XXVIII "Ribaltare le situazioni"

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Cammino avanti ed indietro, fissando con la coda dell'occhio l'angolo di marciapiede dove, in genere, Nathan lascia la macchina. Mi torturo il cervello, è stato decisamente inaspettato quello che è successo ieri sera, ma è stato ancor di più inaspettato il fatto che abbia ammesso a me stessa che qualcosa mi suscita quel ragazzo tatuato troppo gentile. Credo che venire all'università, sia stata un'idea pessima. Insomma, con quale faccia lo saluto? Che cosa gli dico? 

"Ehi Nathan ciao! Scusa se ieri abbiamo pomiciato, era solo così, per perdere tempo. Ma lo sai che credo che tu mi piaccia?!" 

No, decisamente no. 

No, me ne torno a casa, non posso frequentare le lezioni, non posso averlo al mio fianco tutto il giorno. Me ne torno a casa, mi faccio la borsa e me ne torno a York per un paio di decenni. Si, sparisco. Mi do alla latitanza, vendendo organi o armi da fuoco. Mi farò qualche tatuaggio, sarò un reietto, uno scarto della società. Sarò l'Alice Lancaster che non ti aspetti. 

Ma che diavolo sto dicendo? Che non so nemmeno come si accende il forno, ma dove vado? Certo, so quanto costa un rene ma quelli sono dettagli.

Inspiro profondamente fissando per ancora due minuti abbondanti l'angolo della strada, gli studenti corrono per entrare. Fisso il mio orologio, è tardi e di Nathan nessuna traccia. Forse si è dato alla macchia anche lui, forse ha capito il suo errore ed è sparito. 

Ma faccio davvero così schifo? Insomma, ci può stare che non ti piaccio, anche se è improponibile, insomma io piaccio a tutti, però addirittura sparire? Mi sento ferita nell'orgoglio, nessuno mi aveva mai rifiutato e questo alimenta la mia voglia di conquistarlo. 

Ma che diavolo sto dicendo? Conquistarlo? Ma, nel brandy di ieri sera, c'era la droga?! 

Continuo a crogiolarmi nei miei pensieri fin quando non intravedo il professor Bennett correre verso l'entrata dell'università. Sbarro gli occhi e alzo lo sguardo al cielo, cercando di non incrociare il suo sguardo. Incrocio le dita dietro la schiena, sperando di non attirare la sua attenzione. 

-Oh, signorina! Non entra?- sorride cercando di riprendere fiato, si sistema la tracolla in pelle. Perchè indossa queste camice a quadri che gli donano un aspetto da campagnolo in trasferta? Bah, io non lo capisco lo stile degli insegnanti. 

Resto con la bocca aperta a fissarlo. Posso marinare le lezioni no? Non siamo mica al liceo che chiamano a casa, giusto?

-No, purtroppo ho avuto un contrattempo. Sa, i miei parenti a Bradford.. Ero passata per lasciare degli appunti a Nathan ma non è qui.. Quindi credo che adesso andrò.- sorrido cercando di essere convincente.

-Signorina, può anche saltarle alcune lezioni, non deve giustificarsi di nulla.- parla tranquillo. -Comunque vada pure, porti i miei saluti ai suoi parenti.- sorride fintamente mentre entra.

Alzo le braccia al cielo e maledico il giorno in cui ho messo piede dentro questa città. La domanda che mi pongo ogni giorno è.. Ma chi diavolo me l'ha fatto fare? 

Faccio inversione e cammino a passo svelto verso la metropolitana, nel momento stesso in cui sono ai tornelli e cerco la mia tessera della metro, una figura alta e frettolosa richiama la mia attenzione. Nathan corre, schivando le masse omogenee di persone che popolano la metropolitana. Sembra evidentemente stressato, o forse sono solo io che lo vedo così. Magari è infuriato, pentito, amareggiato. Il cappuccio nero della sua felpa gli copre lo sguardo basso. Lo fisso sentendo uno strano calore nel petto, una strana ansia che sembra volermi incatenare al pavimento sporco della metropolitana.

No qua io mi sto facendo troppi film mentali, devo darmi una regolata. Assolutamente. Dove diavolo è finita quella dose di inaccessibilità che utilizzo verso il genere umano? Cosa mi è successo? 

If you don't know l.h.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora