Mi manca parlare con lei, di tutto e nulla. Mi manca confidarmi con lei di mia madre e delle mie disavventure amorose. Mi manca farle i dispetti. Mi manca tirarle i capelli solo perché sono invidiosa che i suoi, nonostante la tinta, siano ancora sani, a differenza dei miei, pieni di doppie punte. Mi manca invitarla a casa mia solo per non dover passare un'altra delle mie giornate monotone insieme alla mia noiosa famiglia.

Mi manca e basta. Tremendamente.

Mi fermai ad osservare con sguardo assente l'ennesima vetrina. Il vestito rosso con lo scollo a cuore e la gonna lunga fluttuante era sicuramente bello, ma io non riuscivo a fare altro che notare la mia sagoma riflessa nel vetro. Le spalle incurvate, il volto serio con le sopracciglia aggrottate, le mani chiuse a pugno lungo i fianchi: non c'era nemmeno un accenno di serenità in me. Ero pura tensione: una molla pronta a saltare in aria.

E per poco non lo feci, quando si fermò appena dietro di me una figura, che riconobbi immediatamente. I suoi occhi erano puntati sul vestito rosso, mentre i miei sul suo viso. Nessuno dei due disse nulla, non che ci fosse qualcosa da dire. Non sapevo per quale motivo mi avesse seguito, ma speravo sapesse che non avremmo discusso di ciò che era accaduto.

«Chaeyoung.» pronunciò il mio nome in un sussurro, come se avesse paura di dirlo ad alta voce. Come se avesse potuto rendere qualcosa di non ancora tangibile più reale.

«È Chaeyoung-ssi per te.» risposi secca. Lo sentii sospirare abbattuto, ma dal suo riflesso vidi il formarsi di un labile sorriso sul suo volto.

«Torna a casa.» mormorò, facendo un quasi impercettibile passo in avanti, verso di me. Dalla vetrina, lo notai alzare qualcosa di morbido in aria per poi mollarlo proprio sulla mia testa, rivelandosi così una felpa grigia. Era sua, a giudicare dall'enormità dell'indumento.

«In questo momento, vorrei davvero tornare a casa.» fu il mio turno di sospirare. Mi voltai per confrontarlo. «In Australia.»

Mi spostai di lato e lo superai, incamminandomi nuovamente verso l'hotel. I suoi passi erano lontani dai miei. Se avesse voluto, avrebbe potuto raggiungermi senza alcuna difficoltà ma si limitò a seguirmi in silenzio, lasciandomi lo spazio che, implicitamente, gli avevo chiesto. Era stato... gentile.

Questa volta, mi permise di prendere le scale e solo una volta arrivati in cima, mi chiamò per nome. Lo guardai esasperata, stanca di dovergli ripetere ogni volta che non volevo parlargli, che non volevo avere nulla a che fare con lui e che doveva lasciarmi in pace. Ma il suo volto corrucciato mi spinse a voler quantomeno ascoltare cosa avesse da dire.

«Dimmi.» sussurrai. Era tardi, non sapevo se gli altri fossero già tornati o meno. Ma non era per quello che sussurrai. Credo fosse più per addolcire il mio tono che nei suoi confronti era sempre stato acido o sarcastico.

Per un attimo, Jungkook fece vagare gli occhi per tutto il corridoio, sbattendo le palpebre ripetutamente. Strofinò le mani lungo i jeans scuri e tornò a guardarmi. E, ancora prima che aprisse bocca, avevo capito.

«Mi dispiace, Chaeyoung-ssi.» mormorò, abbassando il volto colpevole. «Non so cosa mi sia preso, ti assicuro che non era qualcosa di premeditato.»

Sorrisi per la modalità originale che utilizzò per dirmi che non era per nulla interessato a me.

«Non ti preoccupare.» risposi sincera. «Avrei potuto fermarti, ma non l'ho fatto. Be', sì l'ho fatto, ma un po' tardi.»

«Già.» annuì lui, senza aver veramente ascoltato le mie parole. «Spero non ci sia astio tra di noi.»

Corrugai la fronte.

«C'è sempre stato.» affermai come se stessimo parlando dell'ovvio. Cosa credeva che ci fosse tra di noi? Amicizia?

Lui roteò gli occhi al cielo.

«Intendevo per quello che è successo, scema.» ridacchiò tirandomi uno scappellotto leggero sulla fronte. Sul serio? Sbuffai ma non riattaccai come avrei tanto voluto fare.

«Comunque, sì, non c'è astio. Voglio dire: ti capisco!»

«Mi capisci?» domandò, spostando il peso del corpo sulla gamba sinistra. Annuii seriamente convinta.

«Certo! Sei un ragazzino pervertito di diciotto anni che, in preda ai suoi ormoni infantili, ha calato il suo sguardo sulla persona più bella al mondo. Era ovvio che sarebbe successo, non so perché non ci abbia riflettuto prima!»

«Tu saresti la persona più bella al mondo? Non so se te ne sei resa conto, ma l'unico momento in cui vedo la cosa più bella al mondo è quando guardo nello specchio!» si accarezzò il volto in modo teatrale, sbattendo le palpebre ripetutamente.

«Idiota.» mormorai, voltandomi per andare verso la mia stanza. Senza tornare a guardarlo, gli augurai la buonanotte.

Solo quando raggiunsi la mia porta, sentii il rumore dei suoi passi fermarsi.

«Comunque, quando prima ti ho chiesto di tornare a casa, non intendevo l'Australia.»


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