Capitolo 44

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Ho visto Ryan e Thomas allontanarsi insieme, dalla mia finestra. Ho corso i gradini del palazzo a due a due, per arrivare in mansarda e affacciarmi fuori il prima possibile. Sono rimasta ad aspettare che tornassero per dieci minuti, mezz'ora, un'ora. Due ore dopo è rientrato Thomas, da solo, il passo lento e le spalle ricurve.

Quando i rumori al piano di sotto sono cessati e di Ryan non c'era ancora l'ombra, mi sono decisa a scendere.

Ora l'alba è la mia unica compagnia, mentre me ne sto seduta per terra, davanti all'ingresso del civico 32. La schiena appoggiata al muro, la testa che ne sente l'umidità fredda sulla nuca, le gambe stanche raccolte sotto di me.

La notte in bianco non mi è nemmeno pesata, vista la marea di pensieri che mi ha invaso la mente. Ora, però, il dondolio dell'acqua nel canale e il suono delicato del suo fluire mi cullano nel silenzio veneziano e mi fanno chiudere gli occhi.

Che cosa stai facendo, Elena? Mi chiedo, come sempre da quando sono arrivata in questa città, come sempre da quando ho incrociato lo sguardo di Ryan, il giorno del mio arrivo.

A che ti serve aspettarlo?

Vorrei parlargli.

Perché non ha fatto una piega quando gli ho detto di Marco?

Vorrei capire perché chiede a Thomas cosa prova nei miei confronti. Perché gli dice di proteggermi.

Perché non lo può fare lui?

Ho bisogno di una risposta definitiva... di una chiusura. Perché non va bene che prima mi dica che non possiamo essere niente e poi provi a baciarmi, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

«Elena» una voce si fa strada nella mia mente. «Elena, cazzo, svegliati.» Il suono è ancora più magnetico di quello delle onde del mare. «Elena, stai bene?» Apro gli occhi di scatto, spaventata, quando vengo scossa da due mani forti. «Dio santo, mi hai fatto morire» impreca Ryan, mollando la presa su di me e lasciandosi cadere a terra di peso, con un sospiro di indignazione e di sollievo insieme.

«Che ci fai qua?» mugugno, ancora più nel mondo dei sogni che in quello reale. Vedo Ryan passarsi le mani tra i capelli e poi sul viso, massaggiandoselo. Ha delle occhiaie profonde, gli occhi spenti e le labbra tirate.

Sento il corpo rigido e freddo, provo a sedermi più comoda e... solo ora realizzo la situazione.

«Mi sono addormentata» ammetto, ampliando la mia visuale tutto intorno. Il sole è ancora tiepido, ma già alto in cielo. Il profumo di paste e caffè riempie la calle, insieme al brontolio di barche e vaporetti. Una donna cammina svelta poco distante da noi, ci lancia occhiate strane. Lo stesso fa un ragazzo che sta proseguendo nella direzione opposta.

Da quanto tempo sono qui?

«Che ora è?» chiedo a Ryan, ancora seduto davanti a me, i gomiti appoggiati alle ginocchia piegate. Attende qualche istante, con gli occhi puntati nei miei e l'espressione assente. Poi, prende il suo cellulare e mi mostra il display.

Cazzo, sono le otto e mezza.

«Che hai combinato, ragazzina?» mi chiede lui, rialzandosi con eleganza.

Non mi dà né il tempo di rispondere, né il tempo per muovermi da terra. Senza tanto pensarci, mi prende da sotto le ascelle, mi solleva e mi rimette in piedi, soffermandosi con le mani sul mio busto.

«Niente. Ti stavo... avevo solo... volevo...»

Elena, il cervello l'hai dimenticato a casa?

«Avevo bisogno di parlarti» rimedio subito, sperando di fermare il piccolo sorrisino che sta già iniziando a comparire sulle sue labbra.

SOTTO LE PERSONEWhere stories live. Discover now