capitolo 30. [mattheo]

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mi contorsi dal dolore a causa del taglio all'addome e mi spostai sul lato opposto per non pressarci su.

"porca puttana." sbottai.

da quanto ero lì? meno di un giorno, mi pareva un'eternità.

mi rigiravo a destra e sinistra, avevo bisogno di una doccia, indumenti puliti, una dormita ma specialmente di lei.

la mia luna, chissà cosa faceva, se mi pensava, con chi era.

perché doveva essere così complicato per uno come me amare?

per qualche secondo mi parve di udire la sua voce dolce.

"uno come te come? tu non sei diverso dagli altri."

non ne ero così sicuro, se non fossi stato diverso non sarei capitato nei sotterranei di casa mia con un taglio all'addome, un milione di cicatrici con il buio ad avvolgermi.

quella cazzo di porta di merda si aprii ancora.

"le tue torture non mi servono ad un cazzo, papà." sbottai.

"serviranno, capirai che tu non la ami, quella ragazzina ti è entrata in testa solo perché era l'opposto di astoria."

astoria, cazzo.
quella era la mia futura sposa.

"astoria non mi ha mai toccato nel profondo come ha fatto ethel."

"ethel, ethel, ethel, non ti stanchi di parlare sempre di lei?" mi girò attorno.

"perché dovrei?"

"perché dici sempre le stesse cose."

"come te che mi ripeti le stesse cazzate da diciotto anni papà, non ti sei stancato?" ero incazzato nero.

"io lo faccio per te, per il tuo bene."

"per il mio bene non avresti dovuto ammazzare mia madre, per il mio bene non avrei dovuto avere delle cicatrici su ogni parte del corpo, per il mio bene non dovrei essere visto da tutti come un mostro!"

"ci ho messo anni per ricevere il rispetto che tu hai già, dovresti esserne grato."

"e tutto il resto? il fatto che io non abbia una madre? che ho vergogna di togliere la maglia dinanzi a tutti?" dovevo calmarmi.

"le cicatrici sono segni di forza." si piazzò di fronte a me.

"per tua madre invece, non so."

mi sentivo preso per il culo, mamma era l'argomento più importante, quello che mi toccava di più e che sapevo colpiva anche lui. ancora cercavo una spiegazione a quella magia che l'aveva colpita dritta al petto e l'aveva fatta sparire nel nulla dinanzi ai miei piccoli occhi che hanno registrato ogni singolo dettaglio di quella scena, persino lei che si era resa conto della mia presenza ma non aveva fatto in tempo a dirlo.
ci avrei scommesso la vita che forse a volte lei tornava nei pensieri di papà, magari durante la notte quando in estate lo sentivo andare avanti e indietro per la stanza con la scusa di star pianificando degli attacchi che non sono mai stati compiuti. volevo solo che lui me ne parlasse, che mi spiegasse e togliesse ogni dubbio dalla mia testa che frullava su quell'argomento da anni.

"è l'argomento su cui sai di più." dissi schietto.

"ormai ho dimenticato."

"non puoi dimenticare l'amore." pronunciai quella parola come tutte le altre.

"amore? quante volte ti ho detto che i riddle non provano amore?" il suo sguardo divenne duro.

"hai iniziato a dirmelo dopo aver ucciso la donna che amavi, non so se per auto convincerti di non aver mai provato qualcosa per lei o per non darmi la possibilità di commettere i tuoi stessi errori, ma io so che tu l'amavi, non so perché non lo ammetti."

"l'amore è per deboli."

"è proprio per questo che ti sei innamorato." lo guardai fisso negli occhi.

"cosa vorresti dire?" alzò la voce.

"che tu qui sei il più debole, ti sei costruito un impero per sentirti più forte, senza tutto questo saresti già fuori."

consapevole che la verità fa male, determinato a colpirlo nel profondo.

non mi interessava se la notte stessa avrebbe avuto gli incubi, non mi interessava se nel cuore della notte avrebbe deciso di cruciarmi o addirittura farmi sparire, mi interessava solo dargli corda, filo da torcere, esporre a lui tutto quello che ethel mi aveva messo in mente.

"sei caduto ancora più in basso dopo aver ucciso tua moglie." sussurrai.

"adesso basta!" urlò.

"chi ti ha dato il permesso di rivolgerti a me così? io sono tuo padre! devi portarmi rispetto!"

"solo io a te, papà?"

"tu non meriti il mio rispetto! sei il figlio che non ho mai desiderato!"

amavo sentirmelo dire, mi faceva sentire meno sporco.

"mi dispiace sapere che tu abbia ammazzato la donna con cui potevi farne uno più rispettoso."
stavo sparando tutto ciò che mi veniva in mente.

con uno scatto aprì la porta ed andò via senza degnarmi di un'ulteriore parola.

mi parve così strano che quasi non urlai il suo nome per farlo tornare da me, ma non lo feci.

mi sistemai spalle al muro e socchiusi gli occhi, tutto quel buio iniziava a farmi paura.

forse la paura maggiore era sapere che nella vastità di quel sotterraneo ci sarebbe rimasto il mio cadavere, o forse che nonostante fosse fottutamente enorme lei non c'era, o semplicemente sapere che il nostro destino non era insieme.

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