CHAPTER XVIII

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CAMILA'S POV

Mia madre non era sempre stata così. Ricordavo ancora di quando, ai tempi del liceo, la beccai bisbigliare a Lauren di quanto fosse contenta che avessi trovato delle amiche come loro. Sinu non era sempre stata così, amava le ragazze e, diceva, tutte allo stesso modo ma la verità era che la corvina dagli occhi verdi aveva rubato anche il suo cuore sin dal primo momento: era letteralmente pazza di Lauren, le voleva bene come se fosse sua figlia. E forse fu proprio quello il problema. Forse per mia madre, per Sinu, la delusione più grande non fu sapermi con una donna ma che quella donna fosse proprio colei che aveva sempre amato come e quanto amava me, Sofi e Dom. O forse erano entrambe le cose. In ogni caso il suo disappunto fu così lancinante per me che avrei letteralmente fatto di tutto pur di riconquistare quel tanto ambito amore e quella così sudata approvazione che parevano perduti e così decisi – ma forse nemmeno tanto – di perseguire il suo sogno, che con il tempo imparai a sognare anch'io. Cosa nota a Miami era di certo il passato di mia madre, chiunque sapesse il suo nome sapeva anche la sua storia, ''Sinu Estrabao, la promessa étoile dell'Opera di Parigi a soli 23 anni, cade durante una presa. Dalle prime indiscrezioni, probabilmente la danzatrice dovrà rinunciare al suo sogno tanto lottato, causa ancora incerta...'' questo era ciò che si leggeva nel lontano 1987 sulla prima pagina del Miami Herald e al contempo colonna sonora di tutta la mia vita, vividamente impressa nella mia memoria la prima volta che sentì quelle parole, da quel giorno per il mio futuro non ci sarebbero mai stati dubbi: avrei frequentato la migliore accademia dopo le superiori e sarei diventata una prima ballerina, costasse quel che costasse. Peccato che nessuno sapesse che quel che sarebbe costato era proprio la mia felicità. Lauren aveva sempre saputo che avremmo preso due strade diverse, due Stati diversi. Ma le stava bene così, mai una volta che mi avesse pressato chiedendomi di trasferirmi a NY con lei dopo il mio diploma, mai una volta che avesse provato a farmi cambiare idea circa la danza anche se spesso e volentieri storceva il naso quando ne parlavo come ''mio sogno'' siccome era da sempre convinta che in realtà non lo fosse per niente. Ma nonostante questo e nonostante tutto, non aveva mai provato nemmeno minimamente a contestare la mia scelta e questa era una delle cose che amavo di lei, ''posso accettarlo ma non condividerlo, eppure mi batterò sempre affinchè tu possa esprimere e portare avanti la tua idea'' lo diceva sempre, con lo sguardo sempre altrove e le sue parole miste agli aforismi volteriani che tanto amava. Ancora una volta me l'avrebbe detto, in quella stanza buia, lo percepivo dal silenzio straziante precedente le poche sillabe successive. Non lo disse, forse perché Voltaire non era più nelle sue corde o, forse, perché poteva non condividerlo ma questa volta non poteva nemmeno accettarlo. Avrei dovuto dirlo anche alle altre ma avevo davvero imparato dai miei errori, per quel che fosse possibile. Glielo avrei detto poi, era lei la mia priorità anche perché, per quanto sentita e tranquilla l'amicizia che avevamo deciso di intraprendere, era inutile prendersi in giro e fingere di non vedere l'evidenza chiudendo gli occhi davanti alla verità: Lauren non mi sarebbe mai stata indifferente, in una stanza piena di persone avrei sempre e comunque visto solo i suoi magnifici smeraldi ed il suo volto etereo. E lo stesso valeva per lei. Per storie come queste, dove un lieto fine non esiste e sposare il principe azzurro è il male minore, la cosa migliore da fare è la distanza. Emotiva e fisica, e per quanto riguardava noi, più ce n'era e meglio era. L'amavo, con tutta me stessa, eppure ero ad un passo letterale dalle nozze. Mi amava, con tutta la sua anima, eppure stava re-imparando a vivere, una vita in cui io ero solo un piccolo e minuscolo dettaglio. Lauren ed io eravamo anime gemelle ma destinate ad amarci da lontano per non scatenare il caos. Un lampo tremendamente vicino mi risvegliò dallo stato di trance in cui i miei rumorosi pensieri erano stati capaci di portarmi, la pioggia a confronto produceva suoni angelici e i tuoni non erano altro che canti di usignolo. Scossi il capo con un piccolo sorriso, ridendo come sempre alle mie stesse battute anche se silenti, così mi allontanai dalla grande vetrata che separava la mia penthouse dal terrazzo esterno ormai pieno d'acqua. Era passata una settimana dall'ultima volta che avevo visto le ragazze all'inaugurazione di Mani e ancora non avevo avuto modo di dir loro della proposta di Parigi e che quindi al novanta percento dopo il matrimonio sarei subito scappata in Europa, ci eravamo sentite tramite messaggi e con DJ avevo anche parlato via FaceTime un paio di volte ma non mi sembrava per niente il modo giusto per farlo. Parlando del diavolo, o meglio, pensando al diavolo spuntano le corna, dissi tra me e me prima di rispondere al cellulare che aveva preso a vibrare.

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