Capitolo 34

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«Allora?» mi intima Ryan, in attesa di una risposta.

«S-scusami, io...» mi affretto a dire, raccattando ogni foglio sparso sul letto. Tiro su col naso, mi schiarisco la gola, cerco di coprire in fretta il mio misfatto. Ho la vista appannata, fingo di vedere cosa sto facendo, cosa sto spostando, piegando, girando, ma la verità è che sono così in ansia e mi sento così in colpa che muovo i miei arti a caso, sperando che tutto questo sia solo un incubo.

Ryan fa alcuni passi verso di me, e io non ho il coraggio di guardarlo negli occhi. Mi sembra di impazzire, mi metto le mani nei capelli e continuo a deglutire forzatamente.

«Cosa ti avevo detto, prima?» mi chiede, in un modo così provocatorio da aver timore pure a respirare. Non colgo subito il senso della sua domanda, nella confusione del momento non afferro il suo gioco, e finisco con l'inciampare nei suoi occhi. L'azzurro rabbuiato, grigiastro delle sue iridi mi mozza il fiato.

Le mie labbra si schiudono, ricaccio a tutti i costi indietro le lacrime che mi pregano di uscire, e rimango inebetita di fronte a lui. Ed è lui che prende il comando della partita, come sempre, mosse affascinanti e pericolose allo stesso tempo, che ho sempre considerato calcolate, ma chi lo sa se lui è così e basta; nessun passo programmato, solo lui, nel suo modo di fare, che risulta essere un'attrazione irresistibile.

«Ti avevo detto di aspettarmi. Non di ficcare il naso tra le mie cose» dice, abbassandosi su di me. Appoggia le mani sul letto, a racchiudere i miei fianchi. «Parli sempre troppo... e adesso sei senza parole, ragazzina?» inclina la testa, continuando a provocarmi. Mi sfiora il naso con il suo, avvicina le labbra alle mie, e rimane in attesa, così, aspettando ancora una volta una mia reazione.

Non cedere, non cedere, mi ordino, quando mi rendo conto che vorrei baciarlo. Si avvicina di poco, sento il contatto del suo labbro inferiore sul mio superiore, e chiudo gli occhi. Prende ancora un paio di centimetri di distanza, ben attento a ogni mio movimento. Continua con questa sorta di danza per minuti che mi paiono interminabili, e i miei muscoli iniziano a irrigidirsi, in un misto di mancanza di controllo e imposizioni seccanti che continuo a darmi nella mia testa.

I nostri respiri si incastrano, e quando si avvicina di nuovo, faccio l'errore di avvicinarmi anche io. La delusione quando lui evita le mie labbra, lasciando che lo spazio tra di noi aumenti fastidiosamente, è incontenibile. Fatico a espirare, e mi sento cadere nel vuoto.

«Vedi di non farlo mai più» conclude, guardando con disprezzo la documentazione ancora disordinata sul letto. Irrigidisce la mascella, arriccia le labbra in un'espressione sofferente, ed esce dalla camera.

Dopo aver passato qualche altro secondo nella mia immobilità, corro al vaglio delle mie emozioni. Lascio andare il peso che mi preme sul petto, e mi rendo conto che è tutto sbagliato. Ho sbagliato io, sì, ma lui è un grandissimo stronzo. E, assaporando il meccanismo che scatta sempre in mia difesa, racimolo la pazienza e la determinazione di farmi valere, promettendomi di non aspettare mai più così tanto per reagire come necessario.

Mi alzo, rossa in volto, con gli occhi che si stanno gonfiando; traballante, raggiungo Ryan nell'altra stanza, e lo trovo affacciato alla finestra, le mani appoggiate all'infisso, le spalle tese che mettono in risalto i muscoli della schiena, e i capelli smossi dal lieve vento notturno che proviene dal mare.

«Ho sbagliato» ammetto, la voce rotta.

«Devi imparare a farti i cazzi tuoi» risponde secco lui, senza nemmeno voltarsi.

Alla sua arroganza, rilascio una risata ironica, incrocio le braccia al petto, e consento al nervosismo e alla rabbia di trascinarmi verso il baratro.

«Avrei tanto voluto farmi i cazzi miei, sai? Peccato che poi sono finita con il nascondermi nel tuo appartamento, perché tu eri di sotto con una pistola puntata alla testa.»

Ryan si gira di scatto, mi riserva un'occhiata glaciale, che lascia trapelare della preoccupazione.

«L'hai visto, o ti è stato detto?» indaga lui, dopo attimi di tensione insostenibili.

«L'ho visto, non sono mica scema» dico, facendo cenno alla finestra dietro di lui. Lo osservo passarsi una mano tra i capelli, massaggiandosi la testa con le dita affusolate.

«Mi sono state dette diverse cose, comunque» riprendo, alzando la voce per sembrare un po' più sicura di me.

Questa storia non finisce qui, penso, mentre noto un certo imbarazzo nei suoi movimenti. È ora di parlare.

«Ah sì? E chi è stato a dirtele, il tuo fidanzatino?» chiede, appoggiandosi di schiena alla finestra e mettendo le mani in tasca.

Eccolo qui, il suo meccanismo di difesa. Se io ho la rabbia che mi fa reagire, lui ha le provocazioni che lo proteggono.

«Thomas non è il mio fidanzato, finiscila con 'sta storia.»

«Allora perché l'hai chiamato?»

E tu come fai a saperlo? Possibile che qui nessuno riesca a tenersi la bocca chiusa?

«Forse perché l'ultima volta sembravate avere molto da condividere. Pare che lui sappia più di quanto so io. Sicuro non sia il tuo, di fidanzatino?»

«Ti piace proprio giocare col fuoco eh, ragazzina?»

«Me le servi su un piatto d'argento» ammetto d'impulso.

Alle mie parole, si avvicina di nuovo, posa rudemente la sua mano sul mio viso e assapora la mia pelle con le dita. Vedo un lampo di desiderio attraversargli lo sguardo, e la fatica che fa per trattenersi dal farmi sua qui e ora.

Scende con la mano sulla mia spalla, e mi spinge indietro. Mi tiene salda, e una volta tirata fuori una sedia da sotto il tavolo, mi obbliga a sedermi.

«Che cazzo ti è stato detto?» domanda, la voce roca.

«Hai un fratello?» ribatto la prima cosa che mi passa per la testa, provando a mischiare le carte a mio favore.

Ryan si impietrisce, poi abbozza un sorriso amaro, assottiglia lo sguardo.

«Avevo. Così come avevo una madre. Pensavo sapessi leggere.» Parla con una lentezza aspra, mentre indica la camera, con la porta aperta e i fogli ancora incasinati sul letto. Butto giù il groppo che mi si è formato in gola, e cerco di non farmi distrarre dai miei sensi di colpa e dalla mia stupidità.

«Com'è successo?» chiedo, senza esplicitare il riferimento delle mie parole.

«L'incidente?» rimedia lui, adagiandosi sulla sedia di fianco a me. «Vorrei saperlo anche io» conclude poi.

«Nonna Lavi dice che è stato a causa di un'altra vettura, molto più grande della loro» sussurro, all'improvviso intimorita dal fuoco che si sta spegnendo dentro di me, tra di noi, e che lascia spazio a Ryan di respirare un po' più profondamente.

«Nonna Lavi? Sul serio?» alza un sopracciglio, sorpreso di scoprire che la mia fonte di informazioni sia la nonnina del piano di sotto. La sua voce rimane cupa e spezzata, nonostante una risatina si liberi dalle sue labbra morbide.

«È quello che hanno riportato le indagini, quello che è scritto ovunque» dice poi, lasciando perdere la storia di Nonna Lavi.

«Ma?» chiedo, sapendo bene che le cose sono ben più complicate di così.

«Ma, cosa?»

«Credi non sia andata così?» mi espongo, stanca di girare intorno a ciò che vorrei sapere.

«Credo che ci sia qualcosa di più, sotto» risponde. Porta lo sguardo su di me, i suoi occhi che penetrano i miei, per poi continuare: «C'è sempre qualcosa di più, sotto le persone».

SOTTO LE PERSONEWhere stories live. Discover now