Chapter 8

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13 giugno 1997

Ultimamente odiavo proprio recarmi al lavoro, ma non perché non volessi fare niente tutto il giorno, semplicemente non sopportavo più l'idea di mentire a tutti sul mio stato emotivo.

Per due giorni di seguito vennero delle comitive di cinesi, prima da Beijing poi da Chongqing. Io come sempre avrei dovuto accoglierli con un sorriso smagliante davanti al locale, mi pagavano per questo.

La luce dei lampioni illuminava le strade e la musica in sottofondo mi provocava costantemente l'emicrania. Forse questo era dato anche dal freddo e dal fatto che fossi esposto ad esso per tutta la sera.

Ebbi un crollo emotivo durante una delle tante foto di gruppo, nello specifico dei compatrioti provenienti da Chongqing. Una signora mi diede in mano la sua macchina fotografica, spiegandomi brevemente il suo utilizzo.

Dovevo semplicemente dire: uno, due, tre, sorriso! per poi scattare, eppure qualcosa dentro di me si bloccò. Il sovraccarico di tensione e di ira nei confronti di quanto avvenuto qualche sera prima, nella stanza di Wu, mi portò ad abbassare la maschera che tanto tenevo impressa sul mio viso.

Le persone non rientravano nell'inquadratura, dal grande numero da cui era composto il gruppo, così in tono scocciato dissi loro: stringetevi! ma non mi ascoltarono. Erano euforici, parlavano tra di loro ridendo, godendosi semplicemente l'esperienza, ma questo mi creò solamente più frustrazione.

Stringetevi!

Questa volta urlai, per farmi sentire meglio, ma nulla cambiò. Sbuffai e lanciai la macchina fotografica a uno dei presenti, quello più vicino a me e poi me ne andai imprecando. Mi portai le mani alla testa, stringendomi i capelli e chiudendo gli occhi per reprimere il più possibile l'immensa rabbia che covavo nelle profondità del mio cuore.

Tornai solamente un'ora dopo, non appena mi calmai e feci un giro per l'isolato.

Il proprietario non si arrabbiò con me, anzi, mi diede una pacca sulla spalla. Capì fossi stressato, ma non sapeva quanto successo. Mi consigliò di prendermi qualche giorno di ferie per rilassarmi, dato che erano mesi ormai che lavoravo initerrottamente per il suo locale. E io, come sempre, troppo orgoglioso, rifiutai, dicendo che stavo bene e non avevo bisogno di alcun riposo. Forse, se fossi rimasto da solo nella mia stanza, i miei pensieri mi avrebbero assalito e io non volevo di certo questo. Per di più avevo bisogno di quei soldi per tornarmene il prima possibile ad Hong Kong.

Ed eccomi qualche sera dopo, il 13 giugno, come sempre seduto sul davanzale della vetrata intento ad aspettare nuovi clienti. Non c'erano particolari eventi in programma, rimasi perciò ad osservare la strada e le persone che mi passavano davanti, finché qualcuno non arrivò.

Erano da poco passate le 22, quando sentii dei passi farsi sempre più vicini. Io avevo la testa china a terra, con lo sguardo perso nell'oblio. La tirai su non appena sentii una presenza alla mia sinistra e lì lo vidi.

Il suo volto venne ben presto illuminato dalla luce artificiale del locale, che gli staturò la pelle di un arancione vivido. I suoi occhi brillavano, vorrei tanto pensare si fosse commosso pensando a un nostro nuovo imminente incontro.

Il mio battito accelerò, mai mi sarei aspettato di rivederlo lì dopo quanto accaduto.

<< Sicheng >> mi disse a bassa voce, appoggiandosi con la spalla al muro freddo dell'edificio.

E io non fiatai, in attesa delle sue parole. Mi persi nei suoi lineamenti, nei suoi capelli leggermente scompigliati e nelle sue labbra screpolate.

<< Mi hai detto che vuoi tornare ad Hong Kong e che ti servono soldi >> poi tirò fuori qualcosa dalla tasca della giacca << Tieni, te lo regalo >> e poi me lo lanciò.

Io lo presi al volo, senza farlo cadere a terra. Aggrottai le sopracciglia e osservai cosa avessi tra le mani, ancor prima di capire effettivamente le sue parole.

<< Spero tu possa tornare ad Hong Kong il prima possibile >> e poi se ne andò, girandosi e scomparendo nell'oscurità.

Era un orologio, un semplice orologio. Lo buttai a terra, rifiutando il suo aiuto. Sarei tornato a casa solamente con il mio duro lavoro, senza il bisogno degli altri.

Mi portai le braccia al petto come indispettito e infine diedi un'occhiata più ravvicinata a quell'oggetto, non appena mi assicurai che Wu si fosse dileguato.

Sembrava un orologio d'oro, almeno dal riflesso. Così lo ripresi nuovamente in mano, strofinandolo sulla mia giacca per pulirlo. Lo portai all'orecchio per capire se funzionasse ancora e lì sentii il suo ticchettio.

Avrei potuto venderlo e farci qualche soldo, sempre che fosse oro vero quello.

Perciò me lo intascai, facendo finta di niente.

Non dovevo farmi abbindolare da questi futili gesti, almeno questo pensai tra me e me. Era nella sua natura, da sempre si comportava così.

Eppure sorrisi ingenuamente, sperando che quello fosse un tentativo da parte sua di scusarsi per quanto mi avesse fatto passare.

E la notte tornò più fiera che mai in tutta la sua magnificenza, inghiottendo le architetture e gli edifici di Buenos Aires, accompagnandomi poi per tutto il tragitto verso casa.

Quella notte dormii veramente bene, per la prima volta dopo diverso tempo, non so spiegarne il motivo. Mi addormentai pensando a Wu e alle sue parole sussurrate, piene di pentimento e nostalgia.

Eppure, allo stesso tempo, non avevo intenzione di ricominciare con lui, non più.


Eppure, allo stesso tempo, non avevo intenzione di ricominciare con lui, non più

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