LA MASCHERA E LO SPECCHIO-Pri...

By IvoAragno

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Aldaberon il Varego era un Sanzara. Un giorno il suo maestro gli disse: "Se l'unica alternativa che ti resta... More

1) I VAREGHI
2) ALDABERON
3) LA CAPANNA DEL SANZARA
4) NEKO
5)LA CASSETTA DI SABBIA
6) SEGNI SULLA SABBIA
7) VANDEA
7a) IL SECCHIO
7b) INCONTRARSI
7c) AMICO DI TUTTE
7d) LA BENEDIZIONE
8) LA CASA NELLA NEVE
8a) ILLUDERSI
8b) IL MATRIMONIO
8c) I DONI DI ALFONS
9) LA PROMESSA
9b) RITORNO A CASA
9c) LA FESTA DEL RITORNO
9d) L'INDOVINA
10) LA PIASTRA DI ALFONS
10a) LA PIPA
10b) L'ALBERO
10c) LA MORTE DI ALFONS
11) LA REGINA DELLE NEVI
11a) LO SCONOSCIUTO NEL FANGO
11b) LA POZZA
11c) IL RIPARO
12) I GIGANTI GHIACCIATI
12a) CROLLO
12b) LA TUMBA'
13) I COMPARI
13a) I COLORATI
13b) IL FIUME SARDON
13c) NEMICI SVELATI
14) IL POZZO
14a) ACQUA
14b) FLOT E RADICE
15) DELIRIO
15a) A NUOVA VITA
16) RISVEGLIO
16a) IL SOGNO
16b) UN NUOVO NOME
17) LA GUARIGIONE
17a) L'ANELLO
17b) LA MERLA

9a) LA RAGAZZA DI VINLAND

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By IvoAragno

Estasiato corse verso la casa del Sanzara. Vi entrò cercando di non fare troppo rumore. Dentro vi era una debole luce rossastra, tutto ciò che restava delle braci del focolare che andava spegnendosi. Neko era sul suo giaciglio e russava sommessamente. Senza nemmeno spogliarsi si posò sul letto e si addormentò felice, con le parole di Vandea ancora presenti sulle labbra. Quello che restava della notte passò in un baleno e ben prima dell'alba fu Neko a svegliarlo. Era già pronto per andare.

La vestizione fu cosa lunga e laboriosa, ogni pezzo venne fissato con cura, provato nei movimenti e negli affondi. Era ancora buio, ma dal di fuori giungevano i latrati festosi dei cani che sentivano il villaggio animarsi: gli altri erano già in movimento, era ora di andare. Aldaberon prese una torcia che era stata preparata la sera prima dal maestro e l'accese prima di uscire.

Neko prese lo scudo e lo spadone e l'accompagnò verso la spiaggia, attraversando lo spiazzo del villaggio. Dalle case ogni tanto si vedevano uscire le fiamme ondeggianti di altre torce che confluivano verso la spiaggia. Un tintinnare metallico accompagnava i loro movimenti nell'aria. Brusii e saluti bisbigliati, quando passavano accanto a qualcuno. Non si dovevano svegliare gli spiriti della notte, portava male prima di una scorreria. Quando poi chi aveva salutato si accorgeva che sotto l'elmo e l'armatura si trovava lui, il Sanzara, si toccava il naso e si allontanava in fretta. I Vareghi erano molto superstiziosi, come tutta la gente di mare. Non si dovevano sfidare gli spiriti prima di una partenza. Portava male.

Neko lo spinse a non fermarsi. L'aveva avvisato che all'inizio sarebbero successe queste cose, le conosceva, le aveva vissute anche lui, ma lo rassicurò.

"Non temere" gli disse "Una volta a bordo tutto sarebbe stato diverso".

Aldaberon fece del suo meglio per credergli, anche se sentiva una morsa crescergli all'altezza dello stomaco man mano che si avvicinavano alla lunga ed elegante figura della nave che già si muoveva mollemente a poca distanza del bagnasciuga. Sulla riva era tutto un via vai ordinato di guerrieri e di parenti venuti per la partenza. Pochi e veloci saluti con il Gangi e poi via verso la nave, bagnandosi fino ai polpacci nell'acqua e nella schiuma. Salirci con la cotta e tutta l'armatura fu meno semplice di come se l'aspettava. Si sentiva pesante e goffo in quel momento. Una volta sopra prese scudo e spada dalle mani di Neko, rimasto nell'acqua a guardarlo. Il maestro gli fece un sorriso rassicurante e gli posò una mano sulla sua prima di tornare a riva.

Lo guardò allontanarsi e si accorse di avere paura. Scrutò attorno a sé e pensò che non aveva ancora visto Fredrik e Thorball.

Si guardò attorno per cercarli e vide Alfons a prua che dava ordini a quelli che arrivavano. Sapere che c'era lo fece tranquillizzare un poco. Dopo non molto vide due figure muoversi veloci sulla spiaggia. Non ci mise molto a riconoscere la figura allampanata di Fredrik e quella tondeggiante di Thorball. Correvano sferragliando. Erano in ritardo. Dietro di loro venivano i parenti, anch'essi di corsa. Sarebbe stato un grande disonore salire per ultimi.

Vederli arrivare lo fece sentire meglio. Almeno non era solo. Tirò un sospiro di sollievo, in attesa che arrivassero. Ormai l'equipaggio era quasi al completo, alle sue spalle sentiva un vociare sommesso e un tintinnare di armi posate accanto gli scalmi. Ogni tanto udiva lo scatto degli scudi che venivano appesi alla fiancata. Mentre assisteva divertito alla scena di Fredrik e Thorball che si gettavano verso la nave sollevando alti spruzzi d'acqua con indosso le loro armature nuove di zecca, vide che sulla riva c'erano ancora i quattro giovani che partivano per la loro prima scorreria. Erano accompagnati dai padri e dai parenti più prossimi. Ogni famiglia fingeva di non vedere le altre accanto. In ogni famiglia i parenti fingevano di non vedere ciò che passava in quel momento tra padre e figlio. Tutti erano voltati altrove, a eccezione di lui. Tutto come sempre, tutto sempre uguale. Improvvisamente si vergognò di aver rubato quella loro intimità e si voltò, andandosi a cercare un posto a sedere. Adesso si ricordava cosa aveva provato quando si trovava al posto di quei ragazzini: paura, proprio come adesso.

Un rumore disordinato di ferraglia sul pontile gli fece capire che i suoi due amici erano arrivati. L'alba si delineava già con le sue dita rosate e presto sarebbero partiti.

Attirò la loro attenzione. Quando gli si sedettero accanto, Thorball al remo davanti al suo, Fredrik in quello dietro, puzzavano di agitazione e di corsa mattutina. L'odore della paura. Chissà se anche lui aveva addosso quell'odore, si chiese. Per ultimi salirono a bordo i quattro giovani e andarono a rincantucciarsi nello stesso angolo che lui e i suoi due amici occuparono a loro tempo. Si stringevano l'uno all'altro spaesati e impauriti, fissando quei guerrieri ricoperti di ferro fermi accanto ai remi, pronti a partire al segnale del capo.

Lui e i suoi compari si scambiarono uno sguardo nel vederli, ma a nessuno dei tre scappò da ridere, ben sapendo che altri occhi erano puntati su di loro in quel momento. Tutto il resto dell'equipaggio si aspettava che si comportassero come si conveniva a un guerriero Varego, senza paura e viltà, per l'onore della loro famiglia e della loro casa.

Ma nemmeno tra i veterani che li guardavano agitarsi attorno ai remi, vi era voglia di ridere o di fare battute. Anche loro sapevano di essere guardati, in quel momento. I loro avi si aspettavano rispetto delle tradizioni e onore, non dovevano sbagliare. E sopra a tutti loro, solo a prua a guardare verso il fiordo, Alfons, che avrebbe dovuto riportarli a casa tutti sani e salvi, per l'onore dei suoi avi e dei loro cari che li attendevano.

Dopo un tempo che parve infinito, arrivò la voce del comandante, l'ordine di partenza.

Ventiquattro remi affondarono all'unisono nell'acqua del fiordo, impressero una prima, delicata spinta alla nave che si scostò dolcemente. La riva si allontanò velocemente, man mano che l'imbarcazione prendeva velocità. Avrebbero remato fino alla fine del fiordo, poi avrebbero alzato la vela e tutto sarebbe stato più facile. Rivestiti di ferro come erano, non sarebbe stato possibile remare a lungo senza esaurire le forze.

Quando dal fiordo entrarono nel mare aperto, l'uomo di vedetta sulla scogliera li salutò gettando in mare una torcia accesa in segno di buon augurio. Tutti gli uomini dell'equipaggio guardarono quella meteora incandescente cadere nell'ultimo buio della notte fino a quando non si spense in uno sfrigolio, poi gli fecero un cenno di saluto, prima di riprendere a remare. Il tempo era bello, il mare prometteva di mantenersi calmo a lungo. Il viaggio sarebbe stato veloce e tranquillo.

Costeggiarono la terra per tre giorni verso ovest, attraccando solo alla sera in piccole cale tranquille e sicure per la notte. All'alba del quarto si diressero verso il mare aperto e veleggiarono per due giorni e due notti verso sud. All'alba del settimo giorno arrivarono in vista di una terra che Aldaberon non conosceva, ma che i veterani chiamarono Vinland. Raggiunsero l'estuario di un grande fiume che si inoltrava verso l'interno e lo risalirono spingendo sui remi nel silenzio più totale. Le rive del fiume erano ricoperte di vegetazione alta e densa. L'acqua era profonda e la corrente calma. I remi vi affondavano lenti e silenziosi. Di molti alberi, Aldaberon non avrebbe saputo dire il nome. Vedeva solo una vegetazione rigogliosa e lussureggiante, completamente diversa da quella a cui era abituato. Niente di ciò che vedeva gli era famigliare. Tutto era nuovo per lui, compreso Alfons, suo padre. Era diventato riservato e scostante.

Per tutto il tempo del viaggio aveva avuto poche occasione per stare da solo con lui. Era il primo a svegliarsi al mattino e l'ultimo a coricarsi alla sera. Prima venivano sempre le esigenze degli altri, per ultime le sue. Aldaberon non aveva mai visto il padre al comando di una spedizione, però si sentì ben presto orgoglioso di lui. Sembrava un altro uomo; era rapido di pensiero e sicuro nelle decisioni, ascoltava consigli e proposte, ma decideva in solitudine, senza mai lamentarsi. Fu lui a decidere quando e dove attraccare, dove, come nascondere la barca; come e in quale ordine procedere nell'interno della fitta boscaglia. I veterani gli obbedivano ciecamente senza mai discutere. Non c'era posto per obiezioni e ribellioni, ne andava della sicurezza di tutto l'equipaggio. Era diventato duro, freddo e spietato.

Anche lui e i suoi due amici cercavano di fare del loro meglio per obbedire ai suoi ordini, eppure, ogni volta che Alfons gli diceva cosa fare, Aldaberon coglieva nel suo sguardo una scintilla che pareva volergli dire:

"Lo so che ti tratto duramente, ma da te mi aspetto più che dagli altri", allora si rasserenava e andava a fare quello che gli era stato richiesto in silenzio, come tutti.

Dopo un paio di ore di cammino nella boscaglia trovarono un sentiero battuto. Era quello che Alfons cercava. Lo costeggiarono nascosti dalla vegetazione, evitando ogni rumore inutile.

Arrivarono dopo poco in vista di un villaggio di contadini. Poche capanne di legno con il tetto di paglia, donne, bambini, qualche uomo che si attardava sull'aia prima di andare nei campi, animali da cortile in libertà. Gente semplice, povera gente. Nessuna arma in vista. Qualche forcone in legno, un'ascia per il legno, un coltello da macello.

Aldaberon era vicino a Fredrik e Thorball, si guardarono attorno e si chiesero dove fossero gli uomini armati a difesa del villaggio.

I guerrieri Vareghi si disposero a ventaglio, silenziosi e micidiali. A un comando di Alfons i quattro iniziati si misero al sicuro su di un roccione da dove potevano vedere tutto il villaggio senza essere visti.

Quando tutto fu pronto, Alfons diede l'ordine di avanzare.

Ventisei figure spettrali completamente ricoperte di ferro spuntarono dalla foresta all'unisono, cogliendo completamente di sorpresa gli abitanti inermi del villaggio.

Il primo urlo di una donna fu il segnale che diede inizio alla carneficina. I ventisei si lanciarono alla carica, urlando come ossessi, brandendo in aria le lunghe spade pronte a colpire.

Aldaberon e i suoi due amici si gettarono avanti trascinati dalla foga degli altri, ma rimasero indietro di qualche passo. Quando li raggiunsero era già tutto un orrore senza fine. Urla, pianti, sangue dappertutto. Fendenti tirati su carni molli e indifese tranciavano senza pietà arti, budella e vite. Un puzzo di escrementi e piscio esalava dai corpi smembrati che ancora si agitavano in terra. Per primi furono colpiti gli uomini ancora al villaggio, gli unici che avrebbero potuto tentare una difesa. Forconi di legno contro cotte di ferro, coltelli da cucina contro spade. I Vareghi non facevano prigionieri durante le scorrerie, mai. In breve la loro resistenza finì. Quei pochi attimi di lotta avevano permesso ai più veloci tra gli abitanti del villaggio di scappare nella foresta, ma già i guerrieri Vareghi li inseguivano. Non c'era età, sesso, mercé che fermasse quelle lame affilate. Chi incontravano uccidevano, rapidi ed efficaci come il loro addestramento gli insegnava.

Urlare non serviva, chiedere pietà nemmeno. Nella loro lingua strana e diversa quella gente gemeva, urlava, si dava indicazioni per una salvezza che però non arrivava.

Aldaberon correva per il villaggio dietro gli altri, anche lui all'inseguimento degli abitanti, però la frenesia, la polvere, il puzzo della morte l'avevano disorientato. Aveva perso di vista i suoi due amici, era solo. Non pensava a niente, non capiva più niente. La paura era svanita sostituita dal nulla che c'era in quel momento nella sua mente. Faceva fatica a capire dove fosse e da che parte fossero arrivati, si era perso. Girò attorno a una capanna e si trovò di fronte due ragazzini, un maschio e una femmina, che quando lo videro spuntare da dietro l'angolo si irrigidirono dal terrore.

Il maschio, un po' più grande della compagna, rapido come una saetta si riprese e le urlò qualcosa mentre la spingeva via, parandosi tra lei e il demone di ferro che avevano di fronte.

Aldaberon aveva già levato la spada per colpirlo, coprendosi dietro lo scudo, quando si irrigidì improvvisamente.

Aveva capito quello che il giovane indigeno aveva detto alla ragazzina.

"Scappa! Lo fermo io!" aveva urlato con tutte le sue forze alla giovane compagna, ponendosi davanti al demone di ferro con il terrore disegnato negli occhi. Era inerme, con solo un ramo storto in mano a difesa della compagna, adatto più ad attizzare un fuoco che a uccidere. Era nelle sue mani, poteva farne quello che voleva, eppure Aldaberon non poté colpirlo.

Lui aveva capito quello che aveva detto alla ragazza, conosceva quella lingua perché l'aveva appresa da Neko nei tre anni passati a studiare.

Nella sua stessa lingua, abbassando la spada urlò al ragazzino di scappare fingendo di caricarlo come se l'altro ne avesse avuto bisogno per allontanarsi velocissimo. Fu un attimo, poi scomparve nella foresta dove già era passata la ragazza. Rimasto solo, Aldaberon si sentì vuoto, incapace di pensare a cosa fare, fissando il punto della foresta dove erano scomparsi i due giovani. In quel momento da dietro la capanna spuntò Alfons e gli si parò davanti. Era insanguinato dalla testa ai piedi, gli occhi iniettati di furore e la spada pronta per colpire ancora. Quando riconobbe il figlio parve rilassarsi un poco, poi gli urlò:

"Alle spalle, attento!".

Con la testa confusa, ma un solido addestramento alle spalle, Aldaberon nemmeno si rese conto di essersi messo in posizione di difesa, girando poi di scatto su sé stesso. Come un automa portò il colpo come gli aveva insegnato Neko, ripetendolo allo sfinimento fino a essere esausto. Concentrò tutta la sua forza nella velocità dell'arma e dopo un secondo la lama impattò contro qualcosa di molle e umido, attraversandolo quasi senza trovare resistenza. La paura di essere colpito alle spalle l'aveva trasformato in quell'animale dagli occhi di brace che aveva visto nello sguardo di Neko durante gli allenamenti.

Ma dopo, quando la furia si acquietò e il fiato riprese, ansimante e sudato, vide il corpo di una ragazza davanti a sé, in piedi, tremante, con la testa che rotolava in tondo a metri di distanza mentre dal collo usciva una fontana di sangue che lo investì in pieno. Come un pupazzo il corpo stramazzò a terra nelle convulsioni della morte, mentre la testa smetteva di rotolare venendo a fermarsi a poca distanza dai suoi piedi. La bocca insanguinata era aperta; gli occhi spalancati e pieni di terrore fissi su di lui. La giovane poteva avere più o meno la sua età, biondi capelli lunghi e occhi chiari che lo fissavano ancora increduli e spaventati. Non aveva armi con sé, nulla con cui poterlo ferire.

Più del sangue che sprizzava dal corpo ancora scosso da tremiti, poterono quegli occhi senza tempo a fargli comprendere quale tremendo sbaglio avesse commesso. Si guardò le mani lorde di sangue, la cotta gocciolante e si domandò se fosse quello che i Vareghi intendevano per essere uomini.

La spada che teneva stretta in pugno, la meravigliosa arma che il padre gli aveva fabbricato con tanto amore, grondante sangue ora lo ripugnava. Aveva spento una vita senza motivo, senza sforzo. Di quella ragazza non sapeva nulla, né l'età, né il nome, ma era bella, giovane, aveva una vita da vivere. La sua. E ora era stata interrotta da un filo di spada, così, senza un motivo, una ragione.

Gli ritornarono alla mente le parole di Neko quando gli diceva che non c'era onore nel dare la morte e ora capiva che aveva ragione.

Guardando quel corpo scomposto, caduto a terra come un sacco vuoto, con i fluidi corporei non più trattenuti che fuoriuscivano da ogni apertura, vide che non c'era dignità nel morire e si sentì male.

Lo stomaco gli si ribellò e vomitò cibo e bile, appoggiandosi al basso tetto della capanna per non cadere in terra, incurante degli sguardi di Alfons.

Giurò a se stesso che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe dato la morte a qualcuno in quel modo e cadde in ginocchio, vinto e affranto.

Attorno a lui infuriava la carneficina, ma ormai le urla diminuivano, presto non ce ne sarebbero più state. Sentiva quelle urla come pugnalate nelle orecchie, desiderava solo che smettessero in fretta.


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