Chapter 2

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2 giugno 1997

L'inverno in Argentina è molto diverso da quello che ho vissuto prima a Wenzhou e poi ad Hong Kong. Non è così mite e la temperatura non si abbassa poi così tanto. Ne ero felice, io non amavo particolarmente il freddo.

Vivevo in periferia, mi trasferii lì non appena mi lasciai nuovamente con Liang Wu. Ormai di lui nessuna traccia da tre mesi e in un certo senso il mio cuore ne stava risentendo.

Non potevo permettermi di certo una casa tutta mia e così finii in un complesso familiare, o almeno è così che lo definivano a Buenos Aires. Ce n'erano molti attorno alla città, nella periferia, nei quartieri malavitosi.

Venni a conoscenza di questa stanza libera un po' per caso, grazie a un annuncio sul giornale. Conoscevo ben poco lo spagnolo ma grazie alle figure riuscii a capire la descrizione.

La struttura dell'intero complesso era divisa su due livelli, ognuno dei quali presentava ampi bagni comuni, più simili a quelli di una palestra che di un appartamento.

Al piano terra, una volta entrati, si veniva accolti da una grande scala che portava alla zona superiore. Oltre a questa risiedeva la camera del custode, molto simpatico, chiassoso e che spesso litigava con i coinquilini.

Non ho mai parlato troppo con questi ultimi, erano per lo più famiglie, persone poco abbienti e con un reddito precario. Ah, e poi senza dimenticare, ero l'unico cinese della zona, l'unico che faceva fatica a parlare lo spagnolo.

Però li incontravo, certo, nella zona comune ossia la cucina, composta da vari fornelli, pentole accatastate e piatti sporchi nel lavello. Tutto era un bene comune, ma nessuno in fin dei conti ci teneva alla pulizia dello spazio.

La mia camera era la 2046, la prima del piano superiore. La taghetta sopra la porta ne indicava il numero. Ogni tanto prima di inserire la chiave nella serratura mi fermavo ad osservarla e altrettanto spesso la pulivo con la mia sciarpa, cosicché brillasse sempre.

L'arredamento non era niente di che, ma a me andava bene così, non chiedevo molto dalla vita, ero stato io stesso a prendere quella decisione e a partire con Wu, lasciando tutti i miei averi ad Hong Kong.

Il mio letto non era molto comodo, il materasso oltre ad essere duro si infestava spesso di cimici ogni qualvolta che pioveva e c'era umidità nell'aria. Mi lasciavano punture su tutto il corpo e durante il giorno mi grattavo insistentemente.

Il divano di fronte non era da meno devo dire.

Spesso, prima di addormentarmi, guardavo il piccolo comodino che tenevo infondo al letto. Ancora non mi ero deciso a buttare la lampada che avevamo trovato io e Wu qualche mese prima. Sopra era dipinta la cascata di Iguazu, non siamo mai riusciti ad arrivarci per vederla purtroppo.

Odio aggrapparmi ai ricordi ma è il modo migliore per continuare a vivere. Spegnevo la luce e poi cercavo di dormire, nonostante l'immagine delle labbra di Wu continuasse a perseguitarmi in sogno.

Le luci degli edifici esterni filtravano oltre le grandi finestre della mia stanza, proiettandosi sulle pareti. Io osservavo le ombre, cercando di chiudere a fatica gli occhi per rilassarmi.

Non avevo più nessuna notizia di Wu da tre mesi e questo pensiero mi continuava a tormentare, non lasciandomi vivere in pace.

Che fosse tornato ad Hong Kong?

Più credevo a questa idea più sprofondavo in un abisso di disperazione. Non che odiassi stare lì a Buenos Aires, ma non avevo nessuno, purtroppo. Il mondo mi aveva lasciato nella solitudine, per colpa delle mie stupide scelte.

L'inverno mi inghiottì rapidamente e grazie a questo mi sentii confortato. Mi stringevo nel mio cappotto nero, avvolgendomi il collo con una sciarpa calda in lana e infine inserivo le mani nelle tasche.

Fumavo tante sigarette, devo esserne sincero, in Argentina costavano molto poco e per di più era l'unico vizio che potevo permettermi.

Avevo trovato lavoro in un locale di tango, un po' distante da dove abitavo ma la paga era decisamente alta per pormi questo pensiero. Era gestito da alcune persone cinesi, in particolare marito e moglie, che accoglievano di settimana in settimana compatrioti che si recavano nel territorio e più precisamente nel loro locale, per un giro turistico.

Che cosa ci fosse di bello a Buenos Aires a fine inverno? Forse solo una breve passeggiata e poi tanti balli sfrenati nei bar. Non era di certo il mio sport preferito, ma ne riconoscevo il divertimento.

Il mio incarico era molto semplice, dovevo accogliere le persone che arrivavano o con il taxi o con l'autobus. Finii per parlare nuovamente la mia lingua madre e questo almeno mi rassicurò.

Me ne stavo sempre fuori, all'entrata, pronto a invitare persone grazie al mio falso sorriso smagliante. Facevo fotografie di gruppo con le piccole macchine analogiche che si portavano dietro ed energicamente urlavo: uno due tre, sorriso!

Imbarazzante, non faceva certamente per me, eppure mi calavo bene in quel ruolo.

Spesso mi lasciavano un mancia nella tasca del cappotto, soprattutto se erano persone molto agiate economicamente. Una volta nella mia stanza riponevo le banconote nella mia piccola cassaforte, le tenevo quasi come un trofeo. Il prezzo per tornare ad Hong Kong un giorno, perché sì, io volevo solamente tornare a casa.

Solo un giorno qualcosa di inaspettato mi scombussolò la serata.

Il mio turno sarebbe terminato di lì a una mezz'ora. Continuavo a guardare l'orologio che tenevo al polso, non vedendo l'ora di andare a letto e dormire, ma purtroppo i miei futili pensieri vennero ben presto interrotti.

Me ne stavo sulla soglia della porta, in piedi e con la schiena appoggiata al muro retrostante e nel mentre guardavo i due ballerini di tango ballare all'interno del locale. Fino a quando non sentii una macchina frenare a poca distanza da me. Era un taxi, un semplicissimo taxi.

Quattro figure scesero, barcollando e parlando in modo incomprensibile ad alta voce. Ridevano, si punzecchiavano, erano chiaramente brilli.

E lì lo rividi, rividi Liang Wu dopo tre mesi di assenza. I miei occhi si riempirono di lacrime e le mie sopracciglia si alzarono leggermente. Preso dallo sconcerto non riuscii a parlare, forse anche per quanto stava accadendo davanti a me.

Un uomo poco più grande di lui lo stava tenendo per le spalle, in un atteggiamento chiaramente intimo. I suoi lineamenti erano occidentali e parlava fluentemente inglese.

Wu era sorridente, grazie agli effetti dell'alcool e proprio per questo teneva degli occhiali scuri sul naso, nonostante il sole fosse calato da un bel pezzo.

Mi camminarono davanti e per un secondo pensai non si fosse neanche accorto di me. Non mi guardò, non mi prestò attenzione, ma mi passò vicino le scarpe.

Deglutii e infine una morsa dolorosa mi strinse il petto, spremendomi l'animo e distruggendo la poca felicità che ero riuscito ad ottenere.

Eppure sotto sotto io ero felice di vederlo, almeno ero certo fosse ancora lì a Buenos Aires, insieme a me, dove finisce il mondo.

Entrarono dentro al locale e io persi l'equilibrio.

Entrarono dentro al locale e io persi l'equilibrio

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2046 | Dong SichengWhere stories live. Discover now