E fu così che in una calda giornata di Giugno, Camila Cabello andò via dalla mia vita, arrivata in un lampo e scomparsa alla stessa maniera.

*fine flashback*

Fu un attimo, un attimo soltanto. Quella scena si fece spazio nella mia mente e sentì il cuore cadermi piano a pezzi esattamente come quella volta, come in quel momento, come in quell'esatto secondo in cui mi resi conto che non l'avrei mai più rivista né sentita. Ricordai tutte le lacrime che avevo pianto, tutto quello che avevo provato per andare avanti, tutto il male che mi aveva fatto. Dal quel giorno avevo imposto a me stessa di non volerla vedere mai più, di non voler sentir parlare di lei nemmeno per sbaglio. Ma seppur la rabbia nei suoi riguardi fosse tanta, non ero mai riuscita ad odiarla, non ero mai riuscita a dimenticarla. Ricordavo ancora il suo profumo, le sue labbra, i suoi lineamenti leggermente marcati e la sua pelle olivastra, non avevo mai dimenticato i nostri corpi attaccati e le nostre mani intrecciate e nemmeno per un secondo avevo mai dimenticato quanto bene stessi quando c'era lei. Erano passati quattro lunghi anni e, certo, ero sicuramente andata avanti ma non l'avevo mai dimenticata.
Ora era lì con la stessa faccia da stronza, dopo tanti anni di completa assenza, che mi guardava con un'espressione sconvolta come se quella ad aver commesso un torto fossi stata io. La guardai, ci guardammo fisso negli occhi per qualche secondo, poi abbassai lo girando il viso, come se qualcuno mi avesse appena tirato uno schiaffo.
"Io... io ritorno fra un attimo... iniziate a prendere i capi da quell'affare, cercate i vostri... io..." cercai di dire qualcosa ai ragazzi dietro di me che guardavano la scena non capendo mentre indicavo il carrello con su appesi i vestiti per lo shooting, poi velocemente e a capo basso lasciai il set.
"Lauren! Lauren aspetta..." la voce di Normani mi chiedeva di rallentare il passo che incalzava man mano ma non l'ascoltai.
Entrai nell'ascensore e premetti velocemente l'ultimo pulsante in alto, avevo il battito accelerato e respiravo pesantemente, non seppi se fosse rabbia o altro ma iniziai a piangere.
Entrai nel mio ufficio sbattendo violentemente la porta mentre cercavo invano di calmarmi. Dinah, devo chiamare Dinah, pensai. Uno squillo. Due. Tre. Cinque. Segreteria.
"Fanculo" sibilai fra i denti buttando il telefono sulla scrivania. Sentì bussare alla porta così cercai di ricompormi, mi schiarì la voce.
"Si? Avanti" dissi aprendo di scatto il laptop davanti a me fingendo di essere presa da qualcosa sullo schermo.
"Lau..." disse Normani dolcemente chiudendo piano la porta alle sue spalle, io alzai per un secondo lo sguardo dal portatile e subito dopo lo riabbassai contraendo la mascella.
"Io..." provò a dire la ragazza mentre il tocco del suo tacco dodici sul pavimento riecheggiava nella stanza.
"Per favore... evita" dissi con un tono seccato.
"Lauren, non è-" provò a dire ma la interruppi alzandomi di scatto dalla sedia.
"No, Normani! Non m'interessa cosa sia e cosa non! Lei è qui, io sono qui... c'è una persona di troppo ed evidentemente quella dannata persona è lei!" urlai con tutta la rabbia che avevo in corpo. Non sapevo cosa mi stesse succedendo.
"Lauren... è qui solo perché gliel'ha detto la direttrice, lo sai anche tu..." disse lei cercando di calmarmi ma ebbe l'effetto contrario.
"Stai insinuando che io pensi che lei sia qui per me?!" urlai ancora più forte, lei abbassò lo sguardo colpevole, feci un verso ironico.
"Tranquilla, non lo penso affatto. Non se n'è importata di me quando ha deciso di partire come una fottuta codarda senza dirmi un cazzo, perché dovrebbe farlo ora?" chiesi con tono basso, pieno di sarcasmo e delusione.
"La voglio fuori di qui" dissi con un tono duro sedendomi e riportando il mio sguardo sul Mac ch'era di fronte a me, lei sospirò probabilmente ricordando quanto fossi testarda.
"Lauren, calmati okay? Sei una fotografa professionista e so per certo che sei una persona molto professionale, trattala da semplice modella e basta, poi quando questo progetto finirà non dovrai più vederla." disse lei dolcemente avvicinandosi a me mettendo una mano sulla mia spalla dopo vari minuti di silenzio, alzai lo sguardo puntandolo nei suoi occhi che mi guardavano speranzosi. Ero adulta, i tempi erano cambiati, non ero più quell'adolescente che stava soffrendo per il suo primo vero amore, giusto? Potevo gestirla, dovevo farlo, c'erano di mezzo la mia reputazione e il mio lavoro.
"Okay" dissi ancora duramente alzandomi dalla sedia.
"Allora Mani, cosa mi racconti?" dissi sorridendo alla ragazza come se niente fosse successo mentre aprivo la porta del mio ufficio.

DESTINYWhere stories live. Discover now