Capitolo trenta⚽️

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6 maggio 2016

Quella mattina mi svegliai stranamente in orario. Mi girai dal lato destro del letto e notai la mia amica dormire ancora con il volto coperto da numerose ciocche bionde.
Gliene scostai un paio e poi rimasi ad ammirare l'espressione buffa che aveva assunto .
Non si sarebbe mai perdonata il fatto di non essere stata la prima a farmi gli auguri.
Tra qualche ora iniziava l'allenamento a Trigoria e io non potevo mancare. Feci attenzione a non svegliarla quando mi alzai dal letto per uscire dalla camera.
Erano le nove del mattino e la casa era vuota.
Rimasi stupita quando non vidi nemmeno mio padre. Solitamente mi aspettava in cucina con un giornale in mano mentre sorseggiava il suo caffè.

Incrociai Carmen in salotto e ne approfittai per chiederle che fine avesse fatto papà.
«Signorina Amanda, suo padre mi ha detto di riferirle che oggi non c'è bisogno che lei vada agli allenamenti con lui. Le ha lasciato la carta di credito sul bancone. Vuole che si goda questa giornata speciale insieme alla sua amica all'insegna dello shopping. A proposito, feliz cumpleaños.»
Certo, i primi auguri detti dalla cameriera non erano il massimo ma lei non era una domestica qualunque. Carmen mi aveva vista crescere e si era occupata di me e Federico quando i nostri genitori erano troppo impegnati per farlo. Era ormai diventata un importante pilastro della nostra famiglia.

Era così dolce il suono della sua voce con tanto di accento messicano e così garbati erano i suoi modi di fare che non potevo proprio sbraitarle contro.
«Grazie, ma credo che andrò al centro sportivo. Mi puoi chiamare un taxi?»
«Come vuole lei signorina.»
Quando tornai di sopra, accesi il cellulare e notai che mia madre mi aveva inviato un messaggio di buon compleanno.
Sorrisi non appena lo lessi.
Oggi purtroppo non poteva essere con me a causa di un viaggio per lavoro. Non me la presi.
Infondo stava facendo il suo dovere e poi avevo mio padre, Emma e Stephan che mi avrebbero aiutata a non sentire più di tanto la sua mancanza.

Arrivai a Trigoria in tempo per l'inizio degli allenamenti. Il campo era vuoto, segno che i ragazzi si stavano allenando in palestra.
Non ci potevo credere che mio padre mi aveva permesso di rimanere a casa quest'oggi.
È un gesto che sicuramente qualche mese fa mi avrebbe fatto piacere ma che adesso non mi interessava più di tanto.
Mi dispiaceva aver lasciato Emma sola, ma non potevo restare a casa senza vedere Stephan. Non oggi.

Pranzai al centro sportivo insieme al resto della squadra, mio padre e a tutto lo staff che lavorava per la Roma.
Inutile dirvi lo stupore di mio padre nel vedermi lì anche il giorno del mio compleanno.
Io che avrei preferito spendere tutti i soldi della sua carta di credito in scarpe e vestiti piuttosto che stare in mezzo a tutti quei ragazzi.
Ma a me piaceva.
Mi sentivo parte di una grande famiglia qua a Trigoria.
E non c'è niente di più bello che passare il compleanno in famiglia.

Dopo il pranzo, mio padre concesse ai ragazzi qualche minuto di pausa, così ne approfittai per raggiungere Stephan. Speravo che dato il tempo libero che aveva a disposizione,
mi avrebbe proposto di vederci nello stanzino per baciarci come facevamo sempre, ma quando i nostri occhi si incrociarono, lui si limitò a salutarmi con la mano e poi proseguire per la sua strada.
Non mi sorrise nemmeno. Tantomeno si voltò a guardarmi quando lo rimproverai per la sua freddezza.
Aveva preferito continuare a parlare con Miralem.
Non potevo rimproverargli il fatto che si fosse dimenticato del mio compleanno... nemmeno la sapeva. Ma questo non gli dava motivo di non rivolgermi la parola.

«Si può sapere cosa gli prende al tuo amico?» , mi rivolsi ad Alessandro che era stato l'ultimo a liberare la sala.
«Niente. Perché?»
«Si comporta in modo strano. Hai visto come mi ha salutata? Nemmeno un bacio.»
«Amanda, non può baciarti davanti a tutti quando vuoi tu. E tanto meno può deconcentrarsi. Domenica abbiamo l'ultima partita all'Olimpico prima dell'Europeo. E poi dovrà affrontare il Milan a San Siro. Sai cosa significa giocare contro la squadra per cui hai sempre tifato e giocato?»
«No. Non ne ho idea.» , gli risposi con lo sguardo fisso su Stephan che scherzava con i suoi compagni. Giuro che li invidiavo.
«Allora smettila di essere così egoista. Pensa anche al suo bene ogni tanto.»
Poi Alessandro se ne andò e mi lasciò lì. Immobile. Impegnata a meditare sulle parole che mi aveva detto.
Riflettendoci, arrivai alla conclusione che ero una distrazione per Stephan in questo momento.
Le ultime due partite sarebbero state cruciali per il secondo posto e l'unica cosa che potevo fare era non dargli pressioni. Mettermi da parte.
Infondo questo è il suo mestiere e non posso pretendere che metta me al primo posto.
È giusto così.
Poi pensai ad Emma. Persino con la mia migliore amica ero stata egoista. Lei aveva mollato tutto a Firenze per venire qua, oggi e io non le avevo nemmeno degnata della mia presenza. Ma non mi pentì di essere venuta fin qui. Non potevo pentirmi di aver visto lui.

NOBODY LIKE YOU || Stephan El ShaarawyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora