Forse perché io gli ho detto tutto, mentre lui non mi dice mai niente, lascio vagare i miei pensieri. Forse perché credevo potesse capire, invece non ha capito proprio un cazzo. Forse perché mi sono preoccupata per lui, quando avrei dovuto fregarmene e basta. Tanto, chi cazzo lo conosce.

Dopo aver seguito la strada per una decina di minuti, mi ritrovo davanti a una fermata del tram. Decido di aspettare l'arrivo di qualcuno, per potergli chiedere informazioni. Mi passo il dorso della mano sul viso, per asciugarmi le poche lacrime che non sono riuscita a trattenere. Accendo la fiamma dell'accendino, me lo passo, insieme al telefono, da una mano all'altra, per infinite volte.

Dopo quelle che sembrano ore, un tram si ferma davanti a me, scaricando cinque, sei persone. Mi fiondo dall'autista, che mi lancia un'occhiataccia schifata, e mi dice che posso prendere questo mezzo per arrivare a Venezia. Pago con il contante che ha resistito nella cover del mio cellulare, e mi siedo vicino a un finestrino.

Farà il giro del globo, ma almeno mi porta dove serve, penso, cercando di specchiarmi sullo schermo nero del telefono. Capisco il perché della faccia schifata dell'autista, e provo inutilmente a rimediare.

Ordino i capelli in una coda alta, con l'elastico che tengo sempre al polso, mi raddrizzo per bene il vestito, mi inumidisco le labbra. Dopo una mezz'ora, scendo in Piazzale Roma, e mi avvio verso casa, a testa bassa.

Squadro l'edificio in cui abita Ryan, prima di imboccare il mio ingresso e salire in mansarda.

Sono distrutta, penso, mentre mi guardo allo specchio del bagno. Ho tirato dritto, quando sono passata dalla porta dei ragazzi.

Non voglio mi vedano così.

Mi butto in una doccia calda, dopo aver messo a caricare il cellulare. Una volta uscita, mi occupo della valanga di messaggi che mi sono arrivati. Sorrido alle minacce di Alice, a tutte le parolacce che mi ha scritto, e arrossisco alle chiamate di Thomas.

Chiamo Alice, mordicchiandomi le labbra già a pezzi. Al secondo squillo risponde, urlando: «Dove cazzo sei?!»

«Sei a casa?» le chiedo di rimando, la voce spezzata.

Lei pare capire che qualcosa non quadra, e mi chiede: «Sì. Chi devo picchiare?»

«Vieni su» mi limito a dire, abbozzando un sorriso.

Poco dopo, Alice varca la porta del mio appartamentino. Sospirando, mi abbraccia forte e mormora: «Dobbiamo fare qualcosa per quelle occhiaie». Ridacchio, e tiro fuori dei biscotti. «Racconta. Tutto, mi raccomando. Ci hai fatto prendere un infarto quando sei scesa in quelle condizioni, ieri sera.»

«Ho avuto una piccola disavventura con due coglioni e mi sono lasciata prendere da un attacco di panico. Ryan mi ha aiutata a rimettermi in sesto. Per quello ero così, quando sono venuta in cerca del mio cellulare.»

Alice non si sofferma sul mio problema degli attacchi di panico, e la ringrazio in silenzio per questo. Non ho decisamente voglia di parlarne.

«Dove siete andati, così di corsa?»

«A casa di Ryan.»

«Sei stata qui di fronte tutto questo tempo?» inizia a scaldarsi Alice, offesa.

«No, no. A casa sua, a Mestre. Ha una villa enorme vicino all'amico di Mas, Alessandro. Siamo rimasti lì tutta la notte, ci siamo addormentati e...» esito, prima di raccontarle della stupida sfuriata che ho fatto al ragazzo del 32.

«Ah, ah, riavvolgi il nastro, biondina. L'avete fatto?» mi chiede, lasciando trapelare tutta la sua curiosità.

«No» dico, arrossendo, «ci siamo solo baciati un paio di volte.» Cerco di togliermi l'espressione ebete che sento avere in faccia.

«Non ci credo.»

«Marco ci ha interrotti ogni volta» sussurro, e faccio di tutto per scacciare certi pensieri. Il fatto che avrei tanto voluto che non lo chiamasse ventimila volte, rompendo il cazzo, per esempio.

«Marco?!» Pede diventa sempre più interessata.

Io annuisco, per poi aggiungere: «Ha chiamato un sacco di volte. Avevano chissà che problema, Ryan poi l'ha raggiunto non so dove, non l'ho sentito rientrare perché dormivo, e stamattina l'ho ritrovato con un livido in faccia».

«Oh, cazzo. Allora era lui!» esclama Alice, la bocca spalancata. «Ieri sera qualcuno ha pestato un amico di Alessandro. Anche Mas lo conosce» prosegue, tirandosi indietro i capelli per liberarsi la fronte.

«Noi eravamo in casa, siamo rimasti in taverna tutto il tempo. Dopo un po' se ne sono andati tutti, e abbiamo visto entrare Ale con 'sto ragazzo aggrappato a lui. Era ridotto male.»

Lascio proseguire Pede, mentre sento il cuore appesantirsi.

«Alessandro non ha voluto dirci chi è stato, ma ho visto Marco mille volte discutere con Enrico, nell'arco di tutta la serata.»

Aggrotto le sopracciglia, prima di chiederle: «Chi è Enrico?»

«Il ragazzo pestato.»

Butto fuori tutta l'aria che ho nei polmoni. Riprendo in mano l'accendino, ci gioco ancora e Pede tira fuori le sue Winston Blue.

Me ne porge una, e accetto volentieri. Fumiamo insieme, silenziose, pensando a ciò che è accaduto la notte appena trascorsa.

«Scusa, ma... come siete tornati a casa?» butto fuori il fumo, aspettando che la mia amica faccia lo stesso.

«Michela ci ha dato un passaggio» risponde Alice, con un sorriso soddisfatto.

«Non ci sono tram, la sera tardi?»

«L'ultimo in quella zona passa alle ventitré e trenta, credo.»

Annuisco di nuovo, facendo due conti. Almeno Ryan non mi ha mentito su questo.

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