CAPITOLO 2

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Spingo il bottone rosso che lampeggia sulla gigantesca macchina del caffè, il liquido denso e marrone scende velocemente riempendo la tazza. Quando la tolgo da sotto il piccolo tubo, un odore amaro e pungente arriva fino alle mie narici. L'odore del caffè mi era sempre piaciuto, il gusto amarognolo e il liquido caldo che ti invade la gola è sempre stato un toccasana. Metto la tazza sul poggia bicchiere, sul bancone davanti a me. Questo pomeriggio ho ripetuto tante volte quell'azione che ormai le mie braccia e le mie mani si muovono da sole, senza che il cervello si scomodi a mandare l'ordine, ad imporre l'azione. L'uomo con la giacca nera e il cappello più grande che avessi mai visto infila il dito nella fessura del bicchiere e lo porta fino alle labbra, poi lentamente lo riappoggia sul poggia bicchiere. Intanto una donna si avvicina al bancone, con la mano saldamente incrociata a quella di un bimbo. Appoggia il braccio sul bancone e alza la mano per attirare la mia attenzione, subito le vado incontro '' salve, cosa posso offrirle? '' '' per me un cappuccino ... '' la signora si avvicina alla vetrina piena di dolci e cibi salati e poi si gira verso il piccolo '' tu invece cosa vuoi, Pio? '' il bimbo sembra pensarci '' dai tesoro, la signorina ha da fare ... '' lo incita la mamma. Sorrido, era un bimbo con i capelli biondi tutti scompigliati e lo sguardo indagatore '' voglio un cornetto '' dice infine guardando la mamma che annuisce e riporta l'attenzione a me '' un cornetto alla nutella, per favore '' annuisco con un solo cenno del capo prendo un tovagliolo e racchiudo il cornetto alla nutella aprendo prima la vetrina. Lo porgo alla signora che lo da subito al bambino. Mentre vado verso la macchina del caffè a preparare il cappuccino, grido verso Sam '' un cappuccio e un cornetto per la signora! ''. Sam è un ragazzo poco più grande di me, alto e magrissimo ma abbastanza carino. Ha gli occhi di un verde-dorato e i capelli di un castano scurissimo, ho sempre pensato che abbia un naso perfetto. Lui alza il viso dallo schermo del suo cellulare e alza il pollice assumendo una sorriso verso la signora che gli andava incontro. Lavoravamo al PopPap praticamente da sempre, lui un po' prima di me. facevamo i turni: il martedì e il giovedì lui serviva e io ero alla cassa, il lunedì e il venerdì lui era alla cassa e io servivo, c'erano volte in cui facevamo entrambi le stesse cose, ma non accadeva spesso. Il bar aveva appena aperto e anche se gli affari andavano bene bisognava aspettare un altro po' per avere il pienone. ' PopPap ' a sentirlo sembra più una scuola di danza che un bar. Appoggio il cappuccino sul bancone e mi guardo intorno, nessun'altro da servire. Mi giro e prendo il libro di geografia che avevo lasciato vicino il lavandino, poi lo riapro a pagina 54. '' studi? '' Sam si appoggia affianco a me, sulla piattaforma, imitando la mia posizione. Annuisco '' domani ho il compito di geografia, e visto che la scorsa interrogazione non ho preso la sufficienza devo avare per forza un bel voto al compito '' lui aggrotta le sopracciglia e sorride '' perché non me lo hai detto subito ... '' dice togliendomi il libro tra le mani e riappoggiandolo sulla piattaforma '' sono un mito in geografia ... cosa stai studiando? '' e poi è da lì che ha cominciato a farmi domande mentre premeva i tasti sulla cassa e a sfilare gli scontrini e io rispondevo mentre servivo i clienti. Sembrava un libro di geografia, un cartina di tutti i tipi, fisica, politica, tematica, se non sapevo qualcosa lui mi incoraggiava e mi aiutava, oppure mi sgridava ma sempre ironicamente. Il giorno dopo il compito mi si è parato di fronte con le sue domande che si alternavano tra risposte multiple e non. Non ho lasciato neanche una domanda incompleta, sapevo tutte le risposte ... o almeno lo spero.

'' sveglia! Sveglia! Sveglia! '' il materasso del mio letto comincia a ondeggiare e a farmi ballare come trasportata dalle onde del mare. Apro gli occhi contro voglia e gli stropiccio con il palmo delle mani. Intanto Anna continuava a saltare sul mio letto ridendo e continuando a ripetere ' sveglia '. Ogni mattina la stessa storia, non avevo bisogno di una sveglia elettronica per alzarmi puntuale, ci pensavano i bimbi della casa famiglia. Ogni giorno un bambino diverso e ogni giorno una sveglia diversa. Killian era solito svegliarmi con una secchiata d'acqua, Roll con una trombetta da stadio, Pennie gridando il mio nome o cantando-gridando canzoni orribili di sua invenzione ... oggi toccava a Anna, con i suoi saltelli snervanti. Da una parte odiavo quei bambini, essendo la più grande adoravano stuzzicarmi, prendermi in giro, darmi fastidio, dall'altro li amavo, con loro mi divertivo, dimenticavo che ero in un edifico dove accoglievano bambini e ragazzi senza una famiglia, sembrava di stare in un asilo o in una scuola estiva: c'erano i momenti in cui ci si divertiva e quelli dove dovevi mettere la testa sui libri e studiare, sotto il controllo stretto dell'insegnante. Lì c'erano 3 donne, Fannie che era pagata per cucinare, Greta che si occupava della nostra istruzione e Dolores che si occupava di noi in generale. Tre donne, tre età diverse, tre caratteri diversi, tre vite diverse ... ma avevo imparato a conviverci. Mi alzo sui gomiti '' Anna! Scendi di lì! ti farai male! '' dopo qualche altro saltello, la bimba mette le ginocchia sul petto e rimbalza sul materasso, poi scende dal letto mentre io toglievo le coperte e infilavo i piedi nelle ciabatte. Anna è una bambina bellissima, aveva i capelli rossi e ricci raccolti in due treccine, il viso rotondo e cosparso di lentiggini, gli occhi verdi come due smeraldi nel viso adorabile. Oggi portava una camicetta azzurra e una gonnellina blu, lunga fino al ginocchio, mentre le gambe erano fasciate da delle calze celeste chiarissimo. Mi alzo e le do un bacio sulla guancia che lei prontamente ricambia. Poi apro l'armadio e prendo le cose che mi devo mettere oggi: una maglia con scritto rossa ' IMPERFECT' e un paio di Jeans accompagnati da un paio di stivali neri che avevo aspettato mesi per comprameli. Erano il mio orgoglio. Arruffo i capelli a Annie e poi corro verso il bagno in fondo al corridoio, apro la porta e poi la richiudo dietro di me, facendo scattare la mia serratura, subito la porta comincia a tremare sotto i colpi di Berny '' Ty! Non è giusto! ''rido '' ti ho fregato Bern! Oggi l'autobus lo perdi tu! '' Bern era un ragazzo di 14 a anni, il più grande dopo me, e forse l'uSam con cui posso davvero confrontarmi. Andiamo alla stessa scuola, visto che lui ha appena cominciato le superiori '' me la pagherai! '' poi sentii i suoi passi allontanarsi. 10 minuti dopo aprii la porta e andai verso le scale, scesi al pian terreno e arrivai fino la cucina, Fannie era lì che canticchiava una specie di ninna nanna. Appena arrivata qui, pensavo che Fannie fosse pazza, certe volte parlava da sola, cantava strane canzoni, parlava in un'altra lingua. Allora avevo fatto delle ricerche, ero andata in biblioteca, nella postazione dei computer e avevo cercato informazioni su di lei, Fannie aveva perso suo figlio quando quest'ultimo aveva 5 anni, per un tumore ai polmoni, da lì la sua vita ha fatto schifo, si è lasciata con il marito, ha perso il lavoro, ha perso la casa, la sua famiglia si è sgretolata troppo velocemente. Appena lo avevo letto ero rimasta abbastanza colpita. Fannie aveva dei momenti di depressione momentanea, momenti di ira che cercava sempre di trattenere, una volta aveva chiamato Berny, Davide, e poi era scoppiata a piangere. In quel momento mi ha spezzato il cuore. Ma di solito, la cuoca era dolce e sorridente, anche se, sempre con un sorriso triste. '' ciao Fannie '' la saluto entrando in cucina, lei si gira e mi sorride '' Ciao Taylor. Lì sopra c'è la tua merenda e sul vassoio accanto ti ho preparato un panino con la nutella da mangiare strada facendo '' mi avvicino al tavolo, c'erano tanti piccoli cestini con ognuno scritto un nome, la mia era di colore rosso, come la mia maglietta, dentro c'era un panino chiuso dentro la carta stagnola e pane bianco stracolmo di nutella, oggi Fannie si sentiva generosa '' ti consiglio di sbrigarti, altrimenti perderai il pullman '' prendo i panini dalla cesta e la saluto, poi vado all'ingresso e cerco con gli occhi il mio zaino. La signora Greta pretendeva che preparassimo lo zaino la sera prima e che lo portassimo giù, sugli appositi appendini, come le ceste, ognuno aveva il proprio, e il mio appendino era sempre di quel rosso acceso, lo è sempre stato. Appena trovo lo zaino azzurro apro la cerniera più piccola e infilo il panino ricoperto di carta stagnola e mentre mi metto in spalle lo zaino e apro la porta addento il pane bianco. La fermata del bus è abbastanza lontana quindi cammino a passo svelto, lo trovo già appostato, con il motore in moto e i ragazzi che si spostavano per trovare un posto. Quando salgo cerco con gli occhi un posto libero ma li trovo già tutti occupati, quindi mi piazzo vicino un sostegno azzurro e aspetto che parte.

Avevo intenzione di andare a trovare la mamma, questo pomeriggio, ma non so, l'idea mi spaventa. Non vado a trovarla da una settimana e la trovo sempre lì, nelle stesse condizioni in cui l'ho lasciata quattro giorni prima, o una settimana prima, o un mese prima, o un anno prima. Quarta ora, classe di geografia. La prof si siede e appoggia, con un tonfo, la sua cartella grigio-topo sulla cattedra, poi la apre e prende dei fogli uniti, piegati a metà. Non ci vuole un genio per capire che sono i compiti. '' li ha già corretti? '' sento un brusio dietro di me '' ho preso un voto orribile, me lo sento! ''. Affianco a me c'era Penelope Truz, una ragazza con cui non voleva stare mai nessuno. Aveva gli occhiali rotondi, come quelli di Harry Potter, che li riduceva gli occhi in due minuscole fessure e i capelli sempre legati in due codini, aveva l'apparecchio e questo la faceva parlare male e con parole incomprensibili. La prof comincia a dare i compiti, a girare tra i banchi lanciando occhiate di fuoco o sorrisi di approvazione accompagnati da ' devi studiare di più ' o ' complimenti '. Alzo gli occhi e lei è davanti a me, posa il foglio sul banco ma io non ho il coraggio di guardarlo. Se era insufficienza mi ero giocata l'anno. Ma poi lei sorride '' complimenti Start '' e se ne và '' Taylor, davvero un bel voto! '' dice sputacchiando Penelope, abbasso lo sguardo sul foglio davanti a me e sorrido, orgogliosa, nove e mezzo, potevo definirmi una secchiona ... oppure potevo definire Sam un bravo insegnante. Sto ancora ammirando il mio foglio con solo qualche segno rosso a un paio di domande, non noto che è entrato la preside fino a quando tutti si alzano in piedi, li imito. La preside si avvicina alla professoressa e le sussurra qualcosa, la prof risponde e annuisce. Un attimo dopo la preside esce di nuovo. Saranno passati massimo dieci minuti, il tempo di raccogliere tutti i compiti e rimetterli nella cartella, la preside entra di nuovo, ma questa volta non era sola. Accanto a lei la seguiva un ragazzo, alto e possente. Quando si ferma accanto alla professoressa, incrocia le braccia e fa vagare lo sguardo su tutto il perimetro della classe. Aveva i capelli di un marrone scuro, ma non così scuro come quelli di Sam, '' ragazzi questo è Kim Baston. Sarà un vostro compagno di classe per tutto l'anno e vi chiedo di accoglierlo nel migliore dei modi. '' poi la preside si rivolge al ragazzo e gli sorride '' spero ti trovi bene in questa classe Kim '' lui ricambia il sorriso. Intanto io mi ero appiccicata al muro con la voglia matta di scomparire, cerco di nascondermi dietro Melanine, ma era troppo magra e gracilina per nascondere un corpo più robusto come il mio. L'avevo già riconosciuto, anche se in un primo momento mi ero detto che non era possibile. Poi avevo visto quella minuscola cicatrice, quasi trasparente ma ancora visibile, vicino il sopracciglio e avevo riconosciuto quegli occhi, difficili da dimenticare, non troppo blu ma non troppo celesti. Speravo con tutto il cuore che non si ricordava come io mi ricordavo di lui. Eppure non sapevo perché volevo nascondermi dal suo sguardo, in fondo gli avevo solo tirato uno yo-yo in faccia.

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