33. La bomba era sganciata

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Non risposi, con tutta la dolcezza di Jackson mi sentivo parecchio a disagio.

"Posso chiederti una cosa?" Domandai, dopo qualche attimo di silenzio.
"Certo, anche più di una." Concesse, con la sua solita gentilezza.
Non sapevo per quale motivo ma mi ritrovai a pensare quanto fosse diverso da Sean, lui alla stessa domanda mi avrebbe sicuramente guardata male, ma non dovevo pensare a lui, non più.

"Una volta, che tu sappia, mio fratello e Sean, erano...amici?"

Vidi il suo sorriso mutarsi in un'espressione cadaverica. "Non ne ho idea Cindy, da quanto ne so no." Forse era la prima risposta secca che Jackson mi avesse mai dato e non ci voleva un genio per capire che stava mentendo.

"Sei sicuro? Secondo me invece erano molto amici." Assottigliai gli occhi e attesi una sua risposta, che però non arrivò, ma potei sentire una presenza, alle mie spalle, che fece voltare sia Jackson che me con un cipiglio confuso sul volto, che dopo aver visto di chi si trattava, si trasformò in un'espressione del tutto stordita

Sean Arscott era immobile, con la mandibola tirata agli estremi e due occhi che avrebbero fatto paura anche a satana. I suoi pugni erano chiusi lungo i fianchi e il suo petto ampio era messo in risalto dalla felpa grigia che lo fasciava alla perfezione.

Cercai invano di aprire la bocca per chiedergli spiegazioni, ma quello che ricevetti fu ritrovarmi sollevata da terra e scaraventata come un sacco sulla sua spalla.
Cosa cazzo stava succedendo?

Sean mi teneva ferma per le gambe e io mi dimenavo come una pazza, sbattendo le mani sulla sua schiena. Ero talmente spiazzata da non riuscire a spiccicare parola.
Sollevando la testa riuscii a vedere Jackson allibito, con la bocca spalancata.

Sean, nonostante mi avesse sulle spalle, camminava spedito, come se non pesassi niente e in poco tempo arrivammo davanti alla sua auto.
Lui si piegò sulle ginocchia e mi lasciò a terra, con i capelli ancora più in aria di prima e il pranzo di ieri che mi era salito in gola.

"Ma che diavolo fai?" Borbottai, dandogli una spinta con l'avambraccio per allontanarlo da me. "Tu," gli puntai un dito sul petto.
"Tu hai davvero bisogno di uno bravo."

Lui non si scompose di un millimetro, sembrava inferocito e i suoi occhi rossi e inespressivi mi confermavano che lo era davvero.

Con un passo venne davanti a me, ad un centimetro dal mio naso. Percepivo il suo fiato sul mio collo e improvvisamente mi morirono le parola di bocca, ma scuotendo la testa cercai di riprendermi. "Che ti prende?" Chiesi, aggrottando le sopracciglia.

"Che mi prende?" Ripetè, digrignando i denti.

"Quando imparerai a fare quello che ti dico?"

"Come, scusa?" Domandai, riluttante.

"Smettila di fare la cazzo di investigatrice. Non arriverai a niente, sprechi solo il tuo tempo."

Avevo sentito bene o erano solo allucinazioni?
Tralasciando il fatto che come al solito compariva dal nulla come i funghi, come si permetteva di piombare qui, prendermi come un sacco di patate e dettar legge come se esistesse solo lui?

"Il bipolarismo è una malattia che deve essere curata, per tua informazione." Sibilai, strizzando gli occhi per la rabbia.

Footlover - amore in campo di giocoWhere stories live. Discover now