Chapter 43 : past

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15 aprile 1996

Ormai la mia vita gravitava intorno solo al mio lavoro e per carità, non mi dispiaceva neanche così tanto. Finalmente iniziavo a vivere in modo agiato. Avevo abbastanza entrate da non dovermi preoccupare di arrivare a fine mese.

Così, quel giorno, decisi di recarmi in uno dei locali un po' malfamati che circondavano Mong Kok, uno di quelli che gestivano e spedivano i soldi all'estero. Molte famiglie indiane erano in coda prima di me, per loro fu quasi strano vedermi lì in mezzo a loro.

Decisi di inviare a mio padre il denaro che avevo rubato dal primo lavoro, in cui ero stato raccomandato. Quello sarebbe stato il mio ultimo contatto con loro, con la mia famiglia. Certe volte è giusto anche arrendersi, soprattutto quando non riesci a cambiare i fatti della realtà. Almeno mi ero ripromesso questo in tutte le notti insonni passate a fumare e a pensare agli errori commessi. Avrei anche potuto non farlo, non ero costretto, eppure volevo mettere in pace la mia coscienza una volta per tutte.

Quella sera andai al lavoro come sempre circa per le 17:30, per aiutare a sistemare i tavoli all'esterno, dato che ormai la bella stagione era alle porte. A volte passavo uno straccio umido con un qualche igienizzante di seconda categoria, un po' troppo economico per quel locale dall'apparenza sfavillante e infine apparecchiavo, sistemando i tovaglioli, le posate e i bicchieri in uno schema geometrico che mi avevano insegnato.

Un mio collega mi disse che era bello avere qualcuno con cui farlo insieme, io feci finta di sorridere. A me importava solamente di prendere qualche soldo in più come straordinario, rispetto alle ore concordate. Non volevo farmi amici, non volevo finire in una qualche stupida conversazione di sottotono con il resto del personale. Mai mi sarei immaginato che un anno dopo, dall'altra parte del mondo, sarei finito a fare lo stesso mestiere, con più grinta ed energia di prima, intrattenendomi più e più volte e ridendo con i miei colleghi, per alleviare quel malessere interiore che, aggrappato al mio cuore, non voleva lasciarmi andare.

Il sole tramontò abbastanza in fretta, il locale si stava piano piano riempiendo. Tra una portata e l'altra riuscii a correre fuori per accendere le lampade disposte su tutti i tavoli, per illuminare il buio sempre più crescente.

Impazzii nel preparare le bevande, i dolci, nel servire i clienti, eppure più arrivavo al limite più mi ripetevo che lo stavo facendo per una buona causa, perché nella vita senza il duro lavoro non puoi raggiungere i tuoi sogni.

Arrivarono ben presto le 21, ogni tanto controllavo l'orario dall'orologio circolare posto alla parete. Più lo guardavo più non passava il tempo. Una mezz'ora più tardi qualcuno chiamò il numero del locale e il cuoco, dalla cucina, riuscì a rispondere, evitandomi un'altra fatica.

<< Sicheng! Sicheng! >> mi urlarono, tanto che il mio nome risuonò in tutto il ristorante. Io mi sbrigai, correndo dentro e pulendomi le mani nel grembiule, per infine incrociare lo sguardo sconvolto del cuoco, che ancora con la cornetta in mano, mi stava facendo segno di raggiungerlo.

<< È per te, chiamano dal Tulip, mi hanno detto che è successo un disastro >> riuscì a dire, mentre i fornelli accesi a poca distanza da lui, stavano riscaldando le pentole contenenti tanta zuppa saporita.

Io appoggiai la schiena alla parete e infine risposi, cercando di trattenere l'ansia nei confronti di Wu. Il mio cuore iniziò a battere sempre più veloce, dandomi una leggera fitta al petto.

<< Wai? >>






Quella sera uscii prima dal lavoro, per correre all'ospedale vicino.

Le luci della città erano ancora accese, abbaglianti, tanto da farmi venire il mal di testa.

Per tutto il tragitto riuscii solamente a pensare a quelle poche parole, quasi accennate, del titolare del Tulip.

Wu lo obbligò a chiamarmi, per informarmi di quanto successo e per rassicurarmi che in fin dei conti lui stava bene.

C'era stata una sparatoria, proprio mentre il locale stava chiudendo e i dipendenti, del tutto stanchi, stavano pulendo il bancone prima di tornare a casa.

Erano in due, incappucciati, sicuramente mandati da un pezzo grosso. Ancora non si era capito il motivo, ma avrebbero dovuto sfasciare il locale, uccidendo tutti i presenti. Queste cose accadevano spesso nei locali malfamati di Hong Kong, soprattutto quelli che avevano dei conti in sospeso con quelli che chiamavano gangsters.

Per caso al Tulip girava del denaro sporco? Mai l'avrei scoperto.

La polizia fortunatamente era nei paraggi e non appena sentirono gli spari accorsero sulla soglia del posto, finendo per ferire gravemente i due sicari.

Uno riuscì a scappare, mentre la ragazza caddette a terra e ben presto una pozza di sangue circondò il suo corpo. Le tolsero il casco che teneva in viso e infine i suoi capelli neri si sparpagliarono in modo disordinato sulle sue spalle.

Wu ne uscì indenne, come tutti gli altri dipendenti. Solo qualche ferita di poco conto, ma tale da farmi preoccupare e da farmi correre velocemente tra le strade di Hong Kong.

Solamente quando arrivai all'ospedale capii si trattasse di Mei. Come era possibile? Come era finita in quel giro? Ancora non potevo sapere che quello era il suo lavoro da anni.

Vidi Wu seduto nella sala d'attesa con una fasciatura al braccio e la fronte bagnata di sudore. Lo abbracciai, come se quella potesse essere l'ultima volta che lo avrei rivisto.

E poco distante, in una delle stanze affollate del pronto soccorso, vidi Mei con ancora i suoi vestiti addosso e il viso segnato dalla crudeltà a cui era andata incontro.

Mi precipitai al suo letto, con le sopracciglia aggrottate. Non eravamo amici, certo, eppure il destino dopo averci fatto incontrare ci diede la sensazione di essere legati, in un qualche modo. Tempo indietro mi diede tanti consigli, tali da farmi ricredere sulla mia persona e sulla mia visione pessimista del mondo, quando ancora ero in balia del tradimento di Yukhei nei miei confronti.

Le chiesi cosa fosse successo e lei, con le lacrime agli occhi e un fil di voce, mi disse che in quel momento sperava solo di rincontrarlo. Il suo battito stava diminuendo sempre di più, il suo respiro era appena accennato.

Non capii a chi si stesse riferendo, così continuai.

Pronunciò il suo nome, Kun e lì realizzai ogni cosa. Lei non aveva mai smesso di amarlo.

Poco dopo udii dei passi correre nella mia direzione, mi girai e incontrai gli occhi spaventati e sconcertati di Dejun. Accorse anche lui al suo letto, ma non appena la raggiunse il suo battito era già cessato. Una lacrima scivolò giù dai suoi occhi lungo le gote pallide, per infine toccare il cuscino che l'aveva accolta.

E in quel momento sperai che dopo tutto, in un altro universo, potessero rincontrarsi nuovamente.

E in quel momento sperai che dopo tutto, in un altro universo, potessero rincontrarsi nuovamente

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