-domani vado a Firenze a vedere il David di Michelangelo- fu la prima cosa che mi disse non appena misi piede in casa
-vai da sola?- non mi piaceva come idea ma sapevo che essendo sotto la mia responsabilità non avrebbe fatto cazzate.
-si, prendo il treno delle sei di mattina - annui dimostrandole che non eravamo in guerra e che nonostante fossi decisamente convinta che avrebbe dovuto chiedere scusa a Paulo,continuavo a volerle bene e in un certo senso a capirla.
-vuoi che ti aiuti ad organizzare come muoverti senza che tu ti perda?- non conosceva perfettamente l'italiano e perdersi era l'ultima cosa che le servisse.
-no. Faccio da sola- e cosa mi aspettavo, che mi avrabbe detto di si?
-prometti che se almeno avrai bisogno mi chiamerai- la guardai e lei sbuffò ma annui.
Salì le scale per il piano di sopra e si rinchiuse nella stanza di Mat che era momentaneamente diventata la sua.
Era da tre giorni che ogni sera era sempre la stessa storia e capii finalmente come dovevamo sentirsi i miei quando mi comportavo come Dols.
Mi andai a coricare con la testa piena di pensieri e una gamba del tutto indolenzita che gridava pietà; prima di chiudere gli occhi misi la sveglia alle cinque e mezza cosi l'avrei vista andare via e mi sarei assicurata che non combinasse un casino.
Inutile dire che non chiusi occhio e che quando nel display erano solo le tre e venticinque del mattino, sentii la sua risata cristallina.
Probabilmente era a telefono con qualcuno e mi piaceva sapere che ci fosse un ragazzo in grado di farla felice solo che, non capivo perché non volesse minimamente farmi sapere chi fosse.
Quando avvertii il rumore della sua sveglia, mi alzai dal letto avvicinandomi alla porta chiusa della mia stanza e origliai un pochino cercando di capire che cosa stesse facendo.
Mi sentivo una stronza a comportarmi cosi ma, non volevo che sbagliando si sarebbe provocata ben più che semplici scottature.
Quando avvertii i suoi passi sulle scale ebbi la tentazione di farle un'ultima raccomandazione ma mi trattenni come più potei e poi il rumore della porta d'ingresso che venne chiusa mi fece capire che avrei avuto il cuore in gola per tutta la giornata e che se le fosse successo qualcuno, Paulo sarebbe finito in galera per omicidio.
Il mio.
Aprii la porta della mia stanza, buttando un veloce sguardo a quella porta chiusa della sua stanza; mancava la chiave e questo voleva dire che se l'era portata dietro, ignara del fatto che l'avrei potuta aprire con la stessa chiave del bagno.
Non era giusto che invadessi i suoi spazi ma c'era troppo silenzio dalle sue parole ed io avevo in responsabilità la vita di un minore e non di uno qualunque ma quella di Dols che era la nipote dell'uomo che amavo e che avrebbe smesso di farlo se fosse tornata a casa con un solo capello storto.
L'odore di Narciso Rodriguez mi invase le narici, era il mio profumo preferito e quella sul suo comodino era la mia boccetta ma adesso poco importava.
Il letto era sfatto e i suoi vestiti erano sparsi in un casino assurdo, del tutto strano per quella stanza che Mat teneva pulita e ordinata con una maniacale ossessione.
Un foglio di carta poggiato sul comodino attirò la mia attenzione e non ci pensai un attimo ad afferrarlo; c'erano una serie di cuoricini disegnati in ogni dove, la parola "Medici" riempiva un po di spazio bianco e poi c'era un trentatrè .
Mi sembrava un linguaggio in codice che mi faceva impazzire.
Trentatré se non ricordavo male erano gli anni di Cristo,che volesse andare a vedere la sacra sindone ?
Boh, non ci capivo un cazzo.
Chiusi nuovamente la stanza e andai a fare colazione tenendomi impegnata nel tentativo di capire che cosa mi nascondesse e se mi avesse dovuta far pentire di avergli dato fiducia.
Risposi alla chiamata di Paulo quasi immediatamente, solo dopo aver asciugato la bocca dai residui di caffè amaro.
-buongiorno- lo salutai
-buongiorno nena, fatti trovare pronta che passo a prenderti- mi stupì che venisse a prendermi perche per prendere Douglas, Gonzalo e Federico ci impiegava tre quarti d'ora e sapeva che io non potevo ne volevo arrivare in ritardo.
Quando mi fece un singolo squillo capii che era sotto casa in anticipo di dieci minuti e scesi velocemente, grazie al benedetto ascensore, non dimenticando nulla.
-hei- lo baciai mentre mi allacciai la cintura e lui rimise in moto
L'odore del profumo per le macchine, che aleggiava dentro la sua Lamborghini mi fece arricciare il naso perché di prima mattina, alle otto,odori meno forti sarebbero stati più graditi.
Come al solito non mi domandò di sua nipote perché era un orgoglioso del cazzo ma comunque io lo aggiornai.
- ora si perderà e mi toccherà farle da baby sitter come al solito- c'era ancora del forte astio nei suoi confronti
-se si perdesse è nostro dovere andarla a prendere altrimenti tuo fratello ci ammazza- sbuffò accendendo la radio della macchina.
Non credevo sarebbe stato capace di portarla così per le lunghe ma effettivamente da quel che capivo, se fosse stato per lui probabilmente non si sarebbero parlati per sempre a meno che lei non gli avrebbe chiesto scusa.
-come mai sei venuto tu a prendermi?- gli chiesi
-Gonzalo è partito stanotte perché Lara è stata male e probabilmente potrebbe partorire mentre lui è sull'aereo- mi battè forte il cuore per loro che stavano per diventare genitori.
-Douglas viene con Alex e Federico ha ancora quella merda di febbre- annuii e lasciai che continuasse a guidare nel traffico.
Quando arrivammo a Vinovo, Juan scese dalla macchina ridendo con Miralem e Stephan mentre mi salutarono velocemente rifugiandosi in palestra al coperto per ripararsi dalla pioggia.
Io mi recai finalmente al mio ufficio, piccolo ma confortevole e soprattutto con tutto quello che mi serviva.
Dalla finestra avrei potuto osservare i campetti, oggi vuoti causa maltempo, mentre facevo quello che sapevo far meglio.
Lavorare nel marketing.
La partita Juventus- Milan si avvicinava sempre di più e l'idea di poter conoscere di presenza Gennaro Gattuso mi faceva sentire importante e fiera di me stessa.
Appena l'avrei visto sapevo bene che sarebbe stato immediatamente nove Luglio duemilasei mentre i suoi pantaloncini rimasero impigliati tra le lamiere della panchina che dalla gioia immensa, per la vittoria di finale coppa del mondo, catapultò.
Conoscevo un po il Milan; avendo lavorato alla Mediaset a Milano nuova, era chiaro che fossi andata al Sansiro e che mi fossi documentata di questa squadra, nonostante non la tifassi era comunque un grande pezzo del campionato italiano.
Ai tempi di quando lavoravo a Milano, non immaginavo nemmeno che sarei potuta finire a lavorare qui per la Juventus.
Ero una giovanissima ragazza che voleva prendersi una laurea e trovare un posto di lavoro per auto-mantenersi convinta che da sola se la sarebbe passata meglio.
Stavo uscendo dalla mia malattia e mi sentivo in colpa per aver tolto dieci anni di salute ai miei genitori e per questo mi sentivo come se dovessi dimostrare qualcosa a me stessa, ad esempio che ero una grande stronza del cazzo che nemmeno la morte aveva saputo buttare giù.
Se ci penso ancora mi prenderei a sberle per le stupidate che il mio cervello era stato in grado di pensare.
Avevo scelto Milano allontanandomi da casa mia e poi mi ero letteralmente buttata sul mio piano di studi correndo come una lepre non guardando in faccia a nessuno e cosi avevo ottenuto la borsa di studio per lavorare alla Mediaset, una delle più ricche e prestigiose aziende di marketing e televison italiana .
Antipatica,cinica e sulle mie , nei miei tailleur con gonna e su tacchi a spillo su cui stavo imparando a camminare.
Ero cambiata perche la malattia mi aveva cambiata ma, non ero davvero io perché adesso guardandomi indietro non mi sarei piaciuta.
Il rossetto rosso scarlatto sulle labbra mi appariva volgare, la gonna era forse troppo stretta e provocante e il mio cervello? Letteralmente fuori dai binari.
Una cosa che non avrei mai voluto cambiare era la tenacia con cui avevo preso a morsi la vita, da tutte le parti, dimostrandogli che mi aveva buttata giù vincendo una battaglia ma non la guerra.
Milano mi aveva insegnato tante cose, mi aveva immessa nel mondo del lavoro e mi aveva dimostrato che nulla era impossibile se solo eravamo in grado di immaginarlo.
La Mediaset è un posto in cui il mondo viaggia come se ci fosse il cursore premuto sul tasto dell'accelleratore dei frames.
Un'azienda cosi grande e ricca di persone che avevano un preciso ruolo e che non si sarebbero mai permessi di commettere un passo falso.
Ritornando al Milan, mi preoccupai di assicurargli la miglior ospitalità possibile perché era una questione di principio.
Non si vincevano le partite per sconfiggere gli altri ma per vincere è basta perché alla Juventus l'importante è vincere e crederci fino alla fine.
In Italia attualmente la squadra rosso nera era forse quella più giovane e benché tatticamente il mio giudizio sarebbe stato decisamente discutibile, pensavo che qualche miglioramento avrebbero dovuto averlo altrimenti non sarebbero andati da nessuna parte.
Adoravo il fatto che puntassero suoi giovani, come stava facendo la Juventus acquistando Paulo di soli ventiquattro anni, Daniele Rugani il giovane difensore numero ventiquattro e Federico che era la giovane promessa dei viola ormai divenuto orgogliosamente bianco nero trentatré.
C'era qualcosa nei miei pensieri che mi sembrò come un piccolo dejavú, ma non seppi bene a cosa facesse riferimento.
Le mie dita digitarono velocemente sui tasti del computer mentre organizzavo le ultime cose per la partita che si sarebbe disputata tra due giorni e che faceva fremere Torino come se si stesse scatenando un piccolo terremoto.
Mandai un messaggio a Gonzalo tenendomi in contatto con lui e adorando il fatto che fosse così emozionato da essere quasi a corto di parole.
Mi sarebbe piaciuto conoscere Cloe nel più breve tempo possibile, ma sapevo che forse solo dopo la fine del mondiale l'avrei vista a meno che Lara non decidesse di venire a Torino, lasciando la sua amata Argentina.
A proposito di Argentina, controllai che non mi avesse mandato alcun messaggio o forse in realtà speravo che tenesse conto che avrei gradito sapere che fosse arrivata a destinazione sana e salva.
Firenze è una straordinaria città piena d'arte che ho visitato una volta con la gita di primo anno alle scuole medie e ricordo ancora le battute squallide sul piccolo dettaglio del David o dell'alone di profonda cultura che si respirava in quei piccoli vicoli abitati e calpestati prima da Dande e poi da una delle casate più belle d'Italia.
I medici.
Ancora una volta mi rimbombò qualcosa in testa che non seppi collocare con certezza.
Per la pausa caffe raggiunsi i ragazzi in palestra osservandoli mentre si allenavano duramente senza lamentarsi e soprattutto rigando dritti come piaceva al mister.
-hei Mister- lo salutai andandogli incontro anche se lui mi facilitò la cosa dimezzando la distanza.
Aveva una cartelletta in mano e discuteva con qualche fisioterapista.
-hei donzella, come va la gamba?- mi salutò contento con il suo accento Livornese.
-spero bene, altrimenti me la farò amputare- rise della mia battuta cosciente che stessi scherzando.
Ogni volta che lo sentivo parlare mi tornava in mente la tipica frase " la oa ola on la annucia orta" e Dio come avrei voluto imparare l'accento toscano.
Mi piaceva da impazzire soprattutto perche Boia e Ganzo mi sembravano parole che avrei potuto utilizzare come intercalari in qualsiasi frase.
-come procede? Pronti per vincere contro il Milan?!- mi sorrise e mi schiacciò un occhiolino.
Non si vantava mai ma sapeva chi aveva in squadra solo, non gli dava mai la soddisfazione di farli sentire cosi bravi come in realtà erano, probabilmente per paura che si sarebbero cullati e avrebbero abbassato il livello del loro rendimento.
-mister con Bernardeschi?- gli chiese uno dei suoi collaboratori.
-lo vedi qui? Mi sa tanto che il prossimo trentatré che sentirà sarà quello del medico dalla quale mi preoccuperó personalmente di mandarlo- gli rispose poi si voltò verso di me
-dica trentatré- mi disse
-uno due e tre, uno due e tre- gli risposi come mi aveva insegnato mio padre fin da bambina.
-scrivi Gwen al posto di Bernardeschi e prenota un aereo per Firenze che glielo spediamo immediatamente- improvvisamente ebbi la sensazione di panico.
L'avete presente quando scoprii tutte le carte di un gioco e capisci le mosse?
Esattamente come mi sentivo io.
Mi venne in mente il "Fede❤️" che squilló nel suo cellulare durante quel pranzo che feci con Dols ormai più di quattro mesi fa al ristorante di Giuseppe, due traverse dotto casa mia, capii il senso del " i medici" proprio perché erano una casata fiorentina, la stessa squadra in cui giocava Federico prima che passasse alla Juventus.
Trentatré era il tipico riferimento ai medici ma era anche e soprattutto il numero della maglia bianconera di Federico.
Pensai a quanto fosse stato assurdo il ragionamento che quella mente geniale aveva fatto per nascondere una roba simile e poi all'improvviso l'idea che fosse andata a Firenze non mi sembrò cosi innocente come ieri sera.
Andava a vedere le opere d'arte?
Il David di Michelangelo?
Lo sapevo io che cosa andava a vedere.
Guarda caso, Federico aveva saltato l'allenamento come altre tre mattinate in queste ultime due settimane.
Avevo paura ad avere ragione ma mi sembrava tutto troppo perfetto per non essere cosi.
-qualcosa non va?- mi chiese Allegri mentre il mio cervello iniziava a viaggiare alla velocità della luce.
-no no, ho appena ricordato di dover finire un progetto- mi defilai salutandolo velocemente.
Quando arrivai nel mio ufficio, chiamai Dols ma non mi rispose e non me ne meravigliai affatto, se avessi chiamato Federico la cosa sarebbe sembrata troppo sospetta e non mi avrebbe risposto perché scommettevo si fosse memorizzato il mio numero.
Uscii nuovamente dal mio ufficio e bussai a quello di Dario.
-dimmi Gwen- mi sorrise
-ho bisogno del tuo cellulare, mi è finito il credito è devo fare una chiamata- me lo porse immediata senza nemmeno indugiare.
Cercai velocemente il numero di Federico e lo digitai su quello di Dario pigiando sul tasto "chiama".
Squillò a vuoto due volte e poi alla terza volta mi rispose.
-pronto?- aveva una voce troppo pimpante per stare male
-pronto?- ripete ancora ma io non gli risposi
-pronto c'è qualcuno?- continuai a stare in silenzio prima di avvertire quella voce con quell'accento.
"Que es?" Gli domando e lui rispose
"Boh, forse hanno sbagliato numero" e riattaccò la chiamata.
-Grazie- cancellai velocemente il numero
-non rispondono?- mi domandò dispiaciuto Dario
-no, forse non riconoscono il numero e non rispondono- lo ringraziai ancora e uscii fuori dal suo ufficio quasi urlando dalla paura quando vidi il volto di Paulo materializzarsi proprio di fronte al mio.
-che c'è?- mi chiese curioso assottigliando gli occhi
-nulla- gli risposi troppo velocemente
-nulla? Perché sei agitata?- che merda di giornata era questa.
-non sono agitata- mi sentivo un po in gabbia e le rotelle di Paulo camminavano cosi velocemente che sapevo immediatamente dove sarebbero andate a parare.
-lo ammazzo- fu cosi veloce che non me ne accorsi nemmeno.
Quasi sfondó la porta del suo ufficio e io gli corsi dietro, come meglio potessi, perché avrebbe fatto una cazzata.
-ti ammazzo hai capito? Devi stargli lontano o ti giuro che- gli afferrai il polso fulminandolo con sguardo
-che cazzo fai?!- gli dissi a denti stretti mentre Dario forse ritornava a respirare.
Lo guardai scusandomi e lui mi sorrise gentilmente.
-chiedigli scusa immediatamente- gli ordinai più che chiedere
-cosa?- mi guardò come se mi fosse spuntata una terza testa
-hai capito bene. Chiedigli scusa adesso!- saremmo potuti rimanere lì per altri tre secoli
-col cazzo. È da quando è arrivato che non fa altro che guardarti, pure mentre ci sono io- avrei voluto prenderlo a sberle
-io?- disse Dario confuso
- no mio nonno dall'aldilà. Sei pure coglione?!- gli diedi un pizzicotto e sperai che avesse provato almeno la metà del dolore che gli avrei inflitto momentaneamente.
Guardai ancora una volta Dario mortificandomi e chiedendogli silenziosamenre perdono.
-ma io guardo te, non lei. Non mi piacciono le donne- gli disse spontaneamente arrossendo due secondi dopo.
Io guardai Paulo e poi Dario e poi ancora Paulo.
Mi sembrava una giornata assurda.
-eh? Sei gay?!- gli chiese e Darìo annui timidamente.
Paulo guardò me forse in cerca di un rimedio per salvarsi da quella che sembrava essere la sua più grande figura di merda.
-io...yo, vos - ridacchiai mentalmente e lo guardai come una che stava decisamente godendo troppo del momento.
-a parole tue- lo sfottei
-scusa-gli disse mortificato mentre Dario gli porse la mano e Paulo la accettò volentieri.
-scusaci Dario, lui è un cretino e ti giuro non si verificherà mai piu una cosa cosi- lo abbracciai e poi spinsi Paulo fuori dal suo ufficio e dentro il mio.
-no- mi disse immediatamente appena tentai di parlare
-lo so ho fatto una cazzata e sto cercando di capire come farmi perdonare- lo guardai curiosa e poi scoppiai a ridere.
Mi sarei ricordata questa giornata come una delle più indimenticabili e pazzesche della mia vita.
-mi aveva detto che eri un gran pezzo di manzo, il che tradotto in parole povere significa che ti trova bellissimo e lui guardava il tuo culo non il mio- mi guardò arrossendo e nascondendo la sua faccia tra le mani.
-come minimo devi offrirgli una cena- gli consigliai
-perché non me l'hai detto? Sei una stronza- risi più forte
-perché volevo vedere fin dove la tua stupidità ti avrebbe portato e ora so che sei stupido ma proprio tanto stupido- mi avvicinai e lo baciai
-la smetterai di pensare che tutti mi vogliano e ci provano con me? Sei tu che lo pensi- mi strinse a se baciandomi ancora
-sto perdendo la testa e quella ragazzina impertinente mi sta tenendo lontano da te per più tempo di quello che avevo accettato e sto impazzendo- se per questo anche io ma, non andavo a spaccare la faccia a mezza Torino, a partire dalla commessa del Carrefour con la sua quarta abbondante che sembrava schizzargli dalla camicia ogni volta che Paulo faceva la spesa, ignorando che ero li non per fare il porta borse ma perche sono la sua ragazza.
Evidentemente ero solo un insulso dettaglio per lei.
Paulo si guardò in giro e guardò la porta correndo a chiuderla a chiave.
-che fai?- gli chiesi con una voce di un'ottava in più
-abbiamo mezz'ora. Non ti tocco da quasi quindici giorni, devo ringraziare Dio se riesco a resistere per dieci minuti- lo disse con una tale naturalezza che quasi sembrò stesse parlando del più e del meno.
-non se ne parla proprio. È il mio ufficio e io ci lavoro- gli dissi risoluta
-lavoravi anche nell'altro ma sono certo di ricordare bene che cosa abbiamo fatto- mi afferró per i polsi e mi trascinò sulla poltroncina di pelle.
-ci sentiranno- iniziavo ad eccitarmi e la cosa mi metteva ansia ed adrenalina allo stesso tempo.
-mordi la mia maglia se senti la necessità di urlare- se la sfilò porgendomela con un'espressione del volto seria.
La pelle nuda delle sue gambe aderì a quella della poltroncina e mi portò su di se sbottonandomi la camicia e baciandomi ogni lembo di pelle che veniva denudato.
Non seppi se fu il freddo o se al contrario fu la sua bocca calda sui miei seni a farmi provare dei brividi che si concentrarono nel mio basso ventre.
-Dio Gwen, non durerò molto- lui parlava sempre cosi tanto mentre io sembravo che stessi sempre sul punto di morire.
Era cosi erotico che mi sentivo la figlia di Satana e nemmeno l'acqua santa presa direttamente da  Gerusalemme mi avrebbe potuta salvare.
Mi alzò la gonna arrotolandola in vita e baciandomi le cosce mi fece tirare un sospiro intenso che sembrò riempirmi i polmoni dopo anni di apnea.
Erano solo quindici giorni e il mio corpo era super iper sensibile ai suoi tocchi; quasi mi sentivo argilla tra le sue mani.
Mi spogliò sicuro di quello che faceva, mi aiutò a mettermi a cavalcioni su di lui e poi fu cosi veloce che mi sembrò come se un tuono avesse squarciato il mio cielo.
Mi baciò il collo e i piccoli gemiti che fuoruscirono dalla sua bocca mi fecero letteralmente impazzirei la testa.
-cazzo si se ti amo- bació la mia cicatrice e mi sentii esplodere letteralmente.
Bruciava ma le sue labbra non si allontanarono da li nemmeno per un istante e ad ogni minuto che passava avevo come la sensazione che quella cicatrice si stesse sanando, chiudendosi per davvero definitivamente.
Nel mio cervello rimbombava l'eco del suo corpo e del mio e poi strinsi cosi forte le labbra per evitare di urlare, accasciandomi sul suo corpo e sulle sue ultime spinte.
Mi sentivo cosi stanca e appagata come se fossi appena nata dalla radice di un albero direttamente dell'Eden.
-non credo di riuscire più a camminare- gli sussurrai mentre mi tenne stretta al suo corpo
Lui ridacchiò accarezzandomi i capelli che ricadevano morbidi sulla mia schiena nuda.
-tu mi fai impazzire gli ormoni- mi baciò delicatamente una tempia
-tu hai gli ormoni impazziti a prescindere ed io sono la vittima dei tuoi ormoni- rise annuendo concorde
-sei tu che mi stai rendendo un diciassettenne ossessionato- risi guardandolo innamorata.
-se a sessant'anni sei ancora cosi io chiedo il divorzio- mi guardò divertito e poi scoppiammo a ridere
-piccola, a sessant'anni adorerai avermi cosi- si vantò spavaldo mentre mi morse leggermente le labbra e mi aiutò a rimettermi in piedi.

Fino Alla FineWhere stories live. Discover now