XXII 'Occhi a me'

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Il The Social è un locale decisamente osceno e questo piccolo particolare lo si intuisce già da fuori. Mi sento totalmente a disagio. Alzo lo sguardo, cercando di inquadrare a pieno il gusto opinabile di ciò che si presenta sotto al mio sguardo. E' un semplice palazzo in mattoni rossi, in una via decisamente omonima e banale, contornato da macchine e da cicche di sigarette. Il che sembra essere in linea con l'entrata del locale, che consiste in un'unica porta decorata con disegni e scritte dai colori fatiscenti e poco entusiasmanti. Hanno bisogno di un dannato designer. Assolutamente. Mia madre mi ha insegnato, o forse obbligato, a non dire mai 'mi fa schifo' ed ho sempre seguito questo suo insegnamento più o meno, ma ora, in questo preciso istante, vorrei gridare quanto faccia schifo questo posto.  Inspiro profondamente e fisso ancora stralunata e parecchio disgustata la porta. Sono le dieci del mattino di una giornata di fine agosto, il clima è banale, l'aria è fottutamente umida e si dice che 'sta sera piova. Nulla di entusiasmante, noi inglesi siamo fottutamente abituati a questo tempo del cavolo. 

Sto davvero pensando al tempo?! Dovrei pensare al fatto che tra meno di una settimana, inizierò l'università, che devo prendere la patente, magari tornare a York da Cass e Calum, invece no. Sono fuori ad un locale ad aspettare qualcosa. Non so bene cosa però. Forse una manna dal cielo? Un'illuminazione? Qualcosa di tangibile sicuro.

Stringo le bretelle dello zaino, come se stessi per esplorare un ambiente esotico. Ho dovuto aspettare così tanto per venire qui, perchè i proprietari nonché geni del business hanno deciso di andare in vacanza ad agosto. 

Ci rendiamo conto?

Il mese in cui si possono fare più soldi, in cui le persone disperate che non vanno in vacanza sono qui, loro vanno in ferie. Dei geni del commercio. 

Scuoto la testa, già sono nervosa e nemmeno ho posto le domande che mi servono. Necessito delle risposte e magari cercare anche di non prendermi qualche malattia infettiva, dato lo scarso livello di igiene che aleggia in questa via malfamata. Siamo dietro a King's Cross, quasi al centro di Londra, ma di sofisticato ed elegante in questo posto non ha niente. 

Con una strana forza di volontà apro la porta colorata, rimanendo di sasso. 

Questo posto è un fottuto incubo. Le pareti sono ricoperte in legno, il pavimento è in legno e qualsiasi oggetto di arredamento è in fottuto legno. Sembra un corridoio adibito a locale, quello che dovrebbe essere il palco consiste in un ammasso di strumenti abbandonati e luci colorate.

Dove diavolo siamo negli anni settanta?! Sedie marroni in pelle sono impilate in un angolo, il bancone, che dovrebbe essere l'attrazione serale, consiste in un ammasso di bottiglie e bicchieri sporchi. 

Questa è la mia nuova concezione di inferno. 

Una ragazza sbuca dal nulla, facendomi perdere dieci anni di vita. Credo che fosse piegata sotto al bancone a fare non so cosa, mi auguro a pulire questo scempio. Intravedo anche una macchina per il caffè. 

-Ciao, posso fare qualcosa per te?- chiede stanca, portandosi un canovaccio dietro le spalle.

-Una pulita?!- alzo un sopracciglio, avanzando lentamente verso di lei. Le mie Dottor Martens quasi stridono sul pavimento. Mi porto una mano sul cuore. Sto morendo.

-E' quello che stavo per fare?!- alza un sopracciglio. 

Sospiro cercando di immaginarmi su qualche isola deserta a sorseggiare frullati esotici. 

-Sono qui per delle informazioni, devo farti qualche domanda e devi rispondermi molto chiaramente.- sorrido fintamente.

-Chi sei una della polizia?!- sembra quasi spaventata.

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