Capitolo 8

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«Avevi fame, eh?» mi chiede Thomas. Mi sono abbuffata di gelato, ho fatto fuori quasi tutto il barattolo da sola.

«Non ho pranzato» ammetto, sorridendo. «Grazie, Thomas, davvero» aggiungo.

La sua compagnia mi fa stare bene e la sua semplicità mi aiuta a chiudere fuori tutta una serie di pensieri che dopo tanti anni non sono ancora in grado di gestire. Senza di lui, sarebbe stato un pomeriggio tormentato.

«E di cosa?» mi risponde. Sbuffa una risata e si avvicina dicendo: «Hai gelato ovunque». Mi osserva le labbra e intuisco che vuole togliermi i residui di cioccolato con il pollice. Il mio corpo inizia a tremare piano quando la sua mano si avvicina al mio viso.

La porta si apre di colpo, salvandomi dalla situazione scomoda che si è venuta a creare. Avvampo quando Carlotta entra, facendo passare il suo sguardo incuriosito tra me e Thomas fin troppe volte.

«Ciao, Carlotta!» esordisce Mas, con un sorriso a trentadue denti.

«Ehi, ragazzi.» Carlotta appoggia una borsa ricolma di libri su una delle sedie colorate.

«Credo che ora sia meglio che vada, ho rotto le scatole tutto il giorno» mormoro, imbarazzata.

«Fermati per cena, ormai è ora. Alice dovrebbe rientrare a momenti» propone Carlotta, sparendo in camera sua per cambiarsi.

Decido di rimanere per non destare sospetti, non voglio che Carlotta pensi sia successo qualcosa con Thomas. Per quanto sembri un tipo a posto, e sia decisamente molto carino, non potrei mai andare oltre all'amicizia. Né con lui, né con nessun altro.

Capirebbe che non riesco nemmeno a farmi toccare? Che anche qualcuno vicino, a volte, mi fa tremare di paura? Non sono pronta a tirare fuori dall'armadio tutti i miei scheletri.

Accantono il solito vortice di pensieri, e aiuto Carlotta a sistemare la tavola. Quando Alice arriva, sembra estremamente felice di vedermi.

Passiamo una serata tranquilla, mangiamo primo e secondo, e ridiamo di gusto, nonostante Pede e Carlotta quasi non si parlino.

Rimango a chiacchierare un'altra oretta, per poi salutare i ragazzi e rintanarmi nella mia mansarda.

Rigiro per il piccolo spazio sentendomi confusa e frastornata. La sensazione di freschezza che gli altri mi hanno regalato, durante la serata insieme, è già sparita.

Spalanco una finestra e mi ci affaccio, appoggiando gli avambracci sull'orlo e sporgendomi. Ammiro la notte veneziana, il suo profumo intenso, le luci delicate della città.

Il palazzo di fronte, quello in cui abitano Nonna Lavi e Ryan, è un poco più basso del mio, così come tutti gli altri stabili nei dintorni; e questo mi dà la possibilità di vedere in lontananza, senza ostacoli, da questo piccolo, stupido, appartamentino.

Il vento fresco mi scompiglia dolcemente i capelli. Chiudo gli occhi, ritrovando con calma un certo equilibrio.

Forse, un giorno, le cose andranno meglio per davvero. Forse, un giorno, potrò ricominciare.

Sentendo dei rumori in strada, riapro gli occhi e indago il vicolo sotto di me, che si è rabbuiato quasi del tutto. Vedo solo ombre, sembrano essere tre persone.

Incuriosita, mi impossesso dei miei occhiali da vista, così da distinguere meglio le forme.

Certo che sono peggiorata, non vedo proprio un cazzo.

Credo sia Marco, quel ragazzo grande e grosso che sta spintonando un altro tizio. Ce n'è uno più in disparte, nascosto sotto un cappellino da baseball. Sembra essere lui a parlare, ma non capisco cosa si dicano.

SOTTO LE PERSONEWhere stories live. Discover now