35. È un modo per dirti di prendere fuoco

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Mi infilai una manciata di pop corn in bocca, tenendo gli occhi puntati sulla tv.
Emily mi aveva accompagnata a casa da nemmeno mezz'ora e poi era dovuta scappare per una cena di famiglia, nonostante io le avessi chiesto di rimanere a dormire da me.

La casa era silenziosa. Barrie era uscito con alcuni compagni di squadra e Abby era andata a fare shopping con mamma, mentre papà era al lavoro.

Anche se il mio compito principale era quello di studiare, mi ero buttata sul divano, con una ciotola di pop corn appena fatti, a guardami un indecente film horror.

"Cosa cazzo chiedi a fare se c'è qualcuno. È ovvio che c'è qualcuno, ignorante." Brontolai, roteando gli occhi al cielo, verso la protagonista.

Ero leggermente acida al momento. L'incontro pomeridiano con Sean mi aveva resa un tantino suscettibile.
Però dovevo ammettere che per una volta, prendere i suoi soliti insuliti, ne era valsa la pena: non potrò mai dimenticare la sua faccia quando aveva realizzato che la sua birra era un tutt'uno con la sua maglietta.

Nell'esatto momento in cui un tizio bussò alla porta, il campanello di casa mia cominciò a suonare. Scattai in piedi facendomi prendere dalla paura.

Mi portai una mano all'altezza del cuore e mi diressi verso il portone, che continuava a suonare come se si fosse rotto un disco e continuasse a ripetere sempre la stessa melodia.

Mi sollevai in punta di piedi e guardai dallo spioncino, ma quando mi resi conto di chi fosse la persona fuori da casa mia, strusciai immediatamente lungo la porta, portandomi le ginocchia al petto e allacciandole con le braccia.

Oh madre di Dio.

"Cindy, apri questa fottuta porta, ti ho vista dallo spioncino!"

Sgranai gli occhi e mi portai una mano alla bocca per cercare di zittire il mio respiro affannato. Merda. Merda. Merda.

"Hai tre secondi per aprirmi. E se non lo fai giuro che entro a modo mio." Ringhiò, dal suo tono di voce e dal fatto che ormai lo conoscevo, ero più che certa che non stesse scherzando e che sarebbe stato capace di buttare giù la porta, perché era questo il suo modo; perciò mi sollevai da terra e tirai verso il basso la maglietta che era salita sopra i fianchi.

"Si ma calmino..."

Il più velocemente possibile cercai un piano di fuga, mi guardai attorno e vidi la portafinestra che dava sul giardino posteriore aperta.
La cosa non era difficile, avrei dovuto organizzarmi come se fosse uno schema e fossi in una partita di football.

Non appena gli avrei aperto la porta, sarei scattata a correre verso la portafinestra e mi sarei data alla fuga.

Si, era decisamente il piano migliore, di certo non volevo ritrovare la mia testa appesa come quella di un orso sul muro, perché ero più che sicura che Sean non fosse venuto qui soltanto per parlare civilmente di ciò che gli avevo fatto prima, tutt'altro.

Con cautela, allungai la mano verso la maniglia, la tirai giù e quando sentii il rumore dell'assicura che si toglieva, spalancai la porta e cominciai a darmela a gambe levate verso la portafinestra.

Perché scappavo?

Semplice, avevo una paura fottuta di Sean e di ciò che mi avrebbe potuto fare, ero certa che non mi avrebbe fatto del male, o quasi certa, ma comunque non si poteva mai sapere cosa era pronto a fare Sean Arscott, era imprevedibile ed io, da brava immatura qual ero, preferivo scappare e non affrontarlo.
Ma, tuttavia, se dovevo essere sincera, scappavo perché mi divertiva vederlo ammattire e perciò, a costo di rimetterci le penne, avrei corso il brivido di scappare da lui, vederlo uscire di testa e, infine, vederlo perdere, di nuovo.

Footlover - amore in campo di giocoWhere stories live. Discover now