Dopo poco, Marco passa qualcosa al ragazzo con il cappellino, e si allontana appoggiando il braccio attorno alle spalle dell'altra persona. L'ultimo rimasto rimane fermo per qualche istante.

Strizzo gli occhi quando lo vedo entrare al civico 32.

Ryan. Distolgo lo sguardo, mi riordino i capelli, e mi allontano dalla finestra per buttarmi a letto.

Sbuffo due, tre volte, non trovando pace. Mi riavvicino alla finestra, punto gli occhi all'ultimo piano del vecchio palazzo e lo noto. Anche lui, come me, è affacciato alla finestra.

L'unica differenza, però, è che lui, senza eccezione, ha una sigaretta in mano. Il suo viso è immerso nel fumo, perciò non capisco la sua espressione, dove stia indirizzando lo sguardo, o a cosa stesse pensando.

Solo dopo una folata di vento vedo che è a torso nudo. Il suo fisico è asciutto, gli addominali sembrano appena scolpiti. È magro, ma visibilmente forte. Un'ombra gli segna il pettorale destro, e penso possa essere un tatuaggio.

Si passa una mano tra i capelli, e io inizio a mordicchiarmi le labbra.

«Elena! Elena!» Una voce accompagna dei forti colpi alla porta.

«Ma che diavolo» mormoro, avvicinandomi all'entrata.

«Che cazzo sta succedendo?» chiedo, irritata.

Alice spalanca la porta non appena abbasso la maniglia. Un forte odore di erba mi penetra nelle narici e invade la stanza insieme all'esuberanza di Pede.

«Sei strafatta» mi rendo conto. Lei ride e corre alla finestra.

«Ah, che buon profumo! Vieni ad assaporare il mitico odore del mare» urla, aprendo le braccia verso il cielo.

Cerco di allontanarla da lì e di chiudere le finestre per evitare si faccia male; e, nei miei miseri tentativi di trovare la forza per spostarla, noto gli occhi di Ryan puntati su di me, con lo stesso fare provocante delle volte precedenti.

Sorride compiaciuto, e mi sento in qualche modo presa in giro.

Reagisco d'impulso e alzo il medio, poi sbatto la finestra per chiuderla.

Alice continua a ridere e a fare giravolte per tutta la stanza. Le preparo un bicchiere d'acqua, e cerco di farla sedere sul letto.

«Ma che mi combini?» le chiedo, lasciando trasparire un po' di tenerezza.

«La mia vita fa schifo» ride, enfatizzando ogni singola parola.

«Oh, tesoro, su questo ti faccio compagnia. Anche la mia vita fa schifo.»

«Ma tu non sei gay» mi guarda di traverso, il ciuffo davanti agli occhi. Rimango stupita da quell'affermazione, ma cerco di non approfittare del suo stato per farle altre domande.

«Hai ragione, non lo sono» le sorrido, cercando di stare al gioco.

«Sai cosa vuol dire dover scappare di casa?»

«Yep, ti faccio compagnia pure riguardo a questo» affermo, annuendo energicamente con la testa.

«Poi, sul più bello, quando incontri l'amore, lei ti sbatte in faccia di essere bisex e ti tradisce. Con gente sfigata, oltretutto.» Si lascia andare sul cuscino dietro di lei, sbattendo un braccio contro al muro.

Che si riferisca a Carlotta?

Le tolgo le scarpe, mentre lei si mette comoda. La vedo addormentarsi, distrutta, la maglia infilata al rovescio, i pantaloni corti nonostante la serata fresca.

È già tanto che sia arrivata su con le scarpe, penso, osservandola.

Ritorno ad aprire le finestre, sperando che l'odore di erba possa smaltirsi in fretta. Inevitabilmente, il mio sguardo finisce alla finestra di Ryan. È ancora spalancata, ma lui non c'è.

Mi infilo la tuta larga che uso come pigiama, mi lavo i denti cercando di fare meno rumore possibile, e penso ad Alice.

Chissà quanto ha fumato nel giro di venti minuti. Chissà quante ne ha passate, pure lei.

Mi avvicino al letto, cerco di farmi spazio e mi butto di fianco alla mia amica.

Cazzo, non ci staremo mai.

Dopo aver coperto Alice, mi porto la logora sedia di legno sotto la finestra, e mi raggomitolo, appollaiata sul sedile scomodo, appoggiandomi al muro.

Al chiarore della luna, tra il tempo che sembra essersi fermato, il viso di Ryan a occuparmi la mente e il ticchettio di un fastidiosissimo orologio analogico, piazzato proprio sopra al frigorifero, mi addormento con la testa a penzoloni.

SOTTO LE PERSONEWhere stories live. Discover now