Capitolo 16 - " We can do this, if we're together"

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Un rumore assordante penetra lentamente le mie orecchie fino ad essere insopportabile, non sento più il mio corpo, non riesco a sollevare le palpebre che risultano molto pesanti. Non ricordo molto di quello che è successo, solo che ero su un aereo ed avevo incontrato un ragazzo meraviglioso, forse Ashton, si così si chiamava. Sento la porta aprirsi e delle voci farsi sempre più vicine, non le riconosco. Parlano di un incidente, dicono che sono tra i 12 che si sono salvati, mamma e papà! E Ashton! Ora ricordo tutto, dio ti prego fa che si siano salvati, sono tutto ciò che avevo. Cerco con tutte le mie forze di aprire gli occhi, ho bisogno di sapere, ho bisogno di svegliarmi subito. Dopo sforzi sovrumani riesco ad aprire leggermente l'occhio sinistro, sono in una stanza d'ospedale e davanti a me una dottoressa mi sorride.

«Buongiorno tesoro» dice appena sono riuscita ad aprire faticosamente entrambi gli occhi «ti ricordi cosa è successo?» mi chiede avvicinandosi al letto su cui mi trovo.

«Come stanno mamma e papà? E Ashton come sta?» chiedo in preda all'agitazione.

Improvvisamente vedo la porta spalancarsi e mio padre con un braccio ingessato correre verso di me piangendo.

«Amore mio, amore mio ti voglio bene, sono così felice che tu sia qui, non voglio restare solo» singhiozza.

«In che senso solo papà» chiedo staccandomi dall'abbraccio.

«Vedi, la mamma non ce l'ha fatta» piange.

Sento il mondo crollarmi addosso.

«Neanche l'amico che avevi conosciuto sull'aereo è sopravvissuto, mi dispiace molto» mi dice dispiaciuta l'infermiera

Ashton, il mio piccolo Ash, il mio ricciolino, mi sono affezionata a lui nel giro di poche ore. E la mia mamma, era diventata la mia forza, io non ho più nulla, non voglio più stare qui, papà se la caverebbe. Inizio a piangere, piango forte, piango tanto, piango perché tutto ciò che avevo mi è stato strappato via violentemente.

«Stai tranquilla, vedrai, ce la faremo, ce la faremo per lei, dobbiamo essere forti per la mamma» dice papà abbracciandomi, ce la dobbiamo fare, lo prometto su tutto ciò che ho di più caro, anche se si è ridotto solo a mio padre.

«Può uscire? Dobbiamo iniziare a fare degli esami per vedere quando potrà uscire dall'ospedale» dice l'infermiera rivolgendosi a mio padre, che esce dalla stanza dopo avermi mandato un bacio.

«Da quanto sono qui?» chiedo all'infermiera che sta compilando alcuni moduli.

«Stai dormendo da due giorni, fortunatamente ti sei svegliata» mi dice guardandomi e sorridendo.

Dopo avermi fatto una serie innumerevole di esami, fa entrare mio padre che nel frattempo si era ricomposto.

«La ragazza può uscire anche adesso, la sua situazione non è per niente grave, deve solo prendere queste pastiglie per prevenire dei dolori alla testa» dice dando a mio padre una scatola di pastiglie.

Mi aiuta poi ad alzarmi dal letto e mi porta dei vestiti che non ho mai visto.

«Da dove li avete presi questi vestiti?» chiedo osservando la bella maglietta dei Green Day

«Te li ho comprati io ieri, spero ti piacciano» dice guardandomi e sorridendo appena.

Sono davvero bellissimi, oltre alla maglietta mi ha portato un paio di skinny jeans blu e delle vans nere, oltre all'intimo, me lo immagino a comprarlo, chissà quanto era impacciato e in imbarazzo.

Dopo aver indossato anche la seconda scarpa, mio padre firma dei moduli e, prendendomi la mano, mi conduce fuori da quel posto infernale. Prendiamo un taxi e ci dirigiamo verso quella che sarebbe stata casa nostra, non so che effetto mi farà rivedere i mobili della vecchia casa ora che la mamma non c'è più.

Dopo che il taxi ci ha lasciato davanti alla piccola casa, papà estrae le chiavi dalla tasca e entra seguito da me. Mi chiudo la porta alle spalle e vedo tutti i vecchi mobili, il divano, la nostra poltrona, la tv, entro in cucina e mi viene in mente la mamma, quando tagliava le verdure o era ai fornelli. Una lacrima mi riga il viso, sento papà che mi abbraccia e mi sussurra dei « ce la faremo» accompagnati da lacrime che inumidiscono in fretta la maglia.

«Seguimi, devo farti vedere una cosa» mi dice prendendomi per mano e conducendomi al piano superiore. Arriviamo davanti ad una porta bianca.

«Questa è la tua stanza» papà apre la porta e mi si apre un mondo, quelli non sono i mobili della mia vecchia camera, sono tutti nuovi. Rimango meravigliata dall'effetto che danno il rosso ed il bianco abbinati, i colori prevalenti della stanza.

«E' il tuo regalo per ringraziarti di essere venuta qui, l'ha...l'ha scelta la mamma. Scusa» inizia a piangere e così faccio anche io, abbracciandolo forte.

«Me l'hai detto tu papà, ce la faremo» gli dico prima di lasciare un bacio sulla sua guancia lasciando che la sua barba leggera mi pizzichi le labbra.

Sono sicura che ce la faremo, siamo forti.

That guy with green hair//Michael CliffordOpowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz