Capitolo 51

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-ci sono i miei fratelli e mia madre, vieni da me- questa cosa sapeva di cena di famiglia e mi sembrava  estremamente precoce.
Era pur vero che li conoscevo ma, continuavo a pensare che stavamo correndo troppo e per natura ero una persona a cui correre non piaceva proprio.
Tranne con le macchine, quella era tutta un'altra storia.
-aspetto i miei nonni, voglio stare con loro- erano i pilastri della mia famiglia e volevo continuare a dedicargli il tempo che si meritavano.
-allora vieni per il pranzo di Natale- ovviamente non si sarebbe arreso perché altrimenti mi sarei persino preoccupata.
Quando mai Paulo smetteva di insistere?
-se non mangio le tagliatelle all'uovo di mia nonna, la offenderò- sbuffo spazientivo e quasi risi della cosa.
Con me cascava male perché ero testarda come poche, così testarda che finivo per sfinire le persone con la mia cocciutaggine.
-fa come vuoi- il rumore sordo della chiamata che era stata messa giù fu il chiaro indizio che si era incazzato.
Beh, se ne sarebbe fatto una ragione.
Era giusto, almeno secondo me, che lui passasse del tempo con la sua famiglia e si concentrasse su quelle persone che l'hanno sostenuto lungo tutta la sua vita.
Il tempo per me sarebbe venuto dopo, avevamo una vita davanti o almeno cosi percepivo che sarebbe andata.
Per questi due giorni di Natale ero ritornata a vivere dai miei occupando nuovamente la mia cameretta che continuavo a trovare magnifica perché mi faceva sentire al sicuro.
-tesoro- la voce morbida di mia nonna, mi richiamò mentre lasciavo il cellulare sulle coperte del letto della mia vecchia stanza.
-nonna- l'immensa gioia che provai nello stringerla tra le mie braccia.
L'avevo superata in lunghezza e adoravo avvolgerla letteralmente con il mio corpo; al contrario di come faceva lei quando avevo sei anni e riuscivo ad abbracciarle a malapena la vita. Indossava una bellissima gonna poco sotto il ginocchio ed era di un tessuto fine e turchese, solo a vederla lo capivi che era tata una sarta.
Aveva settant'anni ed era prossima ai settantuno anni ma, continuava a tenere alla sua persona.
Le unghia curatissime e smaltate di un bel rosso corallo e i capelli lunghi e abboccolati ordinatamente che gli incorniciavano il volto leggermente truccato.
La adoravo da impazzire e ne ero fiera perchè sapeva fare tutto, soprattutto la pasta fatta in casa che mi apriva un grande appetito.
-tesoro hai le mani fredde- me le toccai ed effettivamente aveva ragione.
-hai ragione- le sfregai tentanto di riscaldarle
-mani fredde e cuore caldo, bambina mia chi è questo nipotino?- arrossi come sempre, questa storia che invecchiando ci si appropria di una saggezza senza tempo era sconveniente.
Non avrei potuto mentirle perché se ne sarebbe immediatamente resa conto e soprattutto perche dire "nessuno" sapendo che invece c'era Paulo al centro del mio cuore, sarebbe stato come dargli uno schiaffo che non si meritava.
-si chiama Paulo- mi sorrise e si accomodò sul letto, stringendo le mie mani tra le sue e folgorandomi con il suo sguardo penetrante.
Non si poteva sfuggire ad una cosa del genere.
-posso vederlo?- annui emozionata, era la prima volta che le parlavo di un ragazzo e questo mi fece immediatamente realizzare che Paulo non era come gli altri.
Paulo era unico e meritava tutte le prime volte  della mia vita, tutte quelle che mi rimanevano.
Mi alzai afferrando una foto che custodivo dentro la mia borsa e che continuavo a portarla ovunque, per il semplice fatto che mi piaceva cosi tanto che non volevo separarmene. Le misi la foto tra le mani e la osservò sorridendo mentre,con il polpatrello del pollice accarezzò prima il mio volto e poi quello di Paulo.
-è davvero un bel ragazzino- guardai il suo volto nella foto e il sentimento che provai fu qualcosa che provenne dal profondo.
-come hai detto che si chiama? Paolo?- scossi la testa sorridendo
-ci sei andata vicina, si chiama Paulo- lo pronunciò subito dopo di me
-ma non è italiano?- mi chiese
-no, è argentino ma sua madre ha origini napoletane e suo nonno ha origini polacche- pensandoci bene era tante cose insieme.
-somiglia a qualcuno che ho visto da qualche parte- le avrei voluto dire che probabilmente lo aveva visto tutti i giovedi o i sabato o le domenica sera e pomeriggio nel salotto di casa sua, quando lei se ne stava seduta con le gambe sulla sedia a cucire qualcosa per far passare il tempo mentre mio nonno Mario,suo marito, urlava come un dodicenne per i goal, dietro ad uno schermo della tv; oppure avrei potuto dirle che alla fine lo aveva già visto in tutte le partite che mio nonno l'aveva costretta a vedersi, seduta in tribuna mentre ,come dice lei, dei grossi scimmioni urlano per due ragazzini che corrono dietro alla palla.
Mentre sorridevo della sua espressione assorta nel voler collegare il volto di Paulo a Dybala il giocatore, cosa che sapevo non le sarebbe venuta in mente tanto presto, l'ingresso di quel casinista di mio nonno a cui somigliavo parecchio ,caratterialmente parlando, mi fece scattare immediatamente in piedi per abbracciarlo.
Lo amavo, come sono una nipote poteva fare.
Non c'erano modi per spiegare cosa mi legasse a quell'uomo che mi aveva assecondato in tutte le mie follie, remando contro suo figlio,mio padre, che a volte cercava di evitare che sbattessi contro il muro.
-amore mio- mi salutò baciandomi sulla fronte e stringendomi le gote.
-nonnino- sotto le braccia portava sempre la Gazzetta dello sport comprata ogni mattina dal tabaccaio sotto casa.
Ludovico, il proprietario, sapeva che doveva metterne una da parte per mio nonno che intorno alle otto e venti del mattino, con uno dei suoi completi scendeva, comprava il giornale e risaliva a casa aspettando che mia nonna fosse pronta per fare la colazione.
Catalina, era una giovane donna che aiutava mia nonna nelle faccende di casa tutti i giorni della settimana eccetto la domenica e spesso, quando andavo da loro autoinvitandomi all'ultimo secondo, sapeva sempre cosa mi sarebbe piaciuto trovare: le lasagne all'albanese.
-cum al'è?- mi chiese sorridendomi mentre guardò la mia camera e appena notò che il poster della Juventus continuava a stare appeso accanto alla nostra foto, sorrise fiero.
-va bin ,mè pcè- gli risposi in torinese come piaceva a lui che,fin da piccola me lo aveva insegnato nonostante mia madre continuasse a pensare che non fosse necessario.
-menomale che ci sei tu, mica come tua cugina Isabella che si è messa con un ragazzino che tifa l'Inter- sorrisi della sua espressione affranta e inorridita, come se Claudio fosse uno stregone che faceva le messe nere.
Isabella, la figlia della sorella di mio padre, per farla breve mia cugina, studiava lettere classiche all'università di Pisa e aveva conosciuto un collega, Claudio, che studiava lettere moderne. Praticamente erano fatti per stare insieme, solo che a mio nonno il fatto che tifasse Inter non gli era andato giù e ogni volta,ormai da due anni, continuava ad importunarlo.
Fortuna che era simpatico e non se la prendeva sul serio.
-Mario, quando smetterai di pensare solo al pallone- mia nonna conosceva bene la risposta, cioè: MAI.
Mio nonno era fatto di partite e schedine; non esisteva mio nonno senza calcio e penso che per me non esistesse calcio senza mio nonno. A febbraio aveva compiuto settantanove anni ed ancora  un ragazzino; faceva l'abbonamento per la serie A e non esisteva distanza che potesse tenerlo a casa, neppure se il medico gli consigliasse di riservare le energie .
Era cocciuto come pochi e si, questo non vi ricorda vagamente qualcuno?
-che guardi?- le chiese, avvicinandosi a mia nonna e cingendogli le spalle.
Li amavo.

Fino Alla FineDonde viven las historias. Descúbrelo ahora