I 'Camera duecentosei'

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E' il giorno. E' proprio questo il giorno. No, non lo è, si lo è. Ecco sto già impazzendo. Nemmeno ho messo piede in quella prigione che quel meraviglioso dépliant colorato descrive come un luogo di pace ed educazione, che già sono impazzita. Ieri è stato un giorno strano, non sono uscita di casa. In fin dei conti i miei amici potevano essere avvertiti con un semplice messaggio, nient'altro. Tanto la questione amici è relativa, tra poco perderò persino il nesso con il mondo, che senso ha avere degli amici?!

-Basta!- mi alzo parlando da sola.

Sono le otto del mattino e sono in ritardo. Potrei fingermi malata! Cerco una malattia efficace su google ma le uniche cose che escono fuori dalla mia ricerca frettolosa includono la morte. Okay niente malattie. Potrei..? No, non posso fare niente. Mia madre ha bloccato persino la mia finestra dall'esterno, non posso nemmeno darmi alla fuga. Da dopo quella volta che ho violato il coprifuoco uscendo dalla finestra per imbucarmi ad una stupida festa, hanno deciso di rinforzare ogni serratura di casa. Che simpatici.

-Spero che tu ti stia vestendo!- sento la voce ovatta di mia madre provenire da dietro la porta chiusa.

-Sto tentando il suicidio!- grido arrabbiata finendo di gettare i vestiti nella valigia.

-Non sporcare le piastrelle del bagno cara.- ride mio padre.

Si divertono? Si prendono gioco di me? Ridono delle disgrazie che stanno per provocare alla loro bellissima ed intelligente quanto simpatica figlia?! Mi vesto velocemente, non mi interessa apparire carina o ben sistemata. Quando scendo per la colazione mia madre mi guarda male.

-Che c'è?- chiedo in malo modo prendendo una tazza di caffè latte.

-Ti vesti così?- chiede alzando un sopracciglio osservando i miei jeans scuri.

-Allora? Tanto mi state mandando in prigione!- piagnucolo guardando il telefono.

Per un secondo sono ferita dal fatto che nessuno abbia preso la notizia del mio imminente viaggio come importante. Nessuno si è precipitato fuori dalla mia porta per salutarmi. Bene altre persone da aggiungere alla mia lista nera. Tanto ho tre mesi di tempo per architettare la mia vendetta contro tutti.

-Alice non è una prigione, è una scuola educativa.- mi guarda serio mio padre.

-Sparsa nel nulla! Nel nulla! Intorno non c'è niente! Sono sicura che nemmeno il telefono prende.-

-Non puoi portare il telefono... Non lo sapevi?- ridacchia Aaron.

-Cosa?- rido. -State scherzando.-

-Non proprio sorellina, si vede proprio che non ti informi mai di niente.- Adam mi sorride fintamente.

Sto per ribattere acidamente quando mia madre mi guarda male. Sbuffo e spengo il telefono, cercando di nasconderlo nella valigia che è estremamente grande. Forse ho portato troppe cose ma non si sa mai. Insomma potrebbe esserci un'apocalisse, devo avere i miei vestiti migliori!

Quando saliamo in macchina maledico il fatto che nessuno dei miei cosiddetti genitori abbia avuto la decenza di riflettere sulle loro azioni.

-Potrei morire e voi non lo sapreste mai!-

-Quanto sei tragica Alice, sei uguale a tua nonna.-

-Oh grazie.- mi ha appena paragonata alla nonna pazza della famiglia?

Mi addormento sui sedili scomodi dell'auto, non so nemmeno dove sia questo stupido posto.

Qualcuno mi picchietta sulla spalla, quando apro gli occhi faccio fatica a tenerli aperti. Il sole mi acceca e mi costringe a strofinarmi gli occhi chiari. Quando metto a fuoco il luogo in cui siamo ho un imminente bisogno di gridare. Un enorme palazzo di pietra scuro fa da sfondo ad un immenso giardino estremamente verde. Quando mi volto noto un cancello alto almeno tre metri in pietra. Si è una prigione, è una grande e troppo verde prigione.

ALICE l.hDove le storie prendono vita. Scoprilo ora