LA MASCHERA E LO SPECCHIO-Pri...

By IvoAragno

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Aldaberon il Varego era un Sanzara. Un giorno il suo maestro gli disse: "Se l'unica alternativa che ti resta... More

1) I VAREGHI
2) ALDABERON
3) LA CAPANNA DEL SANZARA
4) NEKO
5)LA CASSETTA DI SABBIA
6) SEGNI SULLA SABBIA
7) VANDEA
7a) IL SECCHIO
7b) INCONTRARSI
7d) LA BENEDIZIONE
8) LA CASA NELLA NEVE
8a) ILLUDERSI
8b) IL MATRIMONIO
8c) I DONI DI ALFONS
9) LA PROMESSA
9a) LA RAGAZZA DI VINLAND
9b) RITORNO A CASA
9c) LA FESTA DEL RITORNO
9d) L'INDOVINA
10) LA PIASTRA DI ALFONS
10a) LA PIPA
10b) L'ALBERO
10c) LA MORTE DI ALFONS
11) LA REGINA DELLE NEVI
11a) LO SCONOSCIUTO NEL FANGO
11b) LA POZZA
11c) IL RIPARO
12) I GIGANTI GHIACCIATI
12a) CROLLO
12b) LA TUMBA'
13) I COMPARI
13a) I COLORATI
13b) IL FIUME SARDON
13c) NEMICI SVELATI
14) IL POZZO
14a) ACQUA
14b) FLOT E RADICE
15) DELIRIO
15a) A NUOVA VITA
16) RISVEGLIO
16a) IL SOGNO
16b) UN NUOVO NOME
17) LA GUARIGIONE
17a) L'ANELLO
17b) LA MERLA

7c) AMICO DI TUTTE

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By IvoAragno

Chiarito questo andarono a dormire, anche se per Aldaberon fu difficile prendere sonno. La sua fu una lunga notte insonne, perché le parole del Gangi non smisero di frullargli per la mente. Aveva voluto chiarezza e l'aveva ottenuta.

Fin dalla più tenera età gli avevano detto che per il loro popolo la famiglia era tutto e per un giovane Varego il primo dovere era sposarsi e mettere al mondo figli. Per la grandezza del nome della sua famiglia, questo era l'obiettivo e lo scopo della vita di un guerriero.

Ma Neko, con le sue parole l'aveva escluso da tutto questo.

Come Sanzara era imparentato con tutte le ragazze del popolo Varego, perciò non poteva sposarne nessuna.

Come Sanzara aveva capito che un giorno avrebbe dovuto andarsene, lasciare il villaggio, per affrontare il proprio destino in solitudine, perciò nessuna donna l'avrebbe seguito.

Solo se fosse tornato come Gopanda-Leta avrebbe potuto legarsi per la vita a una donna Varega, ma questa era una possibilità così remota che pareva impossibile.

Ora finalmente capiva quello che poteva attendersi dalla sua vita e, per quanto possibile, il suo futuro gli apparve ancora più nebuloso.

Si vedeva destinato alla solitudine e il suo nome sarebbe andato perduto per sempre, ma fu allora che iniziò a rendersi conto che non era sbagliata la legge che gli impediva di prendere moglie.

Lui non aveva un nome da perdere, perché era un Prendi Nome.

Lui non poteva sposare una donna Varega, perché gli uomini Vareghi partivano per viaggi lontani con l'intento di ritornare, lui poteva solo partire.

Rendersi conto di quanto labile fosse la sua situazione all'interno del villaggio lo angosciò a tal punto da creargli un impulso distruttivo.

Anche se si trovavano nel bel mezzo della notte provò il desiderio di uscire e andare di corsa al "Nido", subito, senza dire nulla gettarsi dalla grande scogliera che sovrastava il grande mare dei Vareghi, ma poi intervenne ancora il pensiero di Vandea e questo lo portò indietro, a quei momenti magici che avevano vissuto e che voleva ancora, nonostante tutto e tutti. Quel pensiero lo pervase di dolcezza e agitazione.

Rivide i momenti delle carezze e gli sguardi, che ora gli laceravano il cuore nel ricordarli. Il senso di pienezza che provò allora, ora lo faceva sentire vuoto; il calore che allora lo ritemprò, ora raggelava il pensiero per non poterlo avere più. Si girò e rigirò irrequieto nel letto nel disperato tentativo di trovare una via d'uscita, fino a quando non gli venne in mente che tra i Vareghi una ragazza poteva scegliere.

Spettava a lei e a lei soltanto il diritto di dirgli se voleva ancora vederlo o meno, non alla sua famiglia.

Una debole fiammella di speranza si riaccese, lasciandolo più sereno. Lentamente scivolò nel sonno e al mattino si risvegliò risoluto.

Affrontò subito Neko:

"Maestro, se sei d'accordo voglio uscire all'aperto" gli disse senza preamboli.

Voleva farsi vedere per il villaggio insieme a lui. Voleva che tutti lo vedessero e sapessero che il Sanzara riprendeva il suo posto nella comunità.

Neko accolse con gioia la notizia, in fondo era quello che stava aspettando da tanto tempo. Fecero una rapida colazione, poi uscirono.

Nella notte aveva piovuto, il terreno fuori della capanna era fradicio e scivoloso. Ampie pozzanghere ristagnavano sul terreno compatto, eppure il cielo era azzurro, pulito e limpido come solo al Nord del mondo può essere. L'aria era fresca e lo spiazzo davanti alla casa del Sanzara vuota. Era ancora molto presto.

Nessuno era in vista nel momento che Aldaberon, accanto al suo maestro, uscì sotto la veranda, eppure lui ebbe l'impressione di avere addosso cento occhi a controllarlo. Brutti presentimenti lo assalirono, gli vennero in mente mille dubbi e un brivido lungo la schiena lo fece stringere negli abiti. Avvertì chiara e netta la sensazione di essere un estraneo.

L'aria del mattino divenne poco alla volta tanto densa da non voler più entrare nei polmoni, il cuore prese a battergli veloce nel petto. Provò il desiderio di scappare e tornarsene sul suo giaciglio per non uscirne più, ma il pensiero di Vandea lo trattenne.

Il desiderio che provava verso la ragazza fu più forte di ogni cosa, travalicò tutto, compresa la paura del rifiuto.

Inspirò profondamente più volte, quasi da farsi girare la testa e mezzo stordito, disse a Neko :

"Sono pronto. Possiamo andare".

Al primo scalino quasi barcollò, al secondo credette di cadere, ma quando poggiò il piede sul terreno viscido e fangoso di quello che per quattordici inverni era stato il suo villaggio, provò un improvviso impulso di repulsione e fece per tornare verso la casa. In quel preciso istante una mano di ferro gli uncinò la spalla in una morsa di dolore e lui, alzando lo sguardo, incrociò gli occhi di Neko. Erano grigi e freddi, determinati, per la prima volta gli incussero un timore che non aveva mai provato.

La testa del vecchio diceva di no, i suoi occhi dicevano "non fermarti, vai oltre".

Era un ordine, non una richiesta. Non disse una parola, ma i messaggi che inviò furono chiari.

Era la sua volontà che si imponeva su quella di Aldaberon e la reazione che il ragazzo avvertì nel suo corpo fu così improvvisa che lo colse di sorpresa.

Quella fu la prima volta che Aldaberon sentì un rimescolamento dentro di sé, come se più volontà agissero contrastanti, portandolo ognuna verso una decisione differente. Lui sapeva dove voleva andare e cosa voleva fare, eppure qualcosa glielo impediva.

Aveva paura, non sapeva che decisione prendere.

Guardò disperato Neko e gli sembrò di sentirgli dire : "DOMINALI !".

Un cenno affermativo del vecchio lo persuase. Inspirando profondamente si calmò e fece un passo in avanti. In quell'istante nella sua testa percepì un urlo lontano, disperato, lacerante. Non avrebbe saputo dire da dove fosse arrivato, però subito dopo si sentì meglio.

La mente gli tornò lucida, il groviglio di intenti che gli attorcigliavano i pensieri come serpenti si acquietò.

Il successivo passo fu più leggero e quello dopo ancora di più.

In breve si ritrovò a correre per lo spiazzo deserto, felice come non era stato da tanto, sotto lo sguardo compiaciuto del maestro che lo attendeva fermo accanto agli scalini.

Se il ragazzo avesse saputo guardare avrebbe notato che gli occhi del vecchio erano diventati lucidi e lo sguardo dolce. I lineamenti del viso erano distesi e aperti in un sorriso sereno che lo accolse protettivo quando tornò da lui, poggiandogli una mano sulla spalla mentre si incamminavano assieme.

In quei mesi passati al chiuso il suo corpo era cresciuto, ora la sua testa arrivava alla spalla del pur grande Neko.

Il giovane e il vecchio non erano parenti, eppure chi li avesse visti in quel momento avrebbe detto che qualcosa di molto profondo univa l'uno all'altro.

Il vecchio camminava eretto, fiero, mentre accompagnava il suo pupillo che a stento si tratteneva dal correre verso la casa del Mirto.

Appena svoltarono l'angolo della casa più prossima alla loro, videro lo spiazzo libero del villaggio e la grande casa comune al centro. Di là già si sentivano arrivare i rumori degli attrezzi degli artigiani al lavoro. Tutt'attorno le case brulicavano di vita.

Gente che andava e che veniva, profili conosciuti che non sfuggirono agli occhi eccitati di Aldaberon che guardò il suo villaggio come l'assetato la polla d'acqua. Erano distanti e nessuno guardava verso di loro due, ognuno indaffarato nelle proprie attività. Era bello vedere che nulla era cambiato, che tutto poteva essere come prima, eppure lui non si sentiva più quello di prima.

La felicità che aveva provato in un primo momento divenne poco alla volta pesante e densa, si sentiva ormai escluso da tutto questo. In quell'istante percepì con chiarezza che non si trovava più al suo posto.

Preferì non farne parola con il maestro, però non si sentì a casa. Tutto quello che aveva avuto non gli apparteneva più. Tutto quello che avrebbe ancora avuto tra quella gente, sarebbe stato differente da un tempo.

La prima persona che incontrarono fu una donna anziana della casa dei Nasoni. Era una sorella maggiore del padre di Fredrik e stava caricando sulla schiena i cesti per andare a raccogliere le alghe sulla spiaggia. Quando riconobbe Aldaberon si toccò il naso per scaramanzia, poi gli fece un sorriso come se lo avesse visto solo la sera prima. Non sembrava sorpresa e a parte il gesto che indicava gli spiriti pareva sinceramente felice di rivederlo.

Aldaberon ricambiò il saluto, anche se non si fermò a parlarle. Non ne aveva voglia e poi non avrebbe saputo cosa dirle. Andarono oltre.

Passando davanti alla casa delle Giumente vide dei bambini di alcuni inverni più giovani di lui, tutti Compagni di Disgelo, che lo riconobbero subito. Si fermarono immediatamente, dandosi di gomito l'un con l'altro per richiamare l'attenzione di coloro che ancora non li avevano visti attraversare lo spiazzo. Sembravano un po' intimoriti nel guardarlo. Appena incrociavano il suo sguardo abbassavano il loro, bisbigliando e soffiandosi parole incomprensibili. Si avvicinarono uno all'altro come un branco di pecore per darsi coraggio, ma nessuno di loro osò fargli un cenno.

Fu una bambina della casa delle Farfalle, una sua lontana parente di focolare, a uscire dal mucchio e a fargli un timido saluto.

"Benvenuto" gli mormorò sfidando una timidezza che la obbligò ad abbassare gli occhi. Lui gliene fu grato e le rispose con un sorriso che si sforzò di far sembrare il più sincero possibile. Che cosa poteva saperne quella bambina del tormento che lo agitava? Che colpa poteva avere lei in tutto quello che gli era successo? La salutò con un gesto della mano.

Mentre oltrepassavano il gruppo dei bambini, la madre di uno di questi uscì dalla casa delle Giumente.

Si chiamava Faraia, era ancora giovane e bella, anche se la tipica testa allungata della loro casa la faceva sembrare un po' sproporzionata rispetto al resto del corpo e le ravvicinate gravidanze le avevano appesantito i fianchi.

Quando lo riconobbe si fermò dove si trovava. Si toccò rapida il naso, poi andò a posizionarsi tra i due passanti e il gruppo di bambini. Sorrise e fu gentile con loro. Li salutò cortesemente mentre si spostava. Lo fece senza fretta, scambiando poche parole prima con Aldaberon e poi con il suo maestro, ma il suo gesto protettivo non sfuggì a nessuno dei due.

Quando passarono oltre udirono il brusio delle voci dei bambini e il rumore sommesso che i loro piedi fecero mentre si allontanavano veloci, sparpagliandosi per tutto il villaggio. Entro breve tutti avrebbero saputo che il Sanzara era uscito dalla sua casa.

Era un guaio e avrebbe preferito evitarlo. Ormai la sorpresa che i suoi paesani avrebbero provato nel rivederlo dopo tanto tempo sarebbe stata meno spontanea, ma quello che aveva visto già gli era bastato.

Quello non era più il suo posto per davvero.

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