CAPITOLO 25

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SOPHIA

Sono al corso di letteratura,seduta in seconda fila vicino al termosifone dove la maggior parte del tempo le mie mani sono appoggiate per riscaldarsi.

La prof ci sta caricando di informazioni su Sylvia Plath,una scrittrice da quel che ho capito.
La mia mente stamani non è molto fresca,dopo aver passato sta notte a piangere interrottamente,e questo mi porta a essere molto più sconcentrata di quanto già io sia certe volte.
"Nata nel 1932 a Boston, Sylvia Plath era una ragazza che voleva scrivere a tutti i costi, tanto da riuscire a proporre cinquanta diversi testi al magazine Seventeen : un periodico statunitense tuttora in attività,prima di essere pubblicata."

Spiega la signora James.

Ripensando a ieri pomeriggio,mi pento di non aver detto io stessa con più fiato avendo nei polmoni quanto mi facesse schifo Joi,perché ora mi sento una codarda,una che non ha avuto coraggio in un momento che ora sembra così stupido a pensarci.
Alcune volte le butto qualche occhiata di sottecchi,e ogni volta vedo che è molto attenta.
Purtroppo le sue amichette del cazzo non hanno avuto nessuna penitenza siccome non le avevano trovate da nessuna parte,dandomi quindi la colpa a me di aver raccontato una baggianata,ma Joi invece è stata chiaramente punita,e dalla sua faccia si direbbe che sia stata abbastanza dura la signora Watson.

Ma non posso rimangiarmi nulla anche se sento leggermente una sensazione di pentimento in ciò che le è stato fatto,perché deve davvero averla cambiato la vita se non mi guarda più nemmeno per sbaglio,né nei corridoi, né in classe e né da nessuna parte,e non la vedo più mangiare in sala da pranzo con noi..infatti sembra anche essere leggermente scavata dalle guance più dell'ultima volta se la si fissa in continuazione come mi sono appena resa conto di aver fatto.
I miei occhi tornano sul profilo della signora James,che spiega senza mai dare un freno camminando avanti e in dietro davanti alla lavagna.
"Negli anni a venire le sue poesie la resero molto più famosa dei racconti che aveva scritto da più giovane, ma l'unico suo romanzo semi-autobiografico,risale al 1963. Si intitola La campana di vetro."
Credo di aver già letto una volta questo libro, se non ricordo male, ero in biblioteca alle 11:30 di notte a continuare a leggere quel libro,nessuno sapeva mai che stavo lì fino a tardi,ed infatti questa routine non terminò fino a che non finì il libro,dopo quasi una settimana e mezzo.
"Aprite il libro a pagina 122,troverete alcune frasi e citazioni immerse in questa fantastica storia."

Prendo il libro e faccio ciò che ci ordinò di fare.

" In pratica 'La campana di vetro'  è un romanzo che racconta la storia di Esther Greenwood, che è in tutto e per tutto una versione non del tutto romanzata di Sylvia Plath e di alcuni mesi della sua vita. Di come i suoi diciannove anni siano strettamente collegati a tutto ciò che è venuto dopo. È un romanzo scritto in prima persona che spiega in modo terribilmente sincero cosa può voler dire avere diciannove anni nel 1953 e voler avere tutto dalla vita, sentendosi costretta a dover scegliere. Dover scegliere tra la scrittura, il ruolo di madre e moglie, una vita avventurosa in Europa senza un partner fisso."

Da come mi ricordo quanto magnifico fosse il racconto,mi viene sempre più voglia di scavare più informazioni possibili su questo libro.

La prof continua a fissarmi in maniera eccessivamente pesante,e come intuivo mi chiede una domanda.

"Secondo lei,signorina Jones,cosa doveva scegliere Esther? Quale sarebbe stato per lei la cosa migliore da fare a soli diciannove anni?"

Inizio a guardare fuori dalla finestra e poi poso ancora i miei occhi sulla professoressa che mi scruta con molta attenzione prima di alzare le sopracciglia,e finalmente mi viene una risposta ricordandomi parti importanti di questo libro.

"Esther si sente in trappola e sente di non avere gli strumenti necessari per affrontare il mondo in cui tutti a forza la vorrebbero.Non vuole far contento nessuno, nemmeno se stessa, incapace di prendere decisioni che vadano oltre l'acquisto di un impermeabile che non protegge dall'acqua..-i miei occhi vagano nel guardare la lavagna priva di scrittura bianca del gesso-anche quando la commessa ha fermamente consigliato di non acquistarlo."
Non riesco a distogliere gli occhi dal colore nero,mi sono persa nei miei pensieri dove trovo immagini stampate di quelle pagine che trovavo molto importanti da ripescare in momenti come questi.
Sento i bassi tacchi picchiettare sul pavimento e finalmente mi distraggo dai miei pensieri e guardo la prof che ha un espressione che non riesco a definire : contenta?scioccata? non riesco a decifrare il suo viso pieno di rughe.
"Per caso,signorina Jones,ha già avuto a che fare con i libri di Sylvia Plath?"
mi fissa in maniera misteriosa.
"Non sono davvero una grande fan,se si può dire,di questa scrittrice,prof,ma mi ricordo di aver già letto il libro in questione."

le sorrido tranquillamente.

"È un piacere enorme che lei si sia buttata in una lettura del genere,non me lo sarei mai aspettata da una di voi studentesse,posso dirti,che mi hai davvero colpita,in maniera positiva."
e mi sorride anche lei.

                      *   *   *

Sono qui in camera di Jasmin,che sta parlando con sua madre al telefono, (un secondo telefono che ha tenuto nascosto per tutti questi giorni),siccome domani è il grande giorno che aspettiamo da ormai una settimana se non più,io poi..è da una vita.
Sono sdraiata sul suo letto mentre aspetto che metta giù la chiamata per potermi raccontare ciò che le ha detto.

"Allora?" chiedo impaziente a bassa voce.
Lei in risposta mi alza una mano in aria in segno di attesa e io lo faccio mettendomi a fissarla mentre sta vicino alla porta del bagno pizzicandosi le labbra e con il telefono attaccato all'orecchio.

"ok,ok..si ho capito. Sta bene tranquilla.Si..Ti voglio bene anche io mamma,ciao,saluta papà da parte mia,si,ciao .."
Mette giù la chiamata e mi guarda con un sorriso che le arriva fino alle orecchie.
E d'istinto sorrido anche io.
"Si! Si esce!"
urlo saltando dalla gioia sul suo piccolo letto e lei fa lo stesso ma con meno vivacità pregandoli di non fare troppo casino per la camera accanto.
"Cavolo!..cioè...è un sogno per me capisci?"
le dico avvicinandomi a lei e abbracciandola.
"Ti ringrazio infinitamente Jas."

"Dovresti ringraziare mia madre cara."

"Si hai ragione,domani lo farò di sicuro."

mi sorride e mi accarezza i capelli.
"Te l'ho detto che c'è l'avremo fatta."

"Non ho mai dubitato su questo,davvero."

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