Chapter 16

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24 giugno 1997

Erano passati due giorni, da quando avevo fatto entrare Liang Wu nella mia camera. Avevo accettato di ricominciare con lui, tradendo nuovamente la promessa che mi ero fatto.

Osservavo il suo viso rilassato dormire alla mattina, la luce del sole gli schiariva i capelli, comunque in contrasto con la federa bianca del cuscino. Le sue ciglia erano scure e folte, ne ero sempre stato invidioso. Le sue labbra erano screpolate, ma avrei volute baciarle comunque. Avrei voluto baciargli tutto il viso a dir la verità, vedendolo così rannicchiato sul mio letto, sotto le coperte e con ancora i lividi evidenti, eppure mi trattenni.

Il cuore aveva prevalso nuovamente sulla mia ragione, inebriandomi di un quel sentimento che avevo già provato in passato e che ora era tornato più forte di prima. Era bastato poco, ma non potevo farci niente. Dovevo prendermi cura di lui, fino a quando non si sarebbe rimesso del tutto. Date le sue fasciature alle mani dovevo lavarlo, imboccarlo, dargli da bere, avvicinargli la sigaretta alle labbra. Tutti questi gesti non fecero altro che riaccendere l'amore che provavo per lui e che non aveva mai lasciato propriamente il mio corpo.

In quei due giorni gli chiesi cosa fosse successo e chi l'avesse picchiato. Mi stavo preoccupando per lui, era lecito, non avrei mai voluto che qualcuno gli facesse del male. Nonostante al mio cuore dolesse la questione, restai in ascolto delle sue parole, fino a quando non accettai il fatto che sì, era stato con un altro uomo. Mi aveva dimenticato? Mi vedeva solo come un amico ora? Non saprei dirlo con esattezza.

Si chiamava John, era un uomo poco più grande di lui, ricco e americano, dal viso squadrato, capelli biondi a spazzola, occhi chiari e quasi fasulli. Il suo sport preferito era sbronzarsi nel tardo pomeriggio e vagabondare per i locali di Buenos Aires alla ricerca di se stesso. Gli pagava quella stanza al motel Cosmos, nel quale ero stato, nella quale avevamo litigato. Mi chiesi come mai Wu fosse arrivato a tanto, ma poi capii, si faceva mantenere in cambio di una storia d'amore superflua, finché non iniziò a maltrattarlo. Erano passati pochi mesi ma la vera natura delle persone emerge fin da subito.

La gelosia mi ribollì nel sangue, offuscandomi la visione razionale delle cose.

Quello che aveva fatto Wu era imperdonabile, certo, eppure accettai il fatto che si trasferisse da me.

Quando ero al lavoro non vedevo l'ora di ritornare a casa, da lui. Contavo i minuti, le ore, sul bus pensavo a quante fermate mancassero. Mi metteva di buon umore, andavo a comprare cibo sano per cucinarglielo, erano mesi forse che non mangiavo così bene. Persino il mio capo si accorse del nuovo sorriso che mi era spuntato sulle labbra. Ero sempre stato molto cupo, sulle mie, fin troppo silenzioso per attirare clienti, eppure in quei giorni, quando arrivavano le comitive di cinesi li accoglievo energicamente, il mio corpo sprizzava gioia da tutti i pori. Scattavo loro fotografie senza perdere la pazienza, mi divertivo con loro a ballare davanti al locale. Iniziai a pensare che la mia vita stesse nuovamente girando dal verso giusto, semplicemente perché Wu era tornato da me.

Una sera però, precisamente il 24 giugno 1997, tre giorni dopo quel malcapitato evento, il destino giocò a mio favore e lì davanti al locale di tango, durante le mie ore di lavoro, rividi quel ragazzo americano in compagnia di altri suoi amici. Odiavo il suo viso, fin troppo perfetto, troppo da stallone, da macho che ha poco sale in zucca. Mi chiesi che cosa ci avesse trovato Wu di così interessante in lui. Ma purtroppo la mia mente non riuscì a rispondere a questa stupida domanda, forse perché zittita dalla mia estrema impulsività.

Stavo bevendo una bottiglia di birra, accompagnata da una sigaretta ormai consumata, quando lo vidi saltare giù dal taxi giallo in compagnia di altri uomini.

In quel momento pensai solo a una cosa, avrei voluto non vedere mai più il suo finto sorriso da ebete. Così, quando entrò all'interno del locale, portandosi dietro la mandria di cagnolini e rovinando la musica di sottofondo con il suo solito chiasso, decisi di alzarmi a fatica. Buttai la sigaretta dall'altra parte della strada e rovesciai a terra i rimasugli di birra.

Me la presi con comodo, non avevo alcuna fretta, la mia vendetta era lì a portata di mano in fin dei conti. Solo dopo alcuni respiri profondi decisi di entrare anche io. Con un colpo netto sferrai la bottiglia sulla sua nuca. Il vetro schizzò al centro della pista, finendo anche sulla mia giacca. Le persone urlarono non appena videro quella scena, ma almeno io ero soddisfatto. Lui cadde a terra, in ginocchio e del sangue iniziò ad uscirgli dalla ferita che gli avevo causato. Non era morto, per carità non era mia intenzione, usai poca forza per sferrargli quell'oggetto in testa. Volevo solo spaventarlo e vendicarmi per aver abusato di Liang Wu.

<< Stai alla larga da Liang Wu, è un avvertimento >> gli dissi con voce profonda, prima di girare i tacchi e andarmene.

<< Mi licenzio da questo posto di merda, 再见 (Zàijiàn/addio) >> continuai poco dopo, guardando negli occhi il proprietario. Non mi aveva fatto alcunché, era sempre stato fin troppo gentile nei miei confronti, ma la mia ira aveva preso il sopravvento sul mio corpo. Odiavo quel lavoro, mi aveva trasformato in una persona che non ero, per questo mi licenziai. Ero stanco di accogliere ricchi cinesi in cambio di qualche soldo, non mi sarei mai più fatto mettere i piedi in testa. Non volevo più fingere, non volevo più mostrare falsi sorrisi in cambio di una pacca sulla spalla.

Così me ne andai, stringendomi nella giacca che indossavo e camminando davanti a tutta una serie di bar ricolmi di anziani ubriachi. Le luci erano calde, tendenti all'arancione, mi accecavano la vista. Amavo Buenos Aires ma allo stesso tempo la odiavo, perché non era più il luogo per me. Avrei mai trovato il mio posto nel mondo? Iniziai a pensare fosse proprio ad Hong Kong, dovevo solamente lavorare sodo per tornarci.

Presi l'autobus e tornai a casa. Per la prima volta nella mia vita, dopo essermene andato dalla casa dei miei genitori, avevo scelto di mettere me stesso al primo posto. Sorrisi, guardando gli edifici sfrecciare davanti ai miei occhi, dal finestrino laterale dell'autobus. Poi scesi e tornai a casa, da Wu. 

 

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