Capitolo 1

10.6K 342 100
                                    

Venezia, Italia

2018

Quattrocento euro. Quattrocento cazzo di euro, che poi con le spese diventano almeno quattro e sessanta. Quasi cinquecento euro e loro che ti danno? Una fottutissima mansarda. Saranno a malapena trenta metri quadri di abitazione. Toh, facciamo trentatré, giusto per avere un po' di pietà.

I pensieri iniziano a caricarsi dentro di me, mentre sbatto a terra zaino e valigia.

Abitazione, poi, parolona per 'sto postaccio.

Mi avvicino alle piccole finestre che punteggiano la parete di fronte a me. Le tapparelle logore sono abbassate, ma la luce che si riflette dal canale è così forte che all'interno della stanza si distingue tutto comunque.

La nonnina che mi ha affittato il locale non si è degnata nemmeno di aprirmi la porta, di spiegarmi qualcosa, qualsiasi cosa. Niente. Mi ha allungato le chiavi, mettendo ben in chiaro che erano una copia, e che lei aveva le originali. La sua voce raschiava e ogni sua misera frase era accompagnata da brutti colpi di tosse.

Quattrocento fottuti euro, strarubati.

Tiro su le tapparelle, spalanco i vetri sporchi delle finestre e prendo un respiro profondo. Oltre all'odore acre di acqua stagnante, quello del sale, portato dal vento leggero della sera, mi pizzica le narici.

Dopo aver arricciato il naso, mi spunta un sorriso: almeno la vista non è malvagia.

Sono arrivata a Venezia con il treno delle quattro e, dopo un paio d'ore di viaggio, un buon quarto d'ora di camminata e due secondi di saluto con la tizia dell'affitto, mi decido a cercare qualcosa da mangiare. Rovisto nello zaino, ma trovo solo le carte delle barrette al cioccolato che ho mangiato in treno, un pacchetto di gomme da masticare quasi finito e la mia solita borraccia vuota.

Apro il piccolo frigo, affamata. Non mi aspetto che la nonnina mi abbia fatto la spesa, ma magari qualcosa c'è.

Invece niente, il frigo è spento. Vuoto.

Cristo, una bottiglia d'acqua me la poteva anche lasciare, penso, mettendomi le mani nei capelli e massaggiandomi la testa.

Sono stanca e la mia pazienza sparisce del tutto quando ho fame. Per lo più, però, sono incazzata; non è possibile che si paghi la gente fior di quattrini e loro non siano nemmeno in grado di passare una scopa sul pavimento prima del tuo arrivo.

Il posto è uno schifo, è questo che mi turba. Sono abbastanza pacata di mio, una persona tranquilla, che si fa i fatti propri, che cerca di non litigare – anche se con certe persone proprio non ce la faccio, e capita che le parole mi escano violente dalle labbra, non riuscendo a trattenermi –, ma sono anche una persona che al rispetto ci tiene, e che trova ingiusto sfruttare i bisogni degli studenti per farsi un'entrata in nero.

Insomma, buona sì, stupida decisamente no.

«D'altra parte, che scelta hai?» mormoro al mio riflesso, che ha preso vita nello specchio del bagno. È sporco forse più delle finestre.

Tiro il vetro sottile della finestrella rettangolare del bagno per arieggiare e mi sposto di nuovo nell'altra stanza. Nell'unica stanza.

Adocchio il letto, un misero singolo dalle lenzuola bianche, con il cuscino stropicciato e due coperte che sembrano di lana, nemmeno piegate, riposte al centro. Almeno non ho dovuto portarmi la biancheria.

«Avrà tutto l'occorrente», mi aveva detto la signora, sempre con la sua voce rauca, quando avevo chiamato per l'affitto.

Sì, come no, penso ora, richiamando alla memoria ogni dettaglio della nostra conversazione telefonica.

Dopo aver fatto avanti e indietro ormai mille volte, bagno, stanza, bagno, stanza, decido di riprendere in mano la situazione. Mi siedo a cavalcioni sulla sedia di legno abbandonata di fianco al letto, incrocio le braccia, sciolgo i muscoli del collo.

Espiro forte tutta l'aria che stavo trattenendo nei polmoni, e mi strofino gli occhi, sbavandomi il trucco nero che tendo sempre a portare su ciglia e palpebre. Faccio il punto della situazione.

Okay, le lenzuola ci sono. La carta igienica c'è, due rotoli, ma c'è. Ci sono anche tre, quattro asciugamani.

Faccio scrocchiare le dita delle mani, strizzo gli occhi per ispezionare la stanza; ancora mi ostino a non portare gli occhiali da vista, anche se ne ho decisamente bisogno.

Intanto stasera potrei prendere due robe da mangiare, per oggi e domani. Poi ho tempo un paio di settimane prima che inizino le lezioni, avrò modo di prendermi tutto ciò che mi serve.

Rimugino sulla prossima mossa, afferro il portafoglio che tra i tanti giri del locale avevo appoggiato sul tavolo e tiro fuori una busta dallo zaino. Conto i soldi ben ordinati nella busta, per assicurarmi di aver portato via tutti i miei risparmi. Cerco un posto sicuro dove nasconderla, non sono convinta che metterla sotto al materasso sia la cosa migliore.

Mi abbasso per analizzare il piccolo comodino di legno, sembra avere davvero una vita alle spalle. Chissà quante persone hanno nascosto soldi, sigarette, preservativi e altre cose nei due cassetti che ospita. Non contenta, dopo aver sbirciato al loro interno, prendo coraggio e ricorro al mio buon vecchio metodo. Schifata, butto la mano tra le ragnatele sotto il mobiletto e inserisco la busta per un quarto in una delle fessure createsi dall'incastro delle varie parti del comodino.

Sbuffando raggiungo il bagno, mi lavo le mani e il viso con l'acqua fredda che fatica a uscire dal rubinetto incrostato, fregandomene del trucco. Passo gli indici sotto agli occhi, asciugo malamente le sbavature. Mi tiro su i capelli spenti in una coda alta, afferro una borsetta di tela dalla valigia e, dopo averci messo dentro le poche cose necessarie per uscire, saltello giù dalle numerose scale del vecchio edificio veneziano.

Col cuore che mi rimbomba nel petto, uno strano formicolio allo stomaco e i pensieri che non mi danno tregua, mi immergo nei vicoli chiassosi della mia nuova città.

SOTTO LE PERSONEWhere stories live. Discover now