XVI 'Empatia'

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Unknown P.o.v.

Alice scende dal treno sicura di se. Ha un dono particolare, quello della strafottenza. Il suo dono però è largamente incompreso, anche da se stessa. Potrebbe essere a casa ora, magari con Tyler a ridere o con Cassandra a discutere. Potrebbe vedere dal suo computer costoso i migliori negozi a Londra, i luoghi più belli dove nascondersi. Magari potrebbe iniziare a fare le valigie e capire cosa può o non può portarsi via. E invece no, si guarda intorno con aria annoiata, osserva la stazione del treno che l'ha vista più volte passeggiare qui, che sua madre passare del tempo a casa sua. 

In un anno cambiano tante cose, almeno così dicono. E lei ne è consapevole ma non abbastanza. Non è abbastanza cambiata da poter capire cosa le fa bene o cosa no. 

Le sue mani fine si muovono sul ciondolo, ci gioca come se dovesse smorzare la tensione. Sono appena le cinque del pomeriggio, tra un'ora o giù di lì, dovrebbe essere in cima al paese. 

Ma che fare? 

Questa è la domanda che si pone. Stringe con troppa forza il ciondolo, le incisioni che riportano le loro iniziali sono come una ferita aperta che non riesce a cicatrizzarsi. E lei lo sa, è come la pellicina sul dito, la stuzzichi senza dargli tregua anche se ti fa male. 

Perchè? 

Perchè forse a lei piace farsi del male. Perchè se ripensa a se stessa un anno fa, si sente vuota. Vuota perchè qualcuno a lei caro, gioca a fare Dio. E questo lei non lo sopporta, solo lei può giocare a fare Dio con la vita degli altri. Sa quanto sia facile distruggere una persona con una semplice parola, sa quali sono le conseguenze di quando ci si spinge troppo oltre, ma non può farne a meno. 

Cammina tranquilla per la stazione sporca, giugno è quasi finito e l'aria inizia a farsi pesante. Anche se, a quest'ora, che poi è anche la sua preferita, il cielo inizia a tingersi di sfumature rossastre, quasi magiche e si sente decisamente meglio. Trova consolazione nel cielo che, troppe volte, si dimentica di guardare. Che poi il problema è guardare da vicino, ma lei non ci riesce. Guardare da vicino significa analizzare se stessi, auto-criticarsi, auto-alienarsi da se per capire quale sia il problema. E lei non sa farlo, non sa criticare se stessa, non vede i suoi lati negativi. Si sente superiore alla massa, con tutti i suoi difetti che per lei sono semplicemente pregi. Ripensa alle lezioni di storia dell'arte contemporanea, quelle dove per la maggior parte delle volte ha dormito ma dove una sola parola le è rimasta impressa. L'empatia. Ma lei non riesce a provarla, non riesce a provare quest'emozione. Non riesce ad immedesimarsi nello stato d'animo di qualcun altro senza coinvolgere anche i suoi sentimenti.

Di sicuro l'empatia non fa per lei. Che il professore in realtà dice tutte stupidaggini. E' convinta di questo. E' convinta che gli altri hanno sempre torto. 

Cammina tranquilla, fissandosi ogni tanto le scarpe rovinate che ne hanno viste fin troppe. Non vuole buttarle via, sono il suo giocattolo preferito. Come Lucas d'altronde, è il suo gioco, il suo passatempo. 

C'è chi scende dal treno felice di essere di nuovo a casa, chi corre sperando di farcela a tornare in qualche posto dove potersi rilassare. Ma lei? Lei dov'è a casa? Dove si sente se stessa? Dove può smettere di fingere e togliersi questa stupida corazza che la isola dal mondo esterno?

Le piace crearsi un mondo tutto suo, un mondo dove lei è la creatrice e distruttrice di tutte le cose. E' talmente tanto egocentrica che se mai fosse possibile creare un mondo tutto suo, vorrebbe essere la regina, la religione e anche il popolo da venerare. 

Scuote la testa, non è possibile creare un mondo tutto suo, sono pensieri infantili. La sua coscienza le ripete, in maniera prepotente, che ormai è ora di crescere. Che tra un mese farà diciannove anni e che i giochi può anche chiuderli dentro ad una scatola.

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