a carte? Ovviamente non giochiamo a poker.» dissi con una risatina ironica.

«E perché no? – ribatté Shinichi sorridendo – È da quel giorno che non faccio una partita a poker come si deve.»

Dopo essere rimasti un po' basiti da quella strana affermazione del nostro amico, cominciammo a giocare, occupando così il resto del viaggio.

Poco prima che il comandante annunciasse l'inizio della discesa noi concludemmo l'ennesima partita con la vittoria di Shiho.

«Accidenti Ai, come bluffi tu non bluffa nessuno!» disse ridendo Shinichi, mentre si riallacciava la cintura di sicurezza.

«Quando la smetterai di chiamarmi con quel nome?» chiese con aria un po' scocciata compiendo lo stesso gesto.

«Scusami, ma ormai mi viene quasi naturale chiamarti così.» sorrise lui.

«Bene, allora vorrà dire che farò altrettanto, Edogawa.»

A quelle parole scoppiammo tutti a ridere, compresi loro due.


Arrivati all'aeroporto con molta calma ci dirigemmo verso l'uscita continuando a chiacchierare.

Era assurdo pensare che ventiquattro ore prima eravamo entrati all'aeroporto di Torino, infreddoliti e con i cappotti pesanti, mentre in quel momento eravamo dall'altra parte del mondo con un sole caldo, quasi rovente che già solo in maglietta ti faceva sudare.

Come ci dovevamo aspettare, Shinichi aveva organizzato tutto alla perfezione, e anche il viaggio verso la villa fu ben preparato.

Pochi minuti dopo essere usciti dall'aeroporto ci raggiunse un furgoncino guidato da un simpaticissimo australiano super abbronzato che ci salutò cordialmente in inglese e ci aiutò a caricare i bagagli. Infine, senza neanche una parola, mise la prima e partì, come se sapesse già dove andare e, molto probabilmente, lo sapeva già sul serio.

Ci mettemmo un'altra oretta ad arrivare alla villa. In quell'oretta continuarono le chiacchiere iniziate in aeroporto, mentre uno stupendo paesaggio si parava davanti a noi attraverso i finestrini del furgoncino.

Arrivati a destinazione l'autista si fermò e dopo averci salutato partì, lasciandoci all'ingresso di una splendida villa.

Un elegante cancello si apriva sul giardino che incorniciava il vialetto, dove due belle aiuole, composte da molti fiori tropicali che è difficile trovare in Italia o in Giappone, lo costeggiavano. Il vialetto, che era in terra battuta, conduceva dritto alla porta d'ingresso in legno massiccio.

La facciata della villa era di un bianco crema e mostrava tre piani, il piano terra oltre alla porta aveva due ampie finestre, il primo piano aveva due balconcini e il secondo solo uno.

Attraversammo il cancello e con un mazzo di chiavi Shinichi aprì la porta d'ingresso.

Fu un attimo, stava ricoprendo con pochi passi la distanza che lo separava dall'ingresso, così con due balzi lo raggiunsi e mi piazzai tra lui e la porta.

«Kiaretta, che fai?» mi chiese stupito.

«Anche se siamo qui tutti assieme questa rimane pur sempre la vostra luna di miele e tu non varcherai questa porta da solo.»

Lui sorrise e lasciò la valigia per terra, si voltò dandomi le spalle e si avvicinò a Ran. Con un movimento veloce del braccio destro le fece cedere le ginocchia prendendola dalle spalle con il sinistro, così da prenderla in braccio.

Tornò verso l'ingresso, mentre io sorridendogli mi feci da parte.

Appena varcarono la porta io stessa diedi il via a un caloroso applauso che coinvolse tutti.

Il Segreto della doppia K _ TrilogiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora