Capitolo 48

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Metto piede fuori dalla stazione di polizia e un'umidità fastidiosa mi si appiccica ai capelli. A guardare il cielo è quasi l'alba. Il mio cellulare si è scaricato, come sempre, il mal di testa mi preme sulle tempie, e le occhiaie credo mi arrivino sotto ai piedi.

Prendo un inspiro profondo, mi godo l'odore del mare, ancora più intenso del solito, e rabbrividisco quando sfioro la medicazione sulla mia testa.

Grazie al cielo l'abbiamo scampata, penso, avviandomi verso casa.

La camminata per arrivare a Dorsoduro mi riporta alla mente fin troppe cose. Ricordo bene quando denunciai la mia aggressione, ricordo bene le domande scomode, i dettagli che non riuscivo a descrivere, le azioni che volevo già dimenticare. Ricordo la sensazione di sporco addosso, il bisogno di una doccia, la consapevolezza che nulla avrebbe lavato via quella esperienza.

Nulla, ma forse qualcuno sì, mi dico, quando le immagini che mi arrivano alla mente come bombardamenti si placano nel viso di Ryan. E ora ricordo la prima volta che l'ho visto, l'incredibile sfacciataggine che mi ha attratta come una calamita. Ricordo la sua voce la prima volta che ha aperto bocca, ricordo il velo di mistero che ben portava addosso, che porta tuttora addosso, anche se tutto è più chiaro e meno misterioso. Anche se i pezzi del puzzle della sua vita sembra siano rientrati al loro posto.

La mia pelle si ammorbidisce al ricordo del suo tocco, la tranquillità di averlo avuto vicino, senza tremare e avere paura, è stata una doccia tenera e calda fin dalla prima volta che l'ho notato. Ancora non mi capacito di come sia stato possibile, ma sono grata che sia successo.

Mi spingo oltre alla piccola zona in cui vivo, ho bisogno di vedere il mare. Mi aggiro per Zattere, lungo il canale più grande dei dintorni; e mi fermo ad ascoltare il rumore delle piccole onde che qualche imbarcazione mattutina fa arrivare verso di me, il fruscio del vento che accarezza l'acqua scura, i primi gabbiani che sbattono con eleganza le ali.

Assaporo l'alba. Osservo il cielo schiarirsi, attraversare i più bei colori immaginabili, e accompagnare la notte a riposare. Osservo la mia Venezia, e le parole di Ryan mi tornano alla mente con dolcezza.

«Preferisco le albe», mi aveva detto. «Perché ti mostrano che puoi sempre ricominciare da capo».

Mi sembra di averlo nuovamente al mio fianco, con l'azzurro dei suoi occhi che si spegne e fa da specchio al paesaggio. Penso a come sarebbero ora, le sue iridi, con la brillantezza del giorno che avanza.

Chissà se ora potrà ricominciare davvero. Lascerà mai andare Il Barba? Lascerà che la conclusione della sua storia sia la sua fuga?

Cerco di coprirmi il viso con la felpa che indosso, il freddo mi ha fatto arrossare il naso e le guance. Do le spalle allo spettacolo a cui ho assistito, e ritorno lentamente tra i vicoli che mi portano a casa.

Mentre salgo le scale del mio palazzo, i dubbi su un'altra persona si insinuano tra i miei pensieri.

La storia di Thomas è assai meno chiara ora, invece, che prima. Perché non mi ha mai detto la verità, sul fatto che conosceva Alex e che era in mezzo a rogne pure lui? Conosceva Ryan, ma ha sempre fatto finta che non fosse così.

E la pistola? È di Ryan? Se fosse così, perché Ryan l'ha ridata a Mas, prima di andarsene da quel posto?

Troppe domande, e sono decisamente troppo stanca, penso, mentre entro nella mansarda.

Abbandono il cellulare sul tavolo della cucina, decisa a mettere in bocca qualcosa prima di buttarmi a dormire. Ho bisogno di chiudere in fretta questa interminabile giornata, non ne posso più. Mentre afferro il contenitore dei biscotti, che lascio sempre maldestramente aperto sul tavolo, noto un foglietto aperto.

SOTTO LE PERSONEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora