Capitolo 31

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È un uomo tarchiato, quello che affianca Marco. Ha una barba folta e lunga, che gli invecchia il volto di una decina d'anni. Credo possa averne sui trentacinque, dalle mani giovani che tengono un sigaro per aria. Marco è avvolto da una delle sue classiche camicie a fiori, i jeans strappati e la sigaretta fumante.

Parlano a monosillabi, sottovoce, nascosti nella notte.

Me li trovo di fronte, quando arriviamo davanti all'edificio in cui abita Ryan, e quindi anche davanti al mio. Il ragazzo del 32 mi lascia in fretta la mano, che mi ha tenuto saldamente, e con un'incredibile dolcezza, per tutto il tragitto di ritorno.

Osservo i due tizi, loro mi squadrano di rimando, e sento subito che qualcosa non va. Marco ha il viso tirato, lucido di sudore, mantiene un sorrisino beffardo, ma si capisce bene che è solo di scena. Ryan si irrigidisce di fianco a me, e si fa subito scuro in volto.

«Elena, vai di sopra. Aspettami lì» dice, con una voce fredda come il ghiaccio.

Lancia un'occhiata al mio appartamento, abbozzo un movimento verso il mio ingresso, ma Ryan mi blocca immediatamente, ordinandomi: «Elena. Di sopra. Ora». E il tono non ammette discussioni. Mi passa le sue chiavi di casa, e mi avvio silenziosa all'ingresso.

«Perché non fai partecipare anche la tua ragazza, a questa piccola riunione?» chiede il tizio barbuto, con una voce rotta dal fumo, e decisamente inquietante.

Chi cazzo è questo? mi chiedo, evitando di incrociare il suo sguardo. Non ho proprio voglia di vivere un attacco di panico di fronte ai tre uomini che mi circondano. E lo sento, che è lì sottopelle, pronto a farmi cadere ancora.

Ryan, cosa cazzo combini? penso, preoccupata.

«Non è la mia ragazza. È solo una delle tante che avrei voluto scoparmi stasera, ma a quanto pare mi state rovinando la festa.» La voce di Ryan mi arriva dritta al cuore, e una fitta mi chiude lo stomaco, la gola, tutto. Faccio finta di niente e la porta d'entrata scatta sotto le mie mani tremanti.

Sta' buona, sta' buona. Non è il momento di far cazzate, mi dico, entrando. Mi lascio i tre personaggi alle spalle, attendo qualche attimo di fronte all'appartamento della nonnina e corro su per le scale. Apro in fretta la porta con l'unica altra chiave appesa al ciondolino di ferro che Ryan mi ha dato, ed entro, inspirando profondamente. Cerco di domare l'attacco di panico che mi preme sul petto, e sembro riuscirci.

«Non vedo un cazzo» mormoro, tastando i muri per cercare l'interruttore. Impaziente, uso la torcia del cellulare, e lo trovo. Mi dirigo in bagno, il cuore a mille, faccio scorrere l'acqua fresca sui polsi e mi sciacquo il viso. Me lo tampono con il primo asciugamano che trovo, e trotto alla finestra dove, dal mio appartamento, di solito vedo Ryan fumare.

La apro, facendo il più piano possibile, e grazie al cielo nessuno dalla strada mi nota. Mi affaccio leggermente, e assisto alla scena.

Non sento, realizzo, quando li vedo muoversi lenti. Parlano troppo piano.

Gesticolano, si passano qualcosa che non capisco bene cosa sia, dato che vedo sfocato.

Gli occhiali, Elena, impara a portare gli occhiali.

Quello che succede poi mi sembra surreale. Il braccio del tizio con la barba che si alza, la pistola puntata su Ryan. Lui che si avvicina, la canna che pare toccare la sua fronte. Mi si appannano gli occhi, e vedo ancora meno di quanto potrei.

Devo chiamare qualcuno, devo chiamare la polizia, penso, le mani che tremano ancora, il cellulare che non vuole collaborare.

No, non posso. Ryan potrebbe finire nei guai... Marco, la droga, chissà quanto ci è dentro quel coglione di Ryan.

Thomas, chiama Thomas.

Cerco in fretta il contatto nella rubrica e avvio la chiamata. Uno squillo. Due squilli. Tre squilli.

«Avanti, Thomas, rispondi. Sei sempre in mezzo di solito, ora che servi non rispondi?» blatero, la voce tesa e fragile.

«Pronto» mi risponde al quinto squillo, la voce atona e piena di sonno. Lo sento tastare il comodino, fa un rumore allucinante, e capisco che cerca i suoi occhiali da vista.

«Thomas, è urgente. Non so se chiamare la polizia.»

«Polizia? Che stai dicendo, Lena?»

Tralascio la stupida abbreviazione del mio nome e tento di mettere in un ordine sensato le parole: «Ryan, Marco e un tizio con la barba. Di sotto, davanti ai nostri appartamenti. Scendi, urla, fa' qualsiasi cazzo di cosa, perché Ryan ha una pistola puntata contro e io non so che cazzo fare!»

«Porca puttana. Non chiamare la polizia, hai capito?»

«Ora scendo» grido, gran poco convinta.

«Tu non scendi da nessuna parte, e poi dove cazzo sei? Sei di sopra?»

«Da Ryan.»

«Da Ryan?! Dio, Elena. Lascia perdere, rimani da lui, io ora li raggiungo» dice, e attacca.

Due minuti lunghi come l'eternità, la pistola che mira ancora al ragazzo del 32 e Thomas che esce in pantaloncini e a petto nudo dal nostro stabile.

Mi metto le mani nei capelli, e riprendo a respirare quando il braccio dell'uomo si abbassa. Mas li raggiunge, parlano sempre a grandi gesti, ma tengono un volume troppo basso e io ancora non sento un cazzo.

Chiamo Alice, e mi risponde anche lei con voce assonnata.

«Mh, che succede?»

«Vai nella mia mansarda.»

«Con che chiavi pensi che possa entrare, stupidina?»

«È aperta, non trovavo le chiavi prima di uscire, oggi. Vai su e guarda fuori dalla finestra.»

«Che palle.»

«È urgente.»

«Va bene, va bene.»

La sento salire gli scalini di gran carriera, la porta che si chiude e lei che apre la finestra.

«Che cazzo fai alla finestra?» mi chiede.

«Guarda giù. La situazione è grave, non sento che si dicono, ma quell'uomo ha una pistola e sembra abbia voglia di usarla.»

«Oh, cazzo.»

Rimaniamo in silenzio per diversi minuti, fino a che l'uomo barbuto non se ne va e i tre ragazzi iniziano a spintonarsi l'un l'altro.

«Dateci un taglio, deficienti!» urla Pede dal mio appartamento.

Sconvolta, ritorno di sotto, e Alice fa lo stesso. Usciamo entrambe in strada e raggiungiamo il gruppetto. Ryan ha il volto di marmo, mi guarda con gli occhi spenti, per poi rigirarsi verso Thomas.

«Grazie» gli dice secco, e inizia ad allontanarsi con Marco.

«Ryan» lo chiamo, ma non si gira. «Ryan, cazzo.»

Si blocca ed estrae un pacchetto di sigarette. Se ne porta una alle labbra, pare che l'adrenalina gli stia andando in circolo solo ora. Ed è proprio come il Ryan delle prime volte, stronzo, pericoloso, fottutamente affascinante.

Si avvicina a me, penetra i miei occhi con i suoi, e si abbassa leggermente, per dirmi: «Questa è l'ultima volta che te lo ripeto. Aspettami di sopra. Vai, ora. E non voglio cazzate».

Gira i tacchi e sparisce nelle ombre di Venezia, nei segreti e nelle trame di qualcosa davvero più grande di lui, di me, di tutti e due messi insieme.

SOTTO LE PERSONEOù les histoires vivent. Découvrez maintenant