XV 'E Whitby sia'

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Sbatto rumorosamente il piede per terra. Del tipo che se potessi, distruggerei a calci il luogo in cui mi trovo. No, non sono nel mio dolce quanto asfissiante appartamento, no. Magari. Sono all'inferno. Solo che questo ipotetico inferno in cui mi trovo è una villa a due piani nel quartiere benestante di Bradford. E non so come affrontare la situazione. Potrei benissimo entrare e urlare 'sorpresa, la vostra principessa è a casa', ma non sarebbe opportuno, almeno secondo il codice etico e rigoroso di mia madre. Non lo è perchè questa non è casa. Tra meno di dieci giorni, la mia casa sarà uno studentato. A Londra. E l'idea non è nemmeno tanto male, se non fosse che anzichè preparare la valigia con i vestiti e con i miei beni primari, dovrò riempirla di rancore e ricordi. E di odio, soprattutto di quello. Impacchetterò il mio odio e lo distribuirò in giro. Ciao sono Alice e questa scatola di odio è per te. Si mi sembra un ottimo modo per fare amicizia.

Ma quant'è bella la mia vita? Un'anima in pensa sono. Un'adolescente costretta a vagare tra persone scomparse e ragazzi troppo biondi.

Basta, questi capelli biondi mi hanno stufato. Oddio sto delirando. 

Suono il campanello di casa, pensando già a come sopravvivere alle domande poco interessanti di mia madre e all'odore quasi asfissiante di deodorante per ambienti, mischiato ovviamente al detersivo per pulire i pavimenti. 

Ecco, se mai qualcuno dovesse chiedermi cosa è per te l'inferno, direi sicuramente una villa a due piani che profuma di pino. C'è, pino. Rendiamoci conto. 

-Finalmente.- apre la porta mia madre, ed eccolo lì, quell'odore nauseante di bugie. 

-Ciao madre.- alzo gli occhi al cielo. Mi fissa attentamente, direi quasi con disgusto. Che bello, un anno fa ero la loro principessina, ora sono la pecora nera della famiglia. Che gioia. Non vedete la mia espressione felice? 

Mi fa entrare e sospiro. Da quanto tempo è che non torno a casa? 

-Insomma, con tutti i soldi che ti diamo al mese potresti anche iniziare a comprarti dei vestiti normali.- sbuffa. -E magari potresti comprare delle nuove scarpe.- fa una smorfia vedendo le mie vans distrutte. E sporche. Molto sporche. Del tipo che stonano con la lucentezza del pavimento. 

-Buongiorno anche a te.- alzo di nuovo gli occhi al cielo.

-Torno a cucinare.- annuncia lasciandomi sola in soggiorno. Mi guardo intorno arricciando le labbra. Che faccio? Non ci si può sentire a disagio dentro ad una casa che ti ha cresciuta per quasi diciotto anni. 

Vado in cucina portandomi le braccia dietro alla schiena, fischiettando. Tanto per far innervosire mia madre. 

-Papà?- chiedo tranquilla. 

-Nel suo studio.- risponde fredda. 

La fisso attentamente. Poi per un secondo solo mi domando quanto sia a me sconosciuta mia madre. Abbiamo lo stesso aspetto fisico, lo stesso carattere ma poi? Quali sono le sue abitudini? Passa veramente dieci ore al giorno al golf club a farneticare cose con le sue amiche? 

Oh mio Dio. Sto veramente pensando alla giornata tipo di mia madre?! 

-Vado a salutarlo.- mi muovo quasi a disagio, annuisce ancora di spalle mentre continua a cucinare qualcosa. 

Vago come un'anima in pena per la casa e salgo le scale trascinando il mio corpo. Il corridoio del secondo piano è più spoglio, mia madre ha fatto sparire i quadri e le foto. Perchè? Ah si. Ci trasferiamo. Giusto, ogni tanto me lo dimentico.

Busso alla porta in legno brillante di mio padre, aspettando che la sua voce calda mi inviti ad entrare. Questo è sempre stato un suo limite forse. Rifugiarsi nel suo studio da solo. E' da quando ho memoria che bisogna bussare ed attendere il suo invito ad entrare. 

If you don't know l.h.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora