19. Micah

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 Esco per primo dal campo dopo il riscaldamento e anziché imboccare il tunnel che porta agli spogliatoi, mi dirigo verso la scala interna che porta alla tribuna vip. La prima cosa che ho fatto mentre entravo in campo, è stata cercare Ava con lo sguardo. Sarò sincero, credevo non sarebbe venuta all'ultimo momento.

Invece, eccola lì. Indossa un cappellino da baseball ben calato sulla testa, un cappotto grigio e una delle sue amate felpe, segno che ormai la contraddistingue. È sempre bella da mozzare il fiato, ma il fatto che sia qui per me, perché gliel'ho chiesto io, mi riempie di una folle energia.

Mi piace averla lì, ad un passo da me.

Mi avvicino furtivo alle sue spalle e le appoggio una mano sulla schiena. Lei sobbalza, spaventata e quando si gira, mi perdo nei suoi occhi azzurri come il cielo di questo pomeriggio. <<Cazzo, mi hai fatto prendere un colpo>>, dice portandosi una mano sul cuore.

Accenno un sorrisetto. <<Scusa>>. Saluto con la mano le sue amiche. <<Buon pomeriggio>>.

<<Buon pomeriggio>>, rispondono in coro, fissandomi in modo strano.

Allungo una mano verso Ava. <<Vieni con me>>, le chiedo.

Esita un solo istante prima di afferrare la mia mano tesa e intrecciare le nostre dita. Mi parte una scossa elettrica per tutto il corpo appena la nostra pelle entra in contatto. La trascino per le scale sorvegliate dalla sicurezza dello stadio e poi giù fino al tunnel degli spogliatoi.

<<Dove mi stai portando?>>, chiede.

Mi giro a guardarla da sopra la spalla. <<Vedrai>>.

<<Sei troppo vago. Non è che per caso mi stai portando nel tuo spogliatoio? Non ho intenzione di vedere l'affare di nessuno>>.

Mi blocco in mezzo al corridoio e scoppio a ridere. <<Cavolo no>>, rispondo divertito. <<Ci siamo quasi>>. Riprendo a camminare, sta volta più lentamente. Le nostre mani ancora unite.

<<Ok, ho un po' paura>>, mi prende in giro.

Sbuffo dal naso. <<Abbi un po' di fiducia in me>>. Non risponde ma vedo che sorride. La prendo come una piccola vittoria.

Ci fermiamo davanti una porta e la apro. Ci compaiono davanti diversi scatoloni e lei si blocca al mio fianco. <<Mi hai portata in un ripostiglio?>>, chiede confusa.

Non ne hai idea delle immagini che mi vengono in mente al pensiero. Sono tutte sconce e la protagonista è proprio Ava. Cazzo, devo smetterla di pensarci. I pantaloni da football sono così stretti che non lasciano niente all'immaginazione.

<<Sì?>>. Mi diverto a lasciarla sulle spine.

Si gira a guardarmi. <<Aspetta. Mi vengono in mente solo due opzioni perché tu mi abbia portata qui>>, dice piena di sospetto.

Mi trattengo dal ridere. <<Ah sì? Cioè?>>, domando intrigato. Magari ha avuto i miei stessi pensieri?

<<O hai intenzione di chiudermi dentro qui perché ti ho detto che capisco poco di football o vuoi pomiciare come un adolescente prima della partita>>.

Sgrano gli occhi. Oh cazzo, cazzissimo. L'ha detto veramente? Faccio un passo verso di lei così che si ritrovi spalle al muro, in trappola. Mi abbasso alla sua altezza così da poterle parlare vicino all'orecchio. <<Ora che ci penso...>>, e le accarezzo un fianco. Rabbrividisce e mi osserva da sotto quelle ciglia lunghe da cerbiatta.

<<Non ci pensare nemmeno>>, dice con la voce che le esce spezzata.

Mi mordo il labbro inferiore e mi avvicino, solo per vedere la sua reazione. Resta ferma immobile e non sono sicuro che respiri. Con le labbra devio sulla sua guancia. <<Non oggi, sporcacciona>>.

Mi tiro indietro perché devo e non perché lo voglia. Mi stanno aspettando ed io ci sto mettendo una vita. Apro uno degli scatoloni che contengono le maglie ufficiali della squadra e gliele metto fra le mani. Lei non si è spostata di un millimetro da dove l'ho lasciata.

<<Queste sono per te e le tue amiche. Non puoi venire qui e pensare di non fare il tifo per noi al cento per cento>>, le spiego.

Le sue guance sono rosse e i suoi occhi blu fissi su di me. <<Oh>>, dice. <<Ok>>. Si riprende appena e si stringe le maglie al petto. Le riafferro la mano e ci incamminiamo nella stessa direzione di prima.

<<Era un offerta?>>, le chiedo a metà percorso. Non riesco a trattenermi dal stuzzicarla.

Aggrotta le sopracciglia confusa. <<Che cosa?>>.

<<Quella del pomiciare dentro al magazzino>>, spiego.

Geme piano, contrariata e nasconde la faccia contro le magliette piegate. Non mi è sfuggito per niente il rossore che le colora le guance. <<Perchè l'ho detto?>>, borbotta.

<<Forse perché hai questo strano sogno e vuoi realizzarlo? Mi offro come volontario>>.

Mi colpisce con un pugno, ma le maglie attutiscono il colpo. <<Sta' zitto>>, mi rimprovera ridendo. <<Non ho questo sogno. Specie non con te>>.

Le faccio l'occhiolino. <<Ne riparleremo delle tue fantasie>>.

<<Assolutamente non necessario>>.

Mi blocco sui miei passi. Siamo arrivati al bivio che porta alle scalinate della tribuna VIP e agli spogliatoi. Se non me ne vado subito, il coach mi uccide. Fra meno di dieci minuti inizia la partita e devo ancora indossare protezioni e divisa.

<<Devo scappare>>.

Accenna un sorrisetto. <<Ultimamente è la tua battuta d'uscita>>.

La osservo senza capire e poi ho l'illuminazione. L'altro giorno mentre stavamo bevendo quel caffè, le ho detto la stessa cosa. <<Giusto. Una volta ero io a rincorrere te. Vedi come cambiano le cose, Los Angeles?>>.

Mi spinge via per scherzo. <<Ma sentilo!>>.

Le faccio l'occhiolino. <<Augurami buona fortuna>>.

<<Non ne hai bisogno, quarterback>>.

Controvoglia, indietreggio e mi incammino verso gli spogliatoi. Sento i suoi occhi bruciarmi la schiena perché lei è rimasta a guardarmi. Visto Ava? Le cose cambiano eccome.

QUALCUNO COME MEWhere stories live. Discover now