Capitolo 5

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La serata si è spenta dopo che i ragazzi se ne sono andati, tizia mezza nuda compresa.

Abbiamo mangiato, facendo finta di niente. Ho provato a indagare su alcune cose, come ad esempio sul perché Alice abbia detto quella frase, ma non c'è stato verso di far parlare Thomas.

«È inutile che ci provi ogni sera, Marco, non ho più tempo, lo sai». Erano state queste le sue parole.

Non ha più tempo per cosa? In che razza di intrighi si è cacciata Alice?

Quella gente non sembra per niente raccomandabile.

E il ruolo di Thomas in tutto questo, qual è? Li conosce, evidentemente non tutti per bene, ma li conosce.

Decido di stare il più possibile alla larga dalla situazione. Certo, la curiosità non manca, ma non sono cose che mi riguardano.

Fatti i cazzi tuoi, Elena, non immischiarti, mi dico, mentre tiro fuori il portafoglio dalla borsa per pagare.

«Non pensarci nemmeno» mi ferma Thomas. «Prendi questa cenetta come un regalo di benvenuto» sembra riacquistare il suo fare scherzoso, e io mi limito a ringraziare.

Sono troppo pensierosa per mettermi a discutere.

Attendo al tavolo, mentre Thomas si dirige alla cassa. Rielaboro la scena avvenuta una ventina di minuti prima.

Ma chi si credono di essere quei tizi? penso, lasciandomi andare sullo schienale. Queste poltroncine rosse sono davvero comode.

Thomas sta pagando, così mi alzo; mi accorgo del pacchetto di sigarette abbandonato sul tavolo dove si erano riuniti quei ragazzi. Lo afferro, me lo rigiro tra le mani, guardo fuori dalla vetrata per vedere se magari qualcuno di loro è ancora lì.

Non c'è nessuno, e Thomas mi sta venendo incontro, seguito da Alice, che pare abbia finito il suo turno. Decido di tenerlo, non so nemmeno io perché.

Facciamo la strada di ritorno a casa con una tensione percepibile.

Quando arriviamo, butto un occhio all'edificio di fronte al nostro. È silenzioso quanto noi. Saliamo e saluto i ragazzi, ringraziandoli sinceramente per tutto l'aiuto che mi hanno dato.

Mi avvio verso la mansarda, ma mi blocco, sentendo il pacchetto di sigarette nella tasca dei pantaloni. Lo apro, ne sono rimaste solo un paio.

Ma che stai facendo? mi chiedo, scuotendo la testa.

D'impulso, torno giù dalle scale, esco e mi ritrovo davanti al numero 32. Tra i vari campanelli, solo due hanno un nome. Su quello più in basso, una targhetta indica 'Lavinia Marone'.

La proprietaria.

Vive qui, ecco perché Mas dice che tiene d'occhio tutti.

Sul campanello più in alto, invece, compare solo il cognome 'Orlando'. Credo che Ryan abiti qui, basandomi sul nostro primo incontro e sulla sua battutina al locale, ma non ne posso essere certa. Sbuffo, impaziente.

Di figure di merda ne ho già fatte mille stasera, tanto vale, penso, e suono il campanello superiore. Attendo, ma sembra non esserci nessuna risposta.

Mi allontano, individuo le ultime finestre del palazzo e sbuffo di nuovo.

Davvero pensavi di restituirgli uno stupido pacchetto di cicche? mi chiedo, sentendomi più stupida che mai.

Me ne torno verso casa, e arrivo in mansarda col fiatone per colpa di tutte quelle dannate scale.

Lancio il pacchetto di sigarette sul letto un po' sfatto per colpa di Alice, che ci si era sdraiata a inizio serata, e mi metto a sistemare l'alloggio.

SOTTO LE PERSONEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora